In un commento postato sulla sua pagina social, Dana Lauriola, sottolinea: «Uno dei motivi per cui vado in carcere, scritto nero su bianco, è che non mi sono dissociata dalla lotta No Tav, l’altro è che ho continuato a vivere in Valle di Susa. Sono tranquilla per tutte le scelte che ho fatto in questi anni, ho amato la valle e la lotta No Tav per oltre 15 anni e continuerò a farlo anche se fisicamente lontana. Intanto vi abbraccio, vi farò avere mie notizie. Vi chiedo di continuare la lotta, con tutta la forza e il coraggio che avete».
VOGLIONO ARRESTARE LE NOSTRE IDEE, MA
LE IDEE SONO COME IL VENTO
Di questo si tratta, la
sentenza che ha colpito Dana è il frutto di un vero e proprio processo
alle idee. Ad indicarlo chiaramente sono le motivazioni, non ancora
depositate ma trapelate, che la giudice Elena Bonu ha addotto nel rifiuto delle
misure alternative al carcere, ma è anche la natura stessa della pena comminata.
Una pena evidentemente
spropositata: due anni per aver partecipato ad un’iniziativa durata 10 minuti,
in cui la “colpa” di Dana sarebbe stata quella di spiegare ad un megafono i
motivi della protesta.
Il movimento No Tav
all’epoca dei fatti era in mobilitazione permanente da lunedì 27 febbraio, in
seguito alla caduta di Luca dal traliccio. Giorni di rabbia e
dolore, ma anche di determinazione, nonostante le cariche e gli scontri che
continuavano a susseguirsi.
I No Tav quel giorno avevano
deciso di liberare i caselli di una delle autostrade più care d’Italia, la
Torino Bardonecchia, che dal lunedì della stessa settimana fino al giovedì era
già stata occupata in maniera permanente dal movimento. Il senso di quella
iniziativa era, ancora una volta, sottolineare l’enorme sperpero di denaro
pubblico destinato alla costruzione dell’opera.
Il reato di Dana non è stato
tanto quello di aver partecipato alla liberazione dei caselli, di per sé un
reato trascurabile (sono centinaia i casi in cui processi che riguardavano
iniziative del genere si sono risolti in pene modeste o addirittura in
assoluzioni), ma è evidentemente quello di essere parte con determinazione e
protagonismo di una delle lotte popolari più longeve ed efficaci del nostro
paese, che ha messo in discussione governi e assetti istituzionali e che è la
bestia nera di chi specula e devasta l’ambiente. La sua
“responsabilità” è quella di essere stata per anni uno dei volti pubblici, una
delle voci con cui il movimento ha parlato, ha gridato le proprie accuse
verso un sistema ingiusto che ignora i reali bisogni dei territori.
Una delle motivazioni della
sentenza con cui sono state rifiutate le misure alternative è che Dana non si
sarebbe allontanata nè dal movimento No Tav nè dal territorio continuando a
vivere in valle a Bussoleno. Lei è colpevole dunque di non aver abiurato le sue
idee, di non essersi fatta intimidire dalle persecuzioni che quotidianamente
colpiscono gli attivisti e le attiviste del movimento e di aver continuato a
lottare con generosità, senza risparmiarsi. E’ colpevole di non aver voluto
lasciare un territorio dove risiedono i suoi affetti, dove resistono le
montagne che ha imparato ad amare e conoscere: un territorio che viene dipinto
come un tessuto criminogeno. Gli abitanti della valle che si schierano contro
il TAV in questa narrazione vengono considerati alla stregua di banditi invece
che cittadini preoccupati per il proprio futuro e quello del territorio, già
ferito, in cui vivono. Un processo alle idee che ricorda altri tempi, tempi in
cui in giro per la valle venivano affissi cartelli con scritto “achtung
banditen”, tempi in cui le donne che si opponevano al potere costituito erano
soggette alla “caccia alle streghe”.
Ora come allora i
persecutori, i carnefici si travestono da burocrati,
nascondono la loro vigliaccheria dietro una presunta oggettività del diritto.
Un’oggettività del diritto che condanna sempre i più deboli, condanna chi
resiste ed è supina ai ricchi, ai potenti. La politicizzazione del Tribunale di
Torino, e in particolare di alcuni magistrati e di alcuni giudici che qui
esercitano ormai è cristallina. La giudice Elena Bonu, conosciuta tra le aule
per il suo sadismo, la pm Pedrotta che ha fatto della incriminazione verso i No
Tav la sua ragione di vita, sono i degni eredi di Rinaudo (promosso nell’Unità
di crisi della Regione Piemonte, al servizio di Cirio nella sua devastante
gestione della pandemia), Padalino (invischiato negli scambi di favori, nelle
nomine pilotate e nel peggiore marcio del sottobosco della magistratura),
Caselli (vero iniziatore della strategia di intimidazione verso chi lotta in
Val Susa). Un tribunale che, lavorando in piena sintonia con questura e
carabinieri, è diventato a tutti gli effetti il braccio armato di Telt per
portare avanti un’opera della cui inutilità ormai ne parla apertamente non solo
la popolazione della valle ma persino l’analisi costi benefici dello
scorso governo e la Corte dei Conti Europea.
In un’epoca come questa,
sconvolta dai cambiamenti climatici e dalla pandemia di Coronavirus, ci si
aspetterebbe che le ragioni della vita prevalessero sulle ragioni del denaro.
