Il 19 agosto sera sono rimasto
addolorato. Mi preparavo a recitare il rosario del mercoledì assieme a mia
moglie quando ho scoperto che esso veniva recitato dalla Diocesi militare,
ovvero castrense.
La cosa mi fa male perché quella diocesi è esclusiva, riguarda solo dei
professionisti. Quante altre diocesi allora ci dovrebbero essere? Perché non
una diocesi di insegnanti di religione nelle scuole? E, di questi tempi, una
diocesi dei medici?
Inoltre è esclusiva perché i cappellani militari sono anche ufficiali
dell’esercito; quindi sono separati dai civili.
È esclusiva anche perché nell’esercito italiano non sono ammessi cappellani
militari di altre religioni.
Tempo fa esistevano i cappellani di fabbrica. Poi i padroni non li hanno
pagati più e questo tipo di cappellani è stato eliminato. Che succederebbe
della diocesi castrense se lo Stato italiano non la finanziasse più?
Quella diocesi è esclusiva anche perché, anche dopo più di cinquant’anni,
non ha compiuto nessun atto di riconciliazione con gli obiettori tutti, dopo
averli insultati come “vili e fuori del Vangelo”, né con Don Milani che li
aveva difesi e per questo è stato processato.
Oggi la Chiesa si onora di avere obiettori di coscienza, a cominciare da
Jagestatter, beatificato, e poi le decine di migliaia di giovani obiettori che
hanno fatto servizio nella Caritas. Se ne sono accorti i cappellani militari?
Infine quella diocesi è esclusiva anche perché, andando contro la
Costituzione (che, come la Corte Costituzionale ha sentenziato una decina di
volte, prevede una “difesa della Patria” senza armi posta alla pari della
difesa con le armi) non ha alcuna compartecipazione con i giovani del Servizio
Civile, che pure anche loro fanno difesa nazionale e anche loro avrebbero
bisogno di una pastorale specifica.
E poi prima del rosario il vescovo castrense ha ricordato le missioni di
pace dei militari all’estero, quando a tutti è noto che questa dizione è
propaganda, perché ad esempio gli interessi dell’ENI in Iraq e in Nigeria
(senza mandato internazionale) non si possono onestamente chiamare di Pace.
Invece la Pace oggi richiederebbe, se si ha il coraggio di dire “sì, sì e no,
no” al proprio finanziatore, di seguire Papa Francesco nella obiezione di
coscienza radicale all’illegale presenza a Ghedi e ad Aviano di 90 bombe
nucleari, al loro potenziale uso italiano in una guerra e alla loro
sorveglianza quotidiana.
Inoltre mi ha fatto tristezza vedere le crocerossine; giustamente in
italiano le si chiama con una specie di diminutivo. La Croce rossa è nata per
iniziativa civile proprio per contrastare le guerre; e invece oggi, specie in
Italia, è strettamente legata alle operazioni militari, tanto da farsi
programmare preventivamente il suo intervento. Che differenza con Emergency che
non accetta finanziamenti da chi le guerre le fa e assiste tutti senza
distinguere tra compatrioti e nemici! Quanta generosità e spirito di sacrificio
mal direzionati nella Croce rossa! Dov’è qui la pastorale dei cappellani
militari se convivono con questa stortura?
Chiariamoci. Io voglio anche pregare e fare la comunione assieme ai
militari (tra i quali ho avuto anche amici), ma nella chiarezza, senza
travestimenti da quattro soldi per approfittarsi della ingenuità della gente,
senza farmi pensare che i cappellani militari non sanno più presentarsi con la
schiena dritta; come era invece ai tempi del papa San Giovanni XXIII, il quale
fu cappellano, ma volontario senza gradi militari durante la guerra in trincea.
E che invece ora si ritrova a fare il santo patrono di una diocesi
esclusiva, anti-ecumenica, mantenuta dallo Stato e pronta a mettere la Pacem
in terris al di sotto di ogni strategia di supremazia militare del
nostro tempo, quel tipo di strategia che lui, come altri cappellani (volontari)
del tempo (P. Pio, D. Minzoni, ecc.) chiamava da “vampiri”.
La diocesi castrense abbia il coraggio di presentarsi in un dibattito
pubblico per dire alla gente (che è quella che la paga con le sue tasse) le sue
ragioni per mantenere questo tipo di pastorale che a tanti appare
anti-ecclesiale (se ecclesia significa essere uniti in una assemblea); non si
nasconda dietro il fatto che per parlare in pubblico i cappellani militari,
come ufficiali, debbono avere il permesso dal Ministero della Difesa, il quale
di solito ci mette due anni a concederlo.
Lettera inviata a TV
2000
Antonino Drago, via P. C. Benevnuti 3, 56011 Calci (PI), 050937493
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