Fino alla fine d’agosto, l’estate di Paul Rusesabagina non aveva avuto niente d’eccezionale. Per mesi quest’uomo di 66 anni non aveva fatto molto più che sedersi nella veranda della sua casa in Texas, annaffiare le piante, telefonare ai figli e chiacchierare con i vicini. Dopo essere guarito da un cancro, era preoccupato per il covid-19 e osservava scrupolosamente le misure raccomandate per evitare di essere infettato dal virus. Le sue settimane sono passate senza problemi.
Ma dall’altra parte del mondo, nel Ruanda in cui è nato, le agenzie di
sicurezza stavano architettando dei piani per portare questo ex imprenditore
nella capitale Kigali e costringerlo ad affrontare delle accuse di terrorismo,
un processo, la prigione.
L’operazione segreta – definita dagli avvocati di Rusesabagina
un’“estradizione illegale” – ha portato l’attenzione del mondo sulla storia
traumatica di questo paese africano, sugli spietati tentativi di mettere a
tacere i dissidenti da parte del suo leader storico, su una regione che danza
sull’orlo di un catastrofico conflitto, e su una famiglia sotto shock.
Sorvegliati da Kigali
“Siamo sotto pressione e preoccupati, ma siamo forti. Nostro padre ci ha
insegnato a essere così, ad aspettarci l’imprevedibile in ogni momento.
Vogliono mettere a tacere la sua voce”, ha dichiarato il figlio di
Rusesabagina, Filston.
Rusesabagina non aveva più messo piede in Ruanda dai tempi del genocidio che provocò la morte di circa ottocentomila persone nel 1994, ma con il passare
degli anni si è sempre più impegnato in attività volte a rovesciare Paul Kagame, che da vent’anni è
presidente del paese.
Per mesi, forse anni, i servizi di sicurezza ruandesi hanno tenuto sotto
osservazione Rusesabagina, la cui famiglia sapeva da molto tempo di poter
essere oggetto d’intimidazioni e sorveglianza. “Per tutta la vita siamo stati
prudenti (…), sempre consapevoli di poter essere pedinati o intercettati”, ha
spiegato Filston Rusesabagina.
Per questo la sua famiglia è stata colta di sorpresa quando Rusesabagina, a metà agosto, ha comunicato che sarebbe andato a Dubai per alcuni “incontri”. “Doveva trattarsi di una cosa incredibilmente importante. Altrimenti non avrebbe mai neppure pensato di andarci. Da molto tempo non usciva dagli Stati Uniti”, ha detto suo figlio.
Partito il 26 agosto con un volo Emirates che ha fatto scalo a Chicago,
Rusesabagina è atterrato a Dubai nella prima serata del 27, e ha chiamato a
casa alle 23 circa per dire che era arrivato sano e salvo.
Quello che è accaduto dopo rimane un mistero. E le autorità ruandesi
sperano che rimanga tale.
La ricostruzione
I registri di volo hanno identificato un jet privato decollato dall’aeroporto
Al Maktoum di Dubai alle 00.55 del 28 agosto e atterrato a Kigali alle 6 del
mattino. Gli avvocati che rappresentano la famiglia di Rusesabagina hanno
dichiarato di ritenere “molto probabile” che lui fosse su quell’aereo, un
Bombardier Challenger usato da una compagnia di voli charter di cui spesso si
serve il governo del Ruanda.
Secondo i documenti ottenuti dal sito Africa Confidential, gli aerei usati da quella compagnia
privata hanno effettuato cinque viaggi d’andata e ritorno verso la capitale
ruandese a partire da giugno. Le autorità degli Emirati Arabi Uniti hanno
negato di essere a conoscenza dell’accaduto.
Quattro giorni dopo la telefonata di Rusesabagina alla sua famiglia, le
autorità ruandesi hanno comunicato al Belgio di aver sottoposto a fermo un
cittadino belga. Solo quando hanno mostrato l’uomo da loro detenuto a Kigali,
in manette e di fronte ad alcuni giornalisti selezionati, la sua identità è
risultata chiara.
Le autorità ruandesi hanno spiegato che Rusesabagina è accusato di essere
“fondatore, leader, finanziatore e membro di formazioni terroristiche armate ed
estremiste (…) attive in varie zone della regione e al di fuori di esse”, e che
era stato arrestato ai sensi di quello che hanno definito “un mandato
internazionale”.
Ma Jeannot Ruhunga, capo dell’agenzia investigativa del Ruanda, ha
dichiarato a un sito d’informazione locale che Rusesabagina era stato arrestato
all’arrivo a Kigali. Fonti dell’opposizione ruandese si sono dette convinte che
Rusesabagina sia stato vittima di un inganno.
Un altro piano
Rusesabagina, che nel 2010 si è espresso pubblicamente contro l’incarcerazione
di un leader dell’opposizione e quattro anni fa ha annunciato una campagna
politica contro il governo, da lui definito una dittatura, non era un
oppositore come gli altri.
