Il vero
complotto nessuno lo vede. Io invece lo sto vedendo nel “mio” ambito: lo yoga
(ma può essere visto anche nella scuola… e da un po’ – dopo i primi entusiasmi
– ce ne stiamo accorgendo).
Parlo del
fatto che, da subito, si sono potute fare le lezioni a distanza (naturalmente
dopo averle ribattezzate con un nome più glamour “DAD”, il
solito acronimo che da una parte esclude mucchi di persone e dall’altra
sposta l’attenzione e fa apparire la faccenda più accettabile di quello che è.
Tra l’altro “dad” in inglese sta per “papà”… che sia un caso? E che si chiama
“educazione paterna” quella che si impartisce a casa? È un caso anche quello?
Forse sì… forse no. )
Ma torniamo
al titolo. Se possiamo immediatamente trovare la soluzione (anche se è una
soluzione) a un problema smettiamo di cercarne altre. Smettiamo di ribellarci,
smettiamo di rimanere creativi, smettiamo di credere di poter cambiare
qualcosa. Ci spostiamo proprio là dove vuole il potere (comunque lo intendiamo:
mediatico, politico, sociale, economico); ci acquietiamo nel mondo proposto –
in questo caso – da un video, da un personal computer, da una
lezione a distanza, da una video-chiamata.
Nel caso
dello yoga – come anche della scuola e di tutte le situazioni dove sia prevista
una “educazione” – è impossibile realizzare una lezione tramite un video,
perché c’è bisogno di interazione tra chi “insegna” e chi “impara”. Ho volutamente
messo tra virgolette i due verbi, proprio perché “mentre si insegna si impara”
(e viceversa, ovvio!). Faccio un esempio: io preparo le lezioni di yoga che
terrò per tutto l’anno (e ahimè so che non tutte/i le/gli
insegnanti lo fanno!); di solito le preparo durante l’estate, per avere una
sorta di “piano di studi”.
Poi però,
quando mi siedo nella sala yoga e vedo (ma anche “sento”, ascolto, percepisco,
“annuso”) le allieve/gli allievi posso scoprire di dover cambiare – del tutto o
in parte – la lezione che avevo deciso e scritto sul mio “diario della
pratica”. Magari è successo qualcosa nel mondo, o nella propria città, o a
qualcuno degli allievi/delle allieve; oppure percepisco che c’è della
stanchezza – o viceversa dell’agitazione – e allora adatto la lezione alla
realtà (cosa che tra l’altro è una delle “leggi” dello yoga: la pratica deve
adattarsi all’allievo e non viceversa, come ri-ahimè professano insegnanti e
“scuole”).
Potrei fare
decine di esempi: sulla strada stanno facendo dei lavori e c’è la betoniera che
rumoreggia? Dovrò cambiare non solo il volume della mia voce, ma forse anche
il focus, e magari cercare di spostare l’attenzione dai rumori
esterni a qualcos’altro… solo per dirne una.
Quindi – mi
chiedo – come fanno quelli che propongono a chiunque le loro lezioni di yoga?
Mi sono risposta: non propongono yoga, propongono posizioni. Allora sì: yoga è
ginnastica; sì possiamo accettare di fare le lezioni on-line senza
preoccuparci; allora sì gli allievi/le allieve proseguiranno le loro lezioni.
Ma insieme al messaggio fuorviante (“lo yoga è ginnastica”) si veicola anche
quello che possiamo stare tranquilli, possiamo non protestare, possiamo non
andare a sederci in piazza per chiedere dei ristori o per chiedere di riaprire
i Centri yoga (che non sono palestre). Sapete invece che cosa è successo?
Che – equiparando lo yoga alla ginnastica – le palestre sono state chiuse come
i Centri yoga e nessuno ha protestato perché alla fine si riusciva lo stesso a
“fare yoga”, e anzi si sta continuando, e anzi si sta pensando di continuare
anche quando le palestre (e i Centri yoga) riapriranno!
Ci siamo
adattati alla situazione proposta dall’alto, senza fare niente, perché abbiamo
potuto (abbiamo creduto di potere) fare “lezione” lo stesso.
Ora: io sono
da sempre in cerca della coerenza, nella vita e nel lavoro, possibilmente e
piuttosto che insegnare on-zoom ho digiunato (perché senza
soldi), sono stata quasi senza riscaldamento per tutto l’inverno, ho cercato di
risparmiare, ho cercato altre fonti di guadagno (minore) e ho accettato gli
aiuti che parenti e amici hanno voluto prestarmi. E capisco che a volte non si
può, non si sa e non si vuole fare così. Basta essere consapevoli. Consapevoli
anche del fatto che stiamo obbedendo a decisioni che vengono dall’alto e da
persone/istituzioni che non sanno nulla di yoga (né di cultura, teatro, danza,
circo, cinema, presentazioni di libri, lezioni varie, sci… tutto ciò per cui
non basta un tutorial e anzi fa danni!).
