APPELLO
ALLE ISTITUZIONI PER UN RICONOSCIMENTO UFFICIALE DEI CRIMINI FASCISTI IN
OCCASIONE DELL’OTTANTESIMO ANNIVERSARIO DELL’INVASIONE DELLA
JUGOSLAVIA DA PARTE DELL’ESERCITO ITALIANO
Quest’anno ricorre l’ottantesimo
anniversario dell’invasione della Jugoslavia da parte dell’esercito italiano,
avvenuta il 6 aprile 1941. Durante l’occupazione fascista e nazista, e fino
alla Liberazione nel 1945, in questo territorio si contano circa un milione di
morti. L’Italia fascista ha contribuito indirettamente a queste uccisioni con
l’aggressione militare e l’appoggio offerto alle forze collaborazioniste che
hanno condotto vere e proprie operazioni di sterminio. Ma anche direttamente
con fucilazioni di prigionieri e ostaggi, rappresaglie, rastrellamenti e campi
di concentramento, nei quali sono stati internati circa centomila jugoslavi.
Come studiosi di storia contemporanea,
esperti del tema e figure professionali impegnate nella conservazione attiva
della memoria siamo convinti che nei decenni passati non si sia raggiunta una
piena consapevolezza di questi crimini, commessi purtroppo anche in nome
dell’Italia. La Repubblica Italiana non ha mai espresso una netta condanna, né
una presa di distanza radicale da queste atrocità: non sono stati istituiti
giorni commemorativi, né sono state compiute visite di Stato in luoghi della
memoria dei crimini fascisti in Jugoslavia.
Chiediamo dunque al Presidente della
Repubblica e ai rappresentanti delle principali istituzioni una presa di
coscienza di questo dramma storico rimosso. L’ottantesimo anniversario sarebbe
l’occasione ideale per farsi carico della responsabilità storica di pratiche
criminali che erano il frutto di una logica politica, fascista e nazionalista,
che noi oggi fermamente condanniamo, in nome dei valori costituzionali che
fondano il patto di cittadinanza democratica. Una dichiarazione pubblica o una
visita ufficiale (per esempio al campo di concentramento di Arbe, sull’isola di
Rab, dove morirono di fame e di stenti circa 1400 persone, in buona parte donne
e bambini) avrebbero un notevole significato simbolico e dimostrerebbero il
senso di responsabilità delle nostre istituzioni e il riconoscimento della
sofferenza inflitta ai popoli della Slovenia, della Croazia, del Montenegro,
della Bosnia ed Erzegovina. Nel solco dei precedenti incontri ufficiali che
hanno avuto luogo negli anni passati, dal noto “concerto dei tre presidenti”
del 2010 alla visita a Basovizza nel luglio 2020, questa dichiarazione
rappresenterebbe un ulteriore passo in avanti sulla strada della
riconciliazione europea e di una più ampia comprensione dei processi storici.
Italiani brava gente, criminali impuniti - Davide Conti (*)
Il 6 aprile 1941 l’invasione nazifascista
della Jugoslavia. Un appello di storici chiede giustizia per le atrocità che
furono compiute allora. La «continuità dello Stato» del dopoguerra: nessuno
pagò per stragi e violenze. Mussolini annunciò già nel ’20: politica del
bastone contro la razza slava, inferiore e barbaraIl 6 aprile 1941 divisioni
tedesche e italiane invadevano la Jugoslavia dividendola in zone di
occupazione. L’Italia monarchico-fascista costituì la «provincia italiana di
Lubiana» in Slovenia annettendo al regno di casa Savoia, dal luglio 1941, anche
il Montenegro.
Iniziò così l’occupazione della
Jugoslavia che non solo completò l’aggressione del regime ai Balcani, iniziata
nel 1939 in Albania e seguita nel 1940 in Grecia, ma rappresentò il correlato
storico-politico del «fascismo di frontiera» emerso negli anni Venti con lo
squadrismo e sintetizzato nei suoi obiettivi da Mussolini nella visita a Pola
del 22 settembre 1920: «Di fronte ad una razza come la slava, inferiore e
barbara non si deve seguire la politica che da lo zuccherino, ma quella del
bastone (…) si possono più facilmente sacrificare 500.000 slavi barbari a
50.000 italiani».
