Si profila all’orizzonte l’obbligo della profilassi anti Covid per gli
operatori sanitari. È dunque possibile imporre un comportamento al personale
medico sanitario. Buono a sapersi. Lo terremo presente la prossima volta che ci
verrà detto che l’obiezione di coscienza all’aborto è un diritto inalienabile.
Oggi, all’improvviso, tra due notizie di questi giorni apparentemente non
collegate fra loro nella mia testa si è creata una inaspettata sinapsi. La
prima è quella riguardante il richiamo
all’Italia da parte del Consiglio d’Europa in materia di aborto (si
denuncia la disparità di accesso all’interruzione volontaria di gravidanza a
livello locale e regionale; personale medico specializzato insufficiente
eccetera). L’altra è quella inerente alla possibilità di un obbligo vaccinale
per medici e infermieri, con sanzioni graduali che vanno dalla sospensione al
licenziamento.
Non mi addentro in questa sede sulla questione dell’opportunità o meno
dell’obbligo vaccinale, mi limito a un’osservazione di metodo.
Sono anni che movimenti femministi e associazioni come la Laiga (Libera
associazione italiana ginecologi per applicazione legge 194) denunciano gli
altissimi numeri dell’obiezione di coscienza nel nostro Paese. Secondo l’ultima relazione del Ministero della Salute sulla attuazione della 194,
nel 2018 ha presentato obiezione il 69% dei ginecologi, il 46,3% degli anestesisti
e il 42,2% del personale non medico. Numeri preoccupanti e peraltro anche in
leggero aumento rispetto al 2017. E molto forti sono le differenze a livello
regionale. In Puglia, Basilicata e Sicilia è l’82% dei ginecologi a obiettare,
a Bolzano è l’87,2%, in Molise addirittura il 92,3%. Altro esempio, in Campania
sono solo 19 su un totale di 69 le strutture con reparto di ginecologia e/o
ostetricia che effettuano ivg.
A questi numeri la politica ha sempre risposto che l’obiezione di coscienza
è legittima, ed è vero, essa è prevista dalla stessa legge 194, la quale però
stabilisce anche che gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono
tenuti in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi di
interruzione della gravidanza e che la regione ne controlla e garantisce
l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.
E invece, come rilevato giusto in questi giorni dal Consiglio d’Europa (e
come si evince dai numeri riportati poco sopra), le donne possono essere
costrette a migrare da un ospedale all’altro o addirittura a recarsi all’estero
per effettuare un aborto, con conseguenze in termini di salute anche molto
gravi.
E allora perché non utilizzare gli stessi strumenti su cui si sta
ragionando in questi giorni per garantire l’accesso delle donne all’ivg?
Si può obiettare che l’impatto sulla salute pubblica è diverso, anche se le
stime dei medici no vax, a differenza degli obiettori all’ivg, sono piuttosto
basse e dunque proporzionalmente basso è il rischio per i pazienti: secondo
quanto dichiarato all’Ansa dal maggiore sindacato dei medici ospedalieri,
l’Anaao-Assomed, e dalla Federazione nazionale degli ordini delle professioni
infermieristiche, Fnopi, circa l’1-2% dei medici ospedalieri – vale a dire tra
1.140 e 2.280 su un totale di 114.000 attivi – e un centinaio di infermieri
dipendenti Ssn su un totale di 254mila hanno a oggi rifiutato la vaccinazione
anti-Covid.
Si può obiettare che diverso è l’ambito: in un caso ci si rifiuta di
eseguire una delle varie prestazioni professionali, nell’altro di sottoporsi a
una procedura il cui rifiuto rende meno sicura l’intera prestazione
professionale, ma in entrambi di fatto potenzialmente si lede il diritto alla
salute dei pazienti.
Si può obiettare che diverse sono le motivazioni alla base di queste due
scelte: in un caso ragioni “etiche” (se vogliamo credere alle dichiarazioni
ufficiali) nell’altro timori per la propria salute, ma in ultima analisi in
entrambi vengono addotte motivazioni che mettono in secondo piano la salute e
la vita dei pazienti.
Insomma, si può obiettare tutto quello che volete ma il punto è che se lo Stato è legittimato a imporre un comportamento in un caso allora è legittimato a farlo anche nell’altro. È solo una questione di scelte, di priorità. Per cui, la prossima volta che denunciamo gli altissimi numeri dell’obiezione di coscienza, per favore non ci venite a raccontare che non è possibile imporre a ginecologi, anestesisti e personale ospedaliero di fare quello che è – almeno in parte – il loro lavoro.
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