Quando era direttore di un albergo di lusso a Kigali, durante il peggior
momento delle violenze genocidarie del 1994, aveva accolto più di 1.200
persone, salvandole dalla morte. La sua storia è stata raccontata nel
film Hotel Ruanda e ha ottenuto la più alta
onorificenza civile degli Stati Uniti, che gli è stata consegnata dall’allora
presidente George W. Bush nel 2005.
Alla fine del 2018 le autorità ruandesi hanno inviato a quelle del Belgio un documento di 14 pagine, con cui richiedevano un mandato d’arresto per Rusesabagina, cittadino belga, presso la sua residenza a Bruxelles. Il documento accusava il suo movimento di decine di azioni violente. Ma quando l’abitazione del dissidente è stata perquisita, non è stato trovato niente e non sono state condotte altre indagini. A quanto pare, i servizi di sicurezza ruandesi hanno elaborato un altro piano.
Vari esponenti di spicco dell’opposizione ruandese vivono a Dubai e alcuni
dissidenti ipotizzano che Rusesabagina possa essere stato convinto a incontrare
una persona di cui si fidava, ma che potrebbe averlo tradito. “È la cosa che
più ci spaventa… Queste persone possono rapirti, nasconderti, e farti
scomparire. Alcuni finiscono uccisi, ad altri viene detto cosa dire e sono
risparmiati”, ha spiegato uno di loro, preferendo rimanere anonimo.
I servizi di sicurezza sono ritenuti responsabili di aver ucciso, rapito,
aggredito e minacciato decine di personaggi pubblici ruandesi in Kenya, Uganda,
Sudafrica, Regno Unito e altrove.
Uno dei casi più famosi è stato l’omicidio di Patrick Karegeya, oppositore
ed ex capo dei servizi di spionaggio, che fu attirato nella stanza di un
albergo di lusso a Johannesburg nel 2014 e strangolato. “Qualsiasi persona
ancora viva che stia complottando contro il Ruanda, ovunque si trovi, pagherà
un caro prezzo”, ha dichiarato Kagame dopo l’omicidio.
Nel 2019 Callixte Nsabimana, leader di un gruppo armato legato
all’organizzazione politica creata da Rusesabagina, è scomparso nelle isole
Comore ed è riapparso due settimane dopo a Kigali, arrestato dalla polizia con
accuse di terrorismo. Era stato condotto lì su un aereo privato, hanno spiegato
questa settimana al Guardian alcuni dissidenti.
Nsabimana era il leader delle Forze di liberazione nazionale (Fln), che
negli ultimi anni hanno effettuato una serie di attacchi mortali in Ruanda.
L’Fln era il braccio militare del partito politico Movimento ruandese per il
cambiamento democratico (Mrcd), che Rusesabagina ha contribuito a fondare.
Le autorità ruandesi sostengono che Rusesabagina stesse finanziando alcune
operazioni del Fln attraverso la sua fondazione filantropica. I suoi familiari
sostengono che l’accusa sia priva di fondamento, e che da anni la fondazione
non disponga di risorse.
Kagame si è espresso con toni volutamente criptici nel corso di
un’intervista rilasciata il 6 settembre. Ha negato che Rusesabagina sia stato
rapito, lasciando però intendere che l’uomo sarebbe stato vittima di una sorta
di trappola, e che sarebbe bastato che qualcuno gli raccontasse una “storia
falsa che calzava a pennello con l’immagine di sé che l’uomo voleva avere. Nel
farlo arrivare qui non sono state commesse azioni illecite. È arrivato spinto
da ciò in cui credeva e voleva fare. È come se avesse chiamato un numero
sbagliato… Non c’è stato nulla d’irregolare”, ha dichiarato Kagame.
Figura controversa
Il presidente ruandese, che ha ottenuto un terzo mandato con il 98 per cento
dei voti alle elezioni del 2017, è una figura controversa. Gli viene
riconosciuto il merito dello sviluppo e della stabilità di cui il Ruanda ha
goduto dopo il genocidio, ma è anche accusato di non tollerare alcuna critica,
nazionale o internazionale.
Gli analisti ritengono che processare Rusesabagina potrebbe essere un
esercizio delicato per il governo ruandese, poiché i pubblici ministeri
dovrebbero presentare prove convincenti alla comunità internazionale, senza
rivelare troppo dei metodi usati dalle forze di sicurezza locali.
Da tempo il governo ruandese mette in discussione il racconto di
Rusesabagina sul suo salvataggio di vite umane durante il genocidio, e Ibuka,
un gruppo di sopravvissuti al genocidio, ha affermato che Rusesabagina avrebbe
ingigantito il suo ruolo personale nella vicenda.
Secondo Dino Mahtani, vicedirettore del programma per l’Africa
dell’organizzazione International crisis group, l’episodio rivela problemi
molto più ampi, che affliggono l’irrequieta regione dei grandi laghi africani,
dove gli scontri tra poteri locali rivali si sta facendo sempre più aspra.
“La cosa non riguarda solo Rusesabagina… Ma più in generale la destabilizzazione
in corso di una regione, divenuta ormai una polveriera”.
(Traduzione di Federico Ferrone)
Questo articolo è uscito sul quotidiano
britannico The Guardian.
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