«Accordo» di Dublino addio? - Gian Mario Gillio
Il primo discorso sullo stato dell’Unione dopo la pandemia
Quella provocata dalla pandemia Covid-19 «É una crisi globale e bisogna trarne lezioni globali - ha detto la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen -. Per questo, con il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte e con la presidenza italiana del G20, convocherò un summit globale sulla salute l’anno prossimo in Italia», ha affermato in occasione del primo discorso sullo Stato dell’Unione nella sede del Parlamento Europeo tenutosi ieri 16 settembre a Bruxelles.
Per Von der Leyen la lotta al virus, il lavoro, il clima e i diritti sono le priorità che l’Europa dovrà affrontare. Oltre a queste ne ha aggiunta un’altra, inattesa, per certi versi esplosiva e che ha scosso i presenti in seduta: «Posso annunciare - ha detto - che aboliremo il regolamento di Dublino. Lo sostituiremo con un nuovo sistema europeo di governance delle migrazioni. Avrà strutture comuni per l’asilo e per i rimpatri e un forte meccanismo di solidarietà».
La prossima settimana, dunque, Von der Leyen presenterà una serie di misure per sostituire l’attuale accordo in vigore. Per ora si tratta di una proposta, di un proposito, niente di più. Abbiamo però chiesto una reazione a caldo al professor Paolo Naso, il coordinatore di Mediterranean Hope - progetto rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in italia (Fcei).
«L’apertura di Von der Leyen è certamente incoraggiante - ha affermato Naso -. Tuttavia c’è un problema di fondo, quello di poter garantire vie legali e sicure ai rifugiati e richiedenti asilo, vie che ancora non ci sono. Solo grazie a queste procedure sicure e legali sarà possibile contrastare efficacemente l’immigrazione irregolare e prevenire problemi di ordine sociale». Dal momento che lo sguardo di Von der Leyen è rivolto in particolar modo all’Italia, come lei stessa ha affermato ieri: «Una buona pratica tutta italiana a cui guardare - ha proseguito Naso -, nata come progetto ecumenico e pilota in Europa, è certamente quella importante e consolidata dei “Corridoi umanitari”».
I Corridoi umanitari italiani e europei.
I corridoi umanitari sono regolati da un Protocollo d’intesa sottoscritto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale - Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie, dal Ministero dell’Interno - Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e da: Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei); Tavola Valdese (chiese valdesi e metodiste); Comunità di Sant’Egidio. Il primo Protocollo è stato firmato il 15 dicembre 2015. I principali obiettivi sono: evitare i viaggi dei profughi con i barconi della morte nel Mediterraneo; contrastare il micidiale business degli scafisti e dei trafficanti di uomini, donne e bambini; concedere a persone in «condizioni di vulnerabilità» (ad es. vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, donne sole, anziani, malati, persone con disabilità) un ingresso legale sul territorio italiano con visto umanitario, e successiva presentazione della domanda di asilo; consentire di entrare in Italia in modo sicuro per tutti, anche di chi accoglie, perché il rilascio dei visti umanitari prevede i necessari controlli da parte delle autorità italiane.
«Vorremmo che il modello dei corridoi umanitari diventasse un patrimonio europeo a tutti gli effetti», ha affermato poco tempo fa la viceministra agli Affari Esteri e alla Cooperazione internazionale Emanuela C. Del Re. Un progetto che ha dato prova di essere assolutamente vincente, perché «mette sicurezza e protezione in un connubio perfetto», sottolineava.
L’occasione era un incontro tenutosi al Parlamento Europeo per chiedere l’attivazione di Corridoi umanitari europei: «È venuto il tempo di agire e siamo fiduciosi che una nuova alleanza tra persone coraggiose e visionarie – provenienti dal mondo delle istituzioni così come dalla società civile e dalle chiese – possa fare la differenza», disse lo scorso 10 dicembre (2019) la moderatora della Tavola Valdese Alessandra Trotta, chiedendo canali d’ingresso legali e sicuri dalla Libia e dai Paesi vicini verso l’Europa, sulla scorta di quanto già realizzato in Italia e in altri Paesi europei.
«Siamo qui - proseguì Trotta - per sottolineare l’importanza di un nuovo approccio europeo alle migrazioni globali. L’idea di una “fortezza europea” non è solo vana e irrealistica ma tradisce la storia e il genio di un primato europeo a favore dei diritti umani».
«L’accordo» di Dublino.
Dal 1999 l’Unione Europea, si legge su openmigration.org, ha cercato di realizzare un sistema comune di asilo. Tuttavia, ancora oggi, una persona che entra in Europa non può decidere in quale Stato presentare la sua richiesta di asilo. Infatti, il principio generale alla base del regolamento Dublino III è che «qualsiasi domanda di asilo dev’essere esaminata da un solo Stato membro, quello individuato come competente e la competenza per l’esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primo luogo sullo Stato che ha espletato il ruolo maggiore relativamente all’ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri, salvo eccezioni».
Quindi, la richiesta di asilo per un migrante proveniente da un Paese terzo deve essere fatta nel primo Paese dell’Unione in cui questa persona «mette piede» (Italia e la Grecia sono i paesi di approdo più coinvolti) e dove dev’essere identificato.
