giovedì 29 aprile 2021

Dal rumore bianco al virus: il silenzio di Don DeLillo - coltrane59

 

Nell’ottobre del 2020 è stato pubblicato il breve romanzo “Il silenzio” di Don DeLillo.

Una coppia in volo verso New York e altre tre persone che stanno aspettando, in un appartamento di Manhattan, per vedere insieme il Super Bowl. Un blackout improvviso costringe l’aereo a un atterraggio di fortuna e gli schermi dei televisori e dei cellulari diventano improvvisamente neri. Cosa sta succedendo? Una guerra, un attentato terroristico o una ribellione improvvisa della tecnica e della natura? Le parole e i pensieri di queste cinque persone, rinchiuse in un appartamento di Manhattan nel 2022 da questa emergenza tecnologica, permettono al grande scrittore americano di raccontare le paure e i limiti di questo mondo devastato da consumismo sfrenato, tecnologie digitali, paura della morte e vita atomizzata.

Nel romanzo “Rumore bianco” (1985) DeLillo ci racconta di una nuvola tossica che esce da un vagone ferroviario e infonde nelle persone la paura della morte, la consapevolezza di non adeguarsi a ciò che non conosciamo e l’impossibilità di sottrarsi a quei rimedi o farmaci che allontanano le nostre angosce: “Non è che non ami la vita; è restare sola che la spaventa, Il vuoto, il senso di buio cosmico.”

Tutto intorno alla storia ruota un mondo di consumismo, TV, suoni, luci, onde, radiazioni, farmaci, carte di credito, famiglia e sogno americano che da una parte nasconde, nella vita di tutti i giorni, questo malessere oscuro e dall’altra è parte integrante e costitutiva di questa nostra incapacità di vivere e sognare un’ altra vita.

Nel romanzo “Il silenzio” questi temi vengono ripresi e moltiplicati anche a causa della pandemia in corso che viene citata direttamente: “Ma abbiamo ancora freschi nella nostra mente i ricordi del virus, della peste, delle code infinite nei terminal degli aeroporti, delle mascherine, delle vie cittadine completamente vuote”. A partire da questa riflessione Tessa, di fronte a questa nuova emergenza, pone una delle domande decisive che scaturiscono dai protagonisti di questo racconto.

Cosa sta succedendo? Chi ci sta facendo tutto questo?

 

Il soggetto

Di fronte allo schermo della TV che rimane nero Max comincia la sua telecronaca della partita, intervallata da qualche messaggio pubblicitario: proprio come un corpo che ormai ha interiorizzato il linguaggio della TV, della telecronaca dello sport e del consumo e trasmette direttamente le parole e i segni del mezzo di comunicazione, dando vita a un altra versione di se stesso.

Ma allora che cosa rimane del soggetto? E gli altri?

“Cosa vedono gli altri quando camminano per strada e si guardano a vicenda? La stessa cosa che vedo io? Tutte le nostre vite, tutto questo guardare. La gente che guarda.

Ma cos’è che vede? Che cinema vogliono gli altri?”

E adesso, dopo questa interruzione forzata della vita normale, dove sono gli altri? I viaggiatori, i giramondo, i pellegrini, la gente nelle case, nelle villette? Dove sono le macchine e i camion, i rumori del traffico? Anche quando i cinque protagonisti si ritrovano insieme nell’appartamento, di fronte a questa disastro tecnologico e umano, non riescono a diventare un insieme o una comunità pronta a resistere e a reagire. “Forse ognuno di quegli individui rappresentava un mistero per l’altro, per quanto il loro legame potesse essere stretto, ognuno di loro era racchiuso nella propria individualità in modo così naturale da sfuggire a qualsiasi definizione conclusiva… Il mondo è tutto, l’individuo niente. L’abbiamo capito tutti questo?”

 

La memoria

Quando sono in aereo Jim e Tessa non riescono a ricordare alcuni nomi. La velocità degli algoritmi e la tecnica digitale ci permette, attraverso il nostro cellulare, di ricordare tutti quei nomi che non ci dicono più nulla. Lo schermo aiuta a nascondersi dal rumore di fondo di quei nomi e di quelle storie dimenticate ma quando “un elemento mancante viene a galla senza l’ausilio di alcun supporto digitale, ognuno lo annuncia all’altro con lo sguardo perso in lontananza, l’aldilà di ciò che si sapeva un tempo e che è andato smarrito.”