Peccato che
anche il mondo dello yoga – accettando di fare lezioni on-line –
abbia dimostrato di non sapere molto dell’antica disciplina e abbia dichiarato
che è vero: lo yoga è ginnastica (e come tale non può essere praticata nelle
palestre come tutte le altre ginnastiche); se su questo sono d’accordo persino
le/gli insegnanti, succede – come infatti è successo – che nessuno protesti,
nessuno si sieda davanti al Palazzo della Regione come hanno fatto le/gli
studenti (o le lavoratrici/i lavoratori dello spettacolo, o i mercatali, o i
maestri di sci, o tutte quelle categorie per le quali l’on-line non
funziona e non è giusto che funzioni!).
Piano piano
si sta capendo che la DAD (Didattica A Distanza) non funziona, e forse è pure
dannosa (ma va?).
È di venerdì
26 marzo u.s. un articolo del
Corriere della Sera (di Massimo Ammaniti, Gli effetti psicologici
dell’eccesso di videochat) che racconta il punto di vista della psicologia.
Sì, certo, nell’articolo si parla delle videochiamate con amici e amiche. Ma se
leggiamo tra le righe ci sono indicazioni anche per noi che crediamo di fare
yoga, che crediamo di seguire un evento, che crediamo di stare parlando con
qualcuno solo perché ne vediamo il viso (ma perché, dico io, non può bastare
una lunga, tranquilla – e possibilmente da fisso a fisso – telefonata?).
Leggete qua, a proposito di “vedere il viso”:
«E che
effetti psicologici ha lo zooming? Dopo ore e ore davanti allo
schermo ci si sente spesso stanchi, svuotati, quasi allienati dentro lo schermo
che ha divorato le energie mentali e fisiche. Si tratta di impressioni molto
diffuse, ma che sono state studiate nel Laboratorio di Interazione Umana
Virtuale presso la Stanford University. […] Contatti visivi troppo ravvicinati
e prolungati con un’altra persona, soprattutto con la sua faccia, creano un
contesto relazionale artificioso […] questa vicinanza innaturale rischia di
provocare una forte attivazione cerebrale […]. è presente anche l’immagine
personale in cui ci si rispecchia continuamente […] Questo rispecchiamento crea
tensione obbligando ad avere un’oscillazione continua fra l’immagine degli
altri e la propria […] Davanti allo schermo lo scambio relazionale si
impoverisce e diventa difficile cogliere i segni extraverbali che aiutano a
orientarsi nel contesto sociale […] [le] videochat […] hanno aiutato a sentire
in modo meno acuto l’isolamento […] ma hanno creato un contesto innaturale di scambi
sociali, nei quali il lessico relazionale si è impoverito».
Personalmente
mi sono rifiutata di partecipare a qualsiasi evento on-zoom o on-line (assemblee, webinar,
riunioni, lezioni ecc.), e d’altra parte per scelta non ho neanche uno smartphone,
ma la mia intenzione non è quella di diffondere il “mio” modello. Vorrei solo
che si pensasse un po’ di più prima di trasferire tutto nel mondo irreale
dello zooming. Vorrei che si facesse una selezione tra cose davvero
importanti – o inevitabili, come per qualcuno il lavoro “agile” – e cose che si
può evitare di fare, aspettando tempi migliori.
A parte
tutto: che gusto può avere un aperitivo, quando ognuno è a casa propria col
bicchiere in mano e si auto-riprende per “stare” con gli altri che fanno la
stessa cosa? Davvero vogliamo agire così la nostra umanità? Davvero vogliamo
dimostrare l’affetto per nostro nipote facendogli vedere la nostra faccia in
uno schermo, dopo che è già stato ore e ore lì davanti per le lezioni
scolastiche?
Lo yoga poi,
è una disciplina essenzialmente individuale, che si pratica a occhi chiusi, non
appena si può, per andare “dentro”, per “sentirsi”; non devono esserci specchi
o luci forti in una sala yoga… per non parlare dell’inquinamento
elettromagnetico. Con le video-lezioni dobbiamo stare con gli occhi aperti,
forse addirittura con gli occhiali, con luce sufficiente per vedere lo schermo,
con il computer acceso (e collegato con il wi-fi in
tutta la casa!). Non so voi, ma a me viene voglia di aspettare, piuttosto, e
intanto protestare, trovare soluzioni creative, praticare da sola con poche
posizioni sicure che magari ho ricevuto dalla mia/dal mio insegnante di
riferimento, e ancora aspettare, assaporando la mancanza dello yoga, che potrà
solo impreziosirlo, invece di immiserirlo e abbinarlo a una qualunque forma di
ginnastica – benché più dolce.
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