«Due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, ma riguardo l’universo ho ancora dei dubbi». Se ci si sofferma a pensare a ciò che sta accadendo nel mondo è inevitabile giungere alla stessa conclusione alla quale giunse Albert Einstein. Stiamo distruggendo il pianeta. In termini più metaforici stiamo segando l’albero sul quale siamo seduti. Abbiamo privatizzato le risorse naturali, l’acqua e la terra, che dovrebbero essere beni comuni. Abbiamo permesso che ogni cosa sia soggetta a proprietà e a brevetti, persino i farmaci salva-vita e i vaccini. Tutto si può comprare nel mercato globalizzato, ogni cosa è merce, anche gli organi umani dei poveri per i trapianti dei ricchi. L’unico “dio” davvero venerato è il profitto: siamo di fronte a un monoteismo che surclassa ogni fanatismo.
La pandemia del Covid-19 ha sottolineato ancora di più
che esiste un’intollerabile diseguaglianza, che gli uomini e i popoli non sono
tutti uguali: gli Stati più ricchi si sono accaparrati i vaccini, mentre i
Paesi più poveri ne sono quasi totalmente privi e solo tra alcuni anni potranno
vaccinare tutte le loro popolazioni. L’accaparramento avviene anche grazie ai
brevetti, esito di ricerche spesso finanziate con fondi pubblici. Occorrerebbe,
nell’immediato, procedere quindi almeno alla loro sospensione, come hanno
proposto Sudafrica e India. Una moratoria dei brevetti permetterebbe infatti
agli Stati più poveri di produrre i vaccini, evitando la morte di milioni di
persone e, nel contempo, promuovere una più ampia e rapida vaccinazione in
tutto il mondo eviterebbe ai Paesi più ricchi quantomeno di subire altre ondate
di contagi ad opera di varianti del virus sempre più aggressive.
Questo ci porta a una più ampia riflessione sul fatto
che abbiamo stabilito regole per ogni cosa, ad eccezione di quella
fondamentale: la casa in cui tutti abitiamo. Manca una Costituzione della
Terra, nella quale oltre ai principi, ai doveri e ai diritti fondamentali,
siano stabilite effettive istituzioni internazionali, con reale potere
legislativo, esecutivo e giudiziario, con funzioni di garanzia attraverso una
Corte Suprema Mondiale. Oggi più che mai abbiamo assoluta necessità di
organismi pubblici globali, che garantiscano a tutti gli abitanti del pianeta
un servizio sanitario, un’organizzazione mondiale dell’istruzione, un demanio
planetario che sottragga al mercato beni comuni come l’acqua potabile e
protegga le foreste, i mari e i ghiacciai, il monopolio pubblico della forza in
capo ad una polizia internazionale e la conseguente messa al bando delle armi e
degli eserciti nazionali.
Il bilancio del biennio 2020-2021 dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) è di 4,8 miliardi di dollari, cioè circa 2 miliardi
di euro l’anno, cifra che corrisponde alla spesa sanitaria annuale dei
cittadini della provincia di Bergamo, tenendo conto che la spesa sanitaria
della Regione Lombardia è di 21,9 miliardi l’anno. Affinché l’azione dell’OMS
sia realmente efficace e significativa bisognerebbe moltiplicare almeno per
mille i fondi in bilancio, cioè 2.000 miliardi l’anno. Servirebbero fondi
maggiori per fare ricerca, per prevenire e fronteggiare le pandemie, nonché per
portare uguali cure ai malati in tutto il mondo. In definitiva, per garantire
il diritto di tutti alla salute e alla vita, senza distinzioni né di ricchezza
né di nazionalità. Per realizzare questo sarebbe utile un’imposta mondiale sulle
ricchezze, un fisco sovranazionale di carattere realmente progressivo su tutti
i patrimoni.
La FAO, l’Organizzazione mondiale per l’alimentazione
e l’agricoltura, raccoglie dati e analizza le situazioni dei vari Paesi,
predispone studi e progetti, ma non è certo in grado di porre fine alla fame
nel mondo. Questa incapacità di intervenire in modo adeguato a livello globale
purtroppo si osserva in tutte le istituzioni internazionali. Perciò
occorrerebbe trasformare le attuali organizzazioni mondiali (prima tra tutte
l’ONU, ma anche la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale,
l’Organizzazione Mondiale del Commercio ecc.) in istituzioni di garanzia,
indipendenti dal controllo dei Paesi più ricchi, mettendole così in grado di
attuare in modo concreto le finalità enunciate nei loro stessi statuti come la
garanzia dei diritti fondamentali per tutti, la promozione dello sviluppo dei
Paesi più poveri, la riduzione degli squilibri e delle attuali enormi
disuguaglianze. La Dichiarazione universale dei diritti umani assume
significato e trova vero senso se questi diritti risultano di tutti, cioè uguali
e indivisibili; altrimenti di fatto anche i diritti rischiano di diventare solo
i privilegi di chi ha la forza di affermarli.
Non stiamo considerando utopie, ma scelte basate sulla
ragione e sul buon senso, cioè sul nesso imprescindibile tra la salute degli
umani e la salute del pianeta, cioè sugli interessi vitali di tutti.
Riecheggia, osservando la storia attuale, la risposta al dilemma affrontato
quattro secoli fa da Thomas Hobbes: la generale insicurezza determinata dalla
libertà selvaggia dei più forti, oppure il patto di convivenza pacifica sulla
base del divieto della guerra e la garanzia della vita. Questa si presenta oggi
però con due differenze e aggravanti di fondo: la capacità distruttiva degli
odierni poteri globali, che è incomparabilmente maggiore di quella nello stato
di natura hobbesiano, e il carattere irreversibile delle devastazioni da essi
prodotte. Le alternative esistono. Il pregiudizio che esse non esistano è
un’ideologia di legittimazione dell’esistente che è totalmente artificiale,
prodotta dalle attività e irresponsabilità della politica e dell’economia. Non
c’è nulla di naturale in quello che sta accadendo. Ad eccezione della stupidità
umana.
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