Come i gradini che si contavano da bambini e come oggi sia difficile ricordarsi di qualche evento o emozione vissuti da bambino. Lo scrittore in queste righe mette in discussione il ruolo della memoria nel mondo digitale e la capacità perduta di recuperare fatti, connessioni, relazioni e sogni del nostro vissuto individuale e collettivo.

“Non c’è altro da dire che quello che ci viene in mente, perché tanto alla fine nessuno di noi ne conserverà la memoria”.

 

Il pensiero e la tecnologia

Quando i protagonisti del racconto vedono dappertutto solo schermi neri, dalle lavagne dell’ospedale ai cellulari, dalle TV ai tablet, l’evento eccezionale sembra mostrare loro la dipendenza totale del nostro mondo dalla tecnologia, quasi come “tossicodipendenti digitali che non possono usare i loro cellulari fuori uso”.

Ormai il nostro corpo è soltanto il mezzo o l’anello di congiunzione tra il pensiero e la tecnologia.

Ma cos’è realmente la tecnologia? Cosa sono veramente i BOT, i device, gli algoritmi, le criptovalute, ora che tutto sembra antiquato e il futuro sta prendendo forma troppo presto? DeLillo sembra dirci che l’intelligenza artificiale sta tradendo ciò che siamo e il mondo in cui viviamo e pensiamo. Una vera e propria tecnosfera, con un controllo granulare diffuso e interminabili dati di geolocalizzazione satellitare, che avvolge e che pervade ogni pensiero e ogni azione.

 

Siamo in Guerra!

Non so con quali armi si combatterà la Terza guerra mondiale, ma la quarta guerra mondiale si combatterà con pietre e bastoni”. Con questa citazione di Albert Einstein (che probabilmente lo scienziato non ha mai scritto né pronunciato) inizia il libro. Nella seconda parte lo studente Martin, come un robot che ha incorporato la voce e il pensiero di Einstein, di fronte alla catastrofe incombente ribadisce il concetto: “Nessuno vuole chiamarla terza guerra mondiale ma è di questo che si tratta!”

In questi ultimi decenni la guerra procede nelle sua varie forme: morte e miseria reale nelle periferie del mondo, accumulazione del capitale senza limiti, inquinamento atmosferico, attacchi informatici, intrusioni digitali, aggressioni biologiche, antrace, vaiolo, virus e agenti patogeni vari lasciando sul campo morti, menomati, depressi, dipendenti da farmaci e droghe varie; soprattutto fame e povertà. Una guerra diffusa che ormai possiamo vedere e sentire fisicamente e psicologicamente, una guerra di droni che ormai stanno diventando autonomi con un loro linguaggio e una loro analisi.

 

Vita e natura

In questo “eccesso di cose generato da un codice sorgente troppo limitato” e in questa interruzione della normalità la gente deve continuare a ripetersi di essere ancora viva.

“Noi siamo pur sempre i frammenti umani di una civiltà”. In questo romanzo nero, pessimista e chiuso in se stesso, i personaggi, a volte, sembrano svegliarsi da questo torpore di fondo e ricercano, nei loro velati ricordi e nei loro discorsi casuali, un’altra vita.

Tessa e Jim si chiedono che cosa vuol dire veramente tornare a casa e soprattutto, in questo momento indefinito, dove è la casa?

Diane invece pensa di voler tornare a insegnare, insegnare la fisica del tempo il tempo assoluto, la freccia del tempo, il tempo e lo spazio; “riprendere alcuni appunti, parole, parole depositate in un tempo immemore”.

In questa assenza di senso e di futuro che viviamo, ingabbiati da tempo ormai in questa pandemia infinita, è necessario ricercare una luce e chiedersi “Ci sarà il sole? Chi sa cosa significa tutto questo? La nostra normale esperienza ha semplicemente subito una caduta d’arresto? Stiamo assistendo a una deviazione della natura?”.

Oppure vivere alla giornata, avere un atteggiamento più pragmatico: “Qualcosa da mangiare, un luogo dove stare riparati… Tendere alle cose fisiche più semplici. Toccare, percepire, mordere, masticare. Il corpo alla fine fa di testa sua.”

Ma l’ultimo dei protagonisti sembra non ascoltare più e non capire niente di queste ultime riflessioni. Si limita a fissare lo schermo nero della TV e rimane aggrappato a quel mondo digitale oscuro.

Ancora una volta Don DeLillo non indica vie d’uscita alle crisi globali del mondo attuale, ma riesce a mostrare, naturalmente e chiaramente, i limiti, le paure, il rumore di fondo e il silenzio assoluto della nostra vita quotidiana.

da qui

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