I cattivi governi che amministrano stati polizieschi stanno lanciando in tutta l’America Latina una fenomenale offensiva militare contro i popoli. Nelle favelas del Brasile, nelle periferie urbane dell’Argentina, nelle aree rurali della Colombia, nei territori in resistenza mapuche e nel Chiapas zapatista.
È proprio dove la dignità di quelli in basso rimane intatta, dove la forza
collettiva dei popoli resiste e costruisce altri mondi che quelli in alto
stanno approfittando delle quarantene che si autoimpongono quelli per contenere
la pandemia, per cercare di distruggere le resistenze ai megaprogetti
estrattivi.
Il 22 agosto dei paramilitari dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori
di Caffè di Ocosingo (Orcao) hanno saccheggiato e incendiato case e magazzini
del Centro di Commercio Nuevo Amanecer del Arcoiris, nella località crocevia di
Cuxuljá, nella comunità ribelle di Moisés Ghandi, municipio di Ocosingo, Chiapas (https://bit.ly/3lj4qB5).
Come dichiara il comunicato del Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio
Indigeno di Governo, i paramilitari operano insieme al partito Morena e
al governo regionale, facendo parte della “guerra che, dall’alto, si sta
dispiegando contro l’organizzazione delle comunità zapatiste”.
In Colombia, l’offensiva paramilitare ha assassinato 33 persone in appena
11 giorni, in quattro massacri “per mano di gruppi finanziati dal
narcotraffico” (https://bit.ly/3aWQaJw). Quest’anno sono
stati effettuati 33 massacri. Uno dei dipartimenti più colpiti è il Cauca, dove
i popoli riuniti nel Consiglio Regionale Indigeno del Cauca offrono una tenace
resistenza al modello di morte.
Nel Cauca, il Processo di Liberazione della Madre Terra ha recuperato 16
proprietà agricole in quasi cinque anni, dove seminano vita e si prendono cura
di 26 mila e 200 pozze d’acqua e 123 lagune naturali (https://bit.ly/3jfhAgB). In
un quarto del Cauca si cerca petrolio e nel 40 per cento della superficie si
esplora in cerca di metalli. Inoltre si vogliono costruire due grandi strade e
un porto in acque profonde nel Pacifico.
In Argentina, il Coordinamento contro la Repressione Poliziesca e
Istituzionale ha registrato, dal 20 marzo al 6 agosto, 92 morti per mano di
membri delle forze statali, quando “non c’era una reale situazione di pericolo
per ‘l’uccisore’ o terzi”. Di questo totale, 34 sono state fucilazioni per
“grilletto facile”, 45 morti sotto custodia in carceri o commissariati, quattro
sono stati femminicidi e tre scomparse forzate (https://bit.ly/2QmFmLi).
Nel medesimo periodo denunciano, inoltre, circa 100 casi di uso abusivo
della forza da parte della polizia, con “bastonate, torture, assassinii, stupri
e persone fatte scomparire”. Tutto questo succede sotto un governo che
si autoproclama “progressista”.
In Brasile, le morti per mano della polizia durante la pandemia sono
cresciute del 26 per cento, “nonostante la riduzione di gente nelle strade”, secondo
un’inchiesta realizzata dal quotidiano O Globo (https://glo.bo/3gvBZvP).
Meno persone nelle strade, significa “minor controllo sociale sull’attività di
polizia”, fatto che finisce con una maggiore impunità, giacché si constata “una
polizia senza controllo”.
Un rapporto dell’Università Federale Fluminense segnala che “il numero di
morti nelle favelas di Río de Janeiro è caduto del 72,5 per
cento nel mese in cui sono state sospese le operazioni di polizia in queste
comunità” (https://bit.ly/31onaH8).
Il pattugliamento militare nelle favelas è stato sospeso a
maggio dal Tribunale Supremo Federale, dopo un massacro di 12 persone nel
Complexo do Alemão (https://bit.ly/3hnTYpo).
Nei territori mapuche, del Cile, è aumentata la repressione, con
l’attivazione da parte dello stato di gruppi paramilitari composti da
agricoltori, che occupano terre usurpate alle comunità (https://bit.ly/31njy8w).
Tre considerazioni finali:
La prima è che la violenza contro quelli in basso è aumentata in tutta la
regione, con governi di destra, come in Colombia, Cile e
Brasile, e con governi “progressisti”, come in Argentina e
Messico. È, pertanto, una violenza strutturale e sistemica.
La seconda è che le classi dominanti stanno approfittando della pandemia
per rompere le resistenze al saccheggio che rappresentano i popoli in
movimento. Per ottenere questo obiettivo, accelerano la militarizzazione e la guerra
contro le comunità.
La terza è che solo l’autodifesa collettiva dei popoli può frenare
questa offensiva. Dobbiamo aver chiaro che siamo nelle prime fasi di
una vasta guerra contro i popoli originari destinata a ridisegnare la mappa del
mondo, espellendo le comunità dalle loro terre per aumentare l’estrattivismo.
In questa guerra quelli in alto utilizzano eserciti statali,
paramilitari, narcos e una brutale disinformazione. Noi
non resistiamo alla morte con la morte. Non agiamo in modo simmetrico. La
reazione dell’EZLN di fronte all’assassinio del maestro Galeano, nel maggio del
2014, ci ispira: continuare a costruire i nostri mondi, mentre resistiamo.
Fonte: La Jornada
L’articolo è stato tradotto e pubblicato in italiano dal Comitato
Fonseca
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