IN LINEA con questo impianto ideologico le truppe del regio esercito,
le autorità di polizia, i carabinieri e le milizie fasciste dei battaglioni «M»
disposero su tutto il territorio le misure della «guerra ai civili», che lo
stesso popolo italiano avrebbe poi drammaticamente conosciuto durante
l’occupazione nazista. Fucilazioni di civili e partigiani, deportazioni di
massa (100.000 jugoslavi trasferiti nei campi d’internamento italiani),
incendio e saccheggio delle città e dei villaggi (nel febbraio 1942 l’intera
città di Lubiana venne circondata da una «cintura» di filo spinato e posti di
blocco e poi razziata), stragi (il 12 luglio 1942 a Podhum 108 fucilati e oltre
800 deportati; a Niksic e in altre città del Montenegro fucilazione di 95
comunisti e 200 civili tra il 20 giugno 1942 e il 25 giugno 1943) violenze e
abusi sulla popolazione (nella sola Lubiana morirono 33.000 persone pari al 10%
dei suoi abitanti) assunsero un carattere sistemico codificato dalle
disposizioni della «circolare 3C» firmata dal generale Mario Roatta, già capo
del Servizio Informazioni Militari, guida delle truppe fasciste in Spagna e poi
al vertice della II Armata di occupazione in Croazia.
L’OCCUPAZIONE MILITARE costò alla Jugoslavia oltre un milione di morti mentre in
tutta l’area dei Balcani i crimini di guerra compiuti dal regio esercito e
dalle autorità italiane contribuirono da un lato al rincrudimento delle misure
di repressione e controguerriglia antipartigiana e dall’altro ad alimentare la
Resistenza militare e civile delle popolazioni in Albania, Grecia e Jugoslavia.
Nel maggio 1942 su La Voce del
Montenegro il generale Alessandro Pirzio Biroli da «governatore»
della regione scriverà: «Tutto il popolo sappia che ogni partigiano, ogni
collaboratore, informatore e simpatizzante dei partigiani sarà fucilato sul
luogo della cattura». Dal canto suo Mussolini il 31 luglio 1942 a Gorizia aveva
ordinato ai generali: «Al terrore dei partigiani si deve rispondere col ferro e
col fuoco. Deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come
sentimentali incapaci di essere duri (…) questa popolazione non ci amerà mai
(…). Questo territorio deve essere considerato territorio di esperienza. Non vi
preoccupate del disagio della popolazione, lo ha voluto! Ne sconti le
conseguenze».
Al termine del secondo conflitto mondiale le
Nazioni Unite stilarono un lungo elenco di criminali di guerra italiani che
solo per la Jugoslavia comprendeva 750 nomi (generali, ufficiali dell’esercito,
carabinieri, questori, camicie nere) a cui si aggiungevano i 142 iscritti nelle
liste dell’Albania, i 111 della Grecia, i 12 dell’Urss.
Le ragioni della Guerra Fredda, la nuova
collocazione geopolitica di Roma e la sistematizzazione dell’anticomunismo di
Stato permisero ai governi dell’Italia post-bellica di non estradare i
criminali nei Paesi che ne facevano richiesta; evitare processi presso un
tribunale internazionale; non pagare i risarcimenti alle vittime ed agli Stati
nonostante le disposizioni del Trattato di Pace di Parigi del 1947. Così la
«mancata Norimberga italiana» rappresentò un vulnus storico
nella stessa radice di nascita della democrazia repubblicana alimentando il
falso mito degli «italiani brava gente», consentendo l’impunità dei criminali
ed il loro reinserimento negli apparati delle Forze Armate, dei servizi segreti
e delle forze dell’ordine sostanziando una «continuità dello Stato» che incise
fortemente sul carattere e la qualità della nostra democrazia nei decenni
successivi, tanto che diversi criminali di guerra furono coinvolti nelle stragi
e nei tentativi di colpo di Stato degli anni Settanta.
OTTANT’ANNI DOPO l’occupazione della Jugoslavia, un appello di centinaia di
storici e studiosi chiede alle istituzioni e al Paese un atto di coraggio in
grado di rielaborare sul piano pubblico questo tragico passato rimosso,
assumendo come memoria storica collettiva le responsabilità per i crimini compiuti
dal fascismo contro altri popoli in un’ottica di superamento dei nazionalismi,
di valorizzazione del dettato costituzionale in ordine al ripudio della guerra,
di liquidazione tanto etico-morale quanto politico-sociale del fascismo.
(*) pubblicato sul quotidiano «il manifesto»
Nessun commento:
Posta un commento