Un po’ meno filo spinato, ma più alti i muri – Stefano Galieni
In serata di oggi mercoledì 23 settembre, sarà reso pubblico il “Patto per i migranti” realizzato dalla Commissione Europea e già presentato per larghe linee, nei giorni scorsi, dalla presidente Ursula Von der Layen. Le vicende legate all’incendio del campo profughi/hot spot di Moria, in Grecia (isola di Lesbos) e quelle meno significative dal punto di vista numerico ma più incidenti negli equilibri politici in Italia, hanno portato a velocizzare un percorso che sembrava abbandonato.
Il progetto ambizioso presentato dalla Commissione presenta più luci che ombre, se dovessimo fare una metafora potremmo dire che sulla “fortezza Europa” è stato tolto un po’ di filo spinato ma nel frattempo si sono alzati più alti i muri.
Ora sarà necessario un percorso lungo per accontentare tanto i paesi indisponibili ad alcun vincolo come il Gruppo Visegrad, l’Austria e gli scandinavi, quanto i paesi più toccati dalla materia per la loro collocazione geografica.
Il piano si propone di affrontare le questioni connesse per almeno 5 anni ma parte intanto da un presupposto semplicemente inesistente. Non esiste ad oggi in Europa un’emergenza immigrazione. Sono i numeri a dirlo: ad oggi in Italia, uno dei cosiddetti paesi esposti, sono giunti dal mare poco più di 21 mila uomini, donne e bambini. Lo stesso dicasi per la Grecia. Esiste invece una vera emergenza ma trentennale nei paesi dell’Europa meridionale, legata alle condizioni di vita di chi è arrivato, manca la volontà di garantire loro reale assistenza sanitaria, accoglienza, qualità dignitosa della vita, prospettive di lavoro o di inserimento scolastico.
Non sono fatti episodici: quanto accade a Lampedusa sembra destinato a ripetersi, a Moria, al posto del campo bruciato, ne verrà costruito uno nuovo a 3 km in una ex caserma con gli stessi problemi del precedente.
Ursula Von der Layen ha dichiarato che “cambierà tutto”, a partire dall’astruso Regolamento Dublino che obbliga chi arriva a chiedere asilo nel primo paese UE di approdo.
Una proposta di modifica di “Dublino” era già stata presentata nella scorsa legislatura, limata – e peggiorata in senso moderato – dalla discussione in parlamento è stata poi ignorata dal Consiglio. Con puro buon senso tale proposta prevedeva di tenere in conto i legami affettivi, linguistici, le possibilità di cui gli stessi richiedenti sono a conoscenza, per decidere in quale paese europeo potersi trasferire.
Il meccanismo ideato per far fronte ai veti sovranisti dalla Commissione pare faragginoso e destinato a creare nuove sacche di invisibilità.
Non si capisce in base a quali calcoli si stabilisce che ad esempio fra coloro che arrivano in Italia solo il 20% potranno avere asilo. Per costoro varrà, a quanto ci è dato sapere, l’impegno di tutti i paesi UE a ripartirseli e a farsene carico. Coloro che non accetteranno tale ripartizione saranno liberi di farlo ma ad una condizione. Dovranno prendere in carico quelli da rimpatriare che resteranno per 8 mesi però nel paese in cui sono giunti. Trascorsi gli 8 mesi, coloro che non saranno stati rimpatriati, dovranno essere trasferiti nel paese che si è fatto carico di loro e che dovrà liberarsene.
Questo presuppone che o i richiedenti asilo saranno ovunque segregati o che gran parte di coloro che non avranno accesso alla protezione spariranno per non essere trattati come pacchi.
Vero è che il testo prevede l’impegno dell’UE e non più dei singoli paesi per garantire il salvataggio in mare, le pratiche di identificazione entro 5 giorni (come faranno lo vedremo) e l’espletazione delle pratiche per vedere se si ha o meno diritto all’asilo in 12 settimane rispetto ai tempi odierni che superano in Italia 1 anno.
E qui scatta un’altra perplessità. Se esiste ancora lo stato di diritto, a chi potrà appellarsi colui o colei a cui è negata protezione? Se non ci sarà alcuna autorità giuridica atta a ciò si ledono i più elementari principi del diritto internazionale.
Un appiglio giunge in una precisazione fatta dalla presidente. In caso di crisi per il numero degli arrivi o di pandemia (siamo ancora nel secondo dei punti proposti), ogni paese dovrà prendere rifugiati e “migranti economici irregolari”, salvo poi trovando il modo di far sì che chi non li prende se la cavi contribuendo economicamente.
Si minacciano poi i paesi di transito e di fuga. “Se vi riprenderete i vostri cittadini, incrementando gli accordi di riammissione, ci saranno maggiori sforzi nella cooperazione”. Letta al contrario si traduce: “se non impedite loro di partire, esternalizzando ancora di più le frontiere, l’Europa vi volterà le spalle”.
Bisognerà vedere come procederà la discussione e se alcuni aspetti concreti verranno tenuti in considerazione, primo fra tutti che non si tratta di proteggere l’Europa dall’invasione ma si tratta di garantire a persone, uomini, donne e bambini, un minimo di possibilità.
Resta un’ombra pesante. Nelle precedenti dichiarazioni si era accennato a canali di ingresso regolari per migranti economici intenzionati a lavorare in Europa. Ora questo aspetto sembra sparito, si sussurra al massimo di far entrare figure utili all’apparato produttivo e selezionate.
È questa l’Europa?
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