In questi ultimi mesi, sui media locali, così come
negli organi istituzionali della Regione Sardegna, è stata lanciata una
asfissiante campagna stampa, dal sottotesto incontestabilmente razzista, tesa
ad alimentare la tensione intorno agli sbarchi degli algerini nel Sud Sardegna,
statuendo il nesso algerini Covid-19. Questa campagna è stata messa in piedi
nel chiaro tentativo di usare gli algerini come capro espiatorio per tutte le
tensioni irrisolte determinate dalla pandemia, deviandole dal contesto dell’intoccabile
economia turistica e dei trasporti, prima che, come era ovvio che fosse, questa
dimostrasse la sua ben maggiore pericolosità.
Questa campagna ha avuto un effetto fortemente
destabilizzante nel paese di Monastir, alimentando un clima di tensione sempre
più esasperato intorno alla presenza degli algerini, internati dentro la
struttura totalmente inadeguata e mal gestita del Centro di Prima Accoglienza,
dando spazio ai gravissimi episodi di intolleranza di queste settimane.
La paura del Covid-19 agitata intorno agli algerini è
propaganda pura e semplice: si tratta infatti degli unici viaggiatori provenienti da fuori Sardegna
che sono sempre stati regolarmente sottoposti a tampone, sia in entrata che in
uscita dal CPA, e posti in un regime di quarantena obbligatoria anche quando
risultati negativi. Ricordiamo che si parla comunque di numeri piuttosto
ridotti (una trentina di casi in tutta l’estate), e che in due mesi di campagna
mediatica sull’”untore algerino”, non si ha notizia di un solo caso di
trasmissione dai casi segnalati nel Centro alla comunità locale, nemmeno
tra gli operatori del centro.
Inoltre, è chiaro da affermazioni rilasciate alla
stampa dai sindacati di polizia che diversi degli immigrati algerini si possono
essere contagiati all’interno del Centro di Monastir. É evidente
che non si è stabilito un sistema di prevenzione adeguato per gli
internati, e infatti la prefettura solo il 19 agosto fa sapere di avere
elaborato un vademecum operativo per “evitare la commistione tra migranti negativi
ed eventualmente positivi”, che comunque non sembra essere mai stato applicato.
La positività
di alcuni migranti, quindi,può essere dovuta alla
malagestione della azienda appaltatrice e, di rimando, della
prefettura. Ciò
non stupisce, considerando che la gestione è in capo alla ORS Italia, filiale
locale di una multinazionale svizzera la cui unica ragione sociale è lucrare
sulla pelle dei migranti, e che per la sua malagestione è già stata estromessa
dal sistema dell’immigrazione austriaco.
La natura discriminante della quarantena per i
migranti negativi al tampone è evidente: ai turisti provenienti da aree
interessate da gravi focolai è stato consentito immediatamente di andarsene,
una volta riscontrata la negatività al tampone (senza considerare i numeri
altissimi di quelli che sono andati e tornati senza mai sottoporsi ad alcun
controllo), a Monastir invece i migranti sono costretti a rimanere reclusi in
spazi totalmente inadeguati da un punto di vista sanitario anche in una
situazione ordinaria, e figurarsi ora. Stanti queste condizioni, perché ci si
dovrebbe stupire che qualcuno tenti la fuga? Chi vorrebbe rimanere
recluso in un posto dove non si riesce a garantire le più elementari norme di
prevenzione sanitaria?
La propaganda paranoica contro gli algerini non è cosa
nuova. In decenni che la rotta algerina verso la Sardegna è stata attiva, i
problemi gravi dovuti al transito degli algerini sono sempre stati molto pochi,
a fronte invece di una propaganda continua, tesa ad amplificare allo spasimo ogni
minimo episodio di cronaca ricollegabile a questa presenza. In anni recenti,
questa propaganda si è incistata nella retorica istituzionale dell’accoglienza,
che contrapponeva il “buon richiedente asilo” al “cattivo clandestino
algerino”, colpevole di non chiedere nulla se non un foglio di espulsione per
squagliarsela in altri paesi europei.
Per gli algerini, la Sardegna è un puro e semplice
luogo di transito, la loro presenza non ha mai costituito una questione
socialmente rilevante. I problemi attuali nascono nel momento in cui, con la
scusa del Covid-19, si improvvisa un regime coatto di trattenimento per persone
che, da negative, sanno benissimo di rischiare il contagio all’interno della
struttura di reclusione, e che si ritrovano così a rischiare una reclusione a
tempo indeterminato in condizioni assolutamente non dignitose.
