Un giorno di marzo vado a Ferrara, sento Patrizia, le dico che sto in
città e mi piacerebbe farle l’intervista che in estate è saltata. C’era traffico
quel giorno e lei stava al mare. Ma adesso sto qui e la chiamo.
“A che ora ti posso raggiungere domattina”, lei dice “verso le undici ti va
bene? Ma se vuoi – aggiunge – vengo io in centro in bicicletta” “No, vengo io –
le faccio – ma dove?” “Io sto a Ferrara sud”.
Mi da l’indirizzo e ci arrivo in taxi perché il mio furgone è bloccato in
teatro dove faccio spettacolo. Alle undici precise le mando un messaggio
“Scusa, arrivo un po’ in ritardo”. Alle undici e venti sto da lei.
Dieci minuti dopo accendo la videocamera.
Patrizia comincia subito a piangere.
Le dico che possiamo interrompere quando vuole.
“No, no, no – dice lei – Lo sapevo che va così.
Che lo facciamo oggi, domani, tra mille anni non ci sia differenza”.
Parliamo per tre ore e piange. Racconta di Federico, un ragazzo che “stava
diventando una persona meravigliosa”, ma non gli è stato concesso.
Quattro guardie l’hanno preso vivo e lasciato morto.
Sono passati quindici anni e, grazie a donne come Patrizia, tante altre
persone hanno preso il coraggio di denunciare, di esporsi contro il potere in
divisa e il terrore di fronteggiarlo. In queste ore un’altra donna
coraggiosa, Ilaria Cucchi, ci racconta gli ennesimi imbrogli orchestrati per
intossicare la verità sulla morte di un altro ragazzo, più grande di Federico,
che è incappato nello stesso destino.
E poi tanti altri.
Una lista che fa paura non solo per i nomi che leggiamo, ma per
tutti quelli che dovremo scriverci domani, tra un mese, tra un anno.
E non raccontate che sono mele marce.
È un alibi che non regge.
… Tra un po’ arriveranno quelli che ribadiscono la teoria delle
mele marce. E gli si dovrà scrivere: e perché le mele sane non le
denunciano? Perché i bravi colleghi non si prendono la responsabilità di
denunciare quelli violenti?
E poi ci saranno anche quelli che scrivono: quando ti rubano a casa… chi
chiami? E allora sì che gli sbirri diventano buoni se ne hai bisogno! E
toccherà rispondere per l’ennesima volta che combattere il crimine è il
mestiere della polizia come il mio è scrivere e raccontare storie, come quello
dell’idraulico è farmi funzionare il bagno, eccetera. E se non vi basta questo
paragone: il poliziotto combatte l’illegalità come il medico combatte la
malattia. Va meglio?
E poi arriveranno anche quelli che… “perché non parli degli agenti che
muoiono per combattere la mafia?”.
E ancora… “perché non parli dei crimini commessi dai comunisti?”.
E… “perché non denunci il turbocapitalismo, i sionisti, Soros, le
multinazionali del farmaco…”.
Per questo motivo ho incontrato Patrizia. Per farmi raccontare delle storie su
Federico che lo facessero somigliare a tante altre storie che conosciamo. Alle
nostre. Senza sporcare il discorso.
A un certo punto, in quel giorno di marzo, mi dice:
“Era un vero miracolo Federico perché… cioè era anche nato piccolo, cioè
lui… non avevo portato avanti la gravidanza perché avevo la gestosi, perciò me
l’han fatto nascere col cesareo, era piccolissimo, era un chilo. Io… era a sei
mesi e mezzo di gravidanza. E quindi praticamente lui è rimasto in incubatrice
un altro mese e nel frattempo… sai che gli davano il latte con il tubino… e una
volta un’infermiera gli ha messo il latte in trachea, che gli andava nei
polmoni rischiando di soffocarlo, naturalmente questa cosa non è venuta fuori
al momento, non si parlava di denunce e ha avuto una polmonite proprio per
questa goccia di latte che è andata in un polmoncino così e ha lottato per la
vita fin da piccolissimo….”.
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