Ma se c’è qualcosa che abbiamo imparato in questi trent’anni di resistenza è
che solo la determinazione dei popoli, la forza e la dignità di chi si
oppone possono mettere un freno all’egoismo, all’arroganza, alla prepotenza di
chi amministra e gestisce il potere.
La pandemia in cui stiamo
vivendo ha approfondito in noi la consapevolezza che prendersi cura di chi ci
sta vicino, dei posti in cui viviamo è la priorità assoluta. In fondo quando
diciamo “Si parte e si torna insieme” è questo che intendiamo. Quindi abbiamo
deciso di non lasciare sola Dana ad affrontare le prepotenze del potere, ma di
farle sentire tutta la nostra solidarietà e vicinanza con un presidio
permanente sotto casa sua, in Via Pietro Ravetto 38 a Bussoleno, in maniera
che sia grande la vergogna di chi si presenterà per provare a tradurla in
carcere.
Invitiamo tutti e tutte a
portare solidarietà a Dana e testimoniare la propria indignazione verso questa
assurda decisione.
In Val Susa la vergogna dello Stato. Dana e Stefano
liberi subito!
Sono venuti che era ancora notte e sono venuti
in forze. Hanno la paura di chi sa di avere torto.
Questa mattina alle 5, con un blitz in pieno
stile, con blindati e celerini, le forze dell’ordine hanno applicato la
paradossale sentenza nei confronti di Dana emessa dal Tribunale di sorveglianza
di Torino nella persona della giudice Elena Bonu. Ma ad attenderli hanno
trovato il popolo No Tav deciso a sostenere Dana in questo momento e a non far
passare sotto silenzio questa vergognosa prepotenza contro una donna, una
compagna e contro un intero territorio.
Un intero quartiere di Bussoleno è stato
militarizzato per ore, impediti gli accessi agli abitanti del paese che
volevano testimoniare con un gesto d’affetto la loro vicinanza a Dana.
Nonostante il dispiegamento di forze però i No Tav sono riusciti a raggiungere
la casa e a gridare forte il dissenso verso questa ingiustizia. Una marcia
della vergogna per chi è venuto a prelevare Dana, che ha reagito con spintoni a
giovani e anziani, minacce e insulti. La Digos di Torino si è distinta come al
solito nell’esercizio dell’arroganza verso chi lotta per difendere la propria
valle.
I volti di questi loschi individui con i
distintivi erano pieni di paura e vergogna mentre Dana a testa alta ha salutato
i solidali prima di venire condotta all’auto.
Come se non bastasse, mentre questo enorme
dispositivo di uomini e mezzi veniva messo in campo per tradurre Dana i
carcere, tre volanti dei carabinieri notificavano a Stefano, compagno No Tav, i
domiciliari per 5 mesi.
Dopo che l’auto con a bordo Dana era già lontana
dall’abitazione la celere ha caricato a freddo un gruppo di abitanti di
Bussoleno la cui unica colpa è quella di aver voluto salutare una propria
concittadina finita nelle mani dell’ingiustizia, ferendo alla testa un giovane
No Tav.
Questa mattinata ha sancito che la Val Susa è
fuori dallo Stato di Diritto, è un territorio occupato come diciamo da anni,
dove le forze dell’ordine possono fare il buono e il cattivo tempo al servizio
dei potenti senza che nessuno dagli scranni istituzionali faccia domande. Un
luogo dove Telt, l’azienda promotrice dell’opera, amministra direttamente la
giustizia utilizzando tribunali e polizia come una milizia privata. Un luogo
dove un reato sociale, una iniziativa durata dieci minuti, una lettura di un
volantino al megafono può costare due anni di carcere.
E che dire di questo governo supino allo
strapotere delle lobbies del cemento e del mattone? Che dire di quella parte di
maggioranza che per anni si è professata No Tav? Quelli che si professavano
vicini alle esigenze dei cittadini adesso tacciono di fronte allo Stato
d’eccezione che viene applicato in tutta la sua violenza in Val Susa.
Quanto ci è costato questo abuso di potere che è
andato in scena questa mattina? Quanto ci costano i pool di magistrati, quanto
ci costano le decine di agenti della Digos che si occupano quasi esclusivamente
dei No Tav?
Mentre una pandemia sta sconvolgendo il pianeta
le priorità che vengono portate avanti sono chiare, continuare a finanziare il
sistema delle grandi opere inutili e perseguitare, arrestare, colpire chi vi si
oppone.
In valle però si continua a resistere da
trent’anni con determinazione e senza paura, in questa valle abbiamo imparato a
prenderci cura del territorio e del nostro prossimo, a non lasciare nessuno
indietro, abbiamo imparato che il concetto di giustizia, quello vero, non
coincide quasi mai con la violenza della legge. Abbiamo appreso che si è vivi,
si è giusti solo se ci si ribella, e noi continueremo a farlo, perché sappiamo
che questa grande opera è mortifera, sappiamo che non vogliamo un futuro di
devastazione, inquinamento, tumori e desolazione sociale per il territorio in
cui viviamo. Quindi non lasceremo sola Dana, non lasceremo solo Stefano e
continueremo la loro, la nostra battaglia, come sempre pronti con il cellulare
sul comodino e gli scarponi vicino al letto.
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