In questo clima di improvvisazione è ovvio che
struttura, operatori, organizzazione siano inadeguati a gestire le tensioni
determinate da una situazione paradossale e fortemente lesiva dei diritti delle
persone, le quali ovviamente sono portate a reagire. La pretesa di risolvere
questa situazione aggravando ulteriormente la segregazione, magari con l’uso di
una “nave quarantena”, dimostra solo quanto i diritti e l’agentività delle persone
migranti siano totalmente estranei alla mentalità dei vari enti e operatori
implicati. Non è una novità, d’altronde, che la gestione dei campi di
concentramento per migranti sia strutturata in maniera da ignorarne le
aspirazioni e la dignità personale, e non ci si deve stupire se la
reazione dei migranti possa essere la fuga o la rivolta: è quello che è
avvenuto per anni ed anni nel CARA di Elmas, e più recentemente nel
CPR di Macomer. Sotto questo aspetto, sorprende il modo in cui i
sindacati di polizia diffondono video di “perquisizioni” in cui si sequestrano
parti degli arredi del centro per impedire che i reclusi li possano utilizzare
come strumenti di offesa, o delle tensioni tra migranti positivi e negativi al
Covid-19: come se tutto questo non fosse prevedibile conseguenza di
politiche migratorie discriminatorie, vessatorie ed umilianti, aggravate dalla
gestione pessima dell’emergenza sanitaria.
Il clima di tensione generato da questa gestione
scellerata e inumana è stato raccolto da speculatori politici e giornalisti
privi di scrupoli, per alimentare nel paese di Monastir un contesto di paura
generalizzata, tra voci incontrollate che si susseguono insistentemente,
venendo rilanciate anche dalla stampa senza che nessuno si prenda la briga di
verificarle, alimentando un ulteriore conflitto in una situazione di per sè già
piuttosto difficile. Le elezioni comunali imminenti non fanno che aggiungere
benzina sul fuoco, suggerendo ai politici locali di utilizzare la carta
“algerini” come facile scorciatoia per mettere in opera manovre di piccolo
cabotaggio politico; anche gli avvoltoi della politica razzista e fascista si
affollano con grande foga su un abitato del quale nulla gli interessa, se non
l’uso strumentale a scopo di propaganda. In questo clima, il fatto più
preoccupante, è che dalle parole qualcuno abbia tentato di passare ai fatti, ed
è molto grave la naturalezza assolutoria con cui si è dato notizia degli
episodi di intimidazione avvenuti contro i migranti del Centro: le sassaiole, i
danneggiamenti, le ronde, i tentativi di investimento con l’automobile,
riversandone praticamente la colpa sugli immigrati stessi, invece che sugli
esaltati che li eseguono.
Quello che sta succedendo è l’ennesimo esempio di
come il sistema razzista e segregazionista della “gestione dei migranti” sia
costruito solo per generare tensioni sociali, reinventando costantemente il
“problema migranti” ad uso e consumo di una classe politica inadeguata e
spregevole. Il gioco
dell’estate trascorsa è ormai molto evidente: la campagna politica e di stampa
sugli algerini serviva a nascondere la resa totale della Regione Sardegna sulla
organizzazione di qualsivoglia forma di controllo sanitario riguardo ai flussi
turistici. Mentre i nostri compaesani, carne da macello dei vari padroni
dell’industria turistica, si ammalavano nei luoghi del lavoro stagionale, o
negli alloggi sovraffollati e fatiscenti che in genere vi si concedono ai
dipendenti, i lacché nostrani continuavano ad agitare lo straccio del migrante
come distrazione, difendendo con arroganza la propria totale negligenza nella
prevenzione sanitaria che, quella sì, sta producendo un rischio reale per la
comunità sarda, soprattutto in prospettiva dell’autunno, considerando che da
marzo ad oggi nulla si è fatto per riorganizzare e rafforzare il
sistema sanitario regionale.
Siamo stanchi di questo gioco al massacro sulla pelle
dei più poveri, stanchi degli imprenditori della paura che lucrano sulla guerra
tra poveri, stanchi dell’irresponsabilità di una classe politica incapace che
scarica sugli ultimi la propria inettitudine, stanchi di un giornalismo
complice, che si rifiuta di riconoscere dignità ed umanità ai migranti, e si
limita a fare da megafono alle campagne politiche d’odio e alle messinscene con
cui le istituzioni dello Stato camuffano la propria inettitudine e
irresponsabilità.
ASCE Sardegna
Campagna LasciateCIEntrare
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