Salvataggi -
In molti non riusciamo a darci pace. Le parole, dovrebbero avere sempre precisione e peso. Soprattutto alcune, che sono sacre. La parola “salvataggio” è una di queste. Per ringraziare “dei dittatori di cui si ha bisogno per collaborare” se ne dovrebbero scegliere altre.
Si può ringraziare, appunto, per la collaborazione, ma non per i
salvataggi. Il salvataggio è un dovere giuridico, una responsabilità,
un principio, una speranza. Non può essere sciupato per ingraziarsi chi quel
dogma viola costantemente. Bisognerebbe leggere a chiunque creda o
solamente dica che la Libia fa salvataggi, quanto precisamente descritto dal
Tribunale di Messina che ha punito i torturatori di
“centinaia di migranti che venivano
privati della libertà personale e sottoposti a sistematiche vessazioni e
atrocità al fine di ottenere dai loro congiunti il versamento di somme di
denaro, ovvero, in assenza del pagamento, venivano alienati ad altri
trafficanti di uomini per il loro sfruttamento sessuale o lavorativo o talora
uccisi…. sottoposti a reiterate costanti violenze fisiche consistenti in
sistematiche percosse con bastoni, calci dei fucili, tubi di gomma, frustate e
somministrazione di scariche elettriche, ripetute minacce gravi poste in essere
con l’uso delle armi o picchiando brutalmente altri migranti quale gesto
dimostrativo, accompagnate dalla mancata fornitura di beni di prima necessità
quali l’acqua potabile, e di cure mediche per le malattie contratte o le gravi
lesioni riportate in stato di prigionia, acute sofferenze fisiche e traumi
psichici e un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona…
sottoposti a sevizie fino a giungere alla perpetuazione di veri e propri atti
di tortura talvolta culminati in omicidi ciò al fine di lucrare sulla condizione
di disperazione in cui i prigionieri versavano costringendo i loro familiari a
pagare consistenti somme di denaro quale prezzo della loro liberazione, quanti
non riuscivano ad assecondare i desiderata della dell’associazione finivano per
essere trucidati o venduti ad altri trafficanti di esseri umani”.
Questa la sorte per chi transita dalla Libia o verso la Libia viene
riportato dalla guardia costiera di quel Paese. Nessun salvataggio. Nessuna
salvezza. Lo sanno bene i profughi che da quelle “atrocità” scappano e che
quando capiscono che potrebbero essere rinviati in Libia supplicano di essere
uccisi piuttosto che precipitare di nuovo in quell’orrore. Così quando è
capitato che alcuni di loro si ribellassero contro l’equipaggio della nave italiana
che dopo averli intercettati in mare, lungi dal “salvarli” li stava conducendo
in Libia, il Tribunale li ha assolti riconoscendo l’esimente della legittima
difesa e ribadendo che le convenzioni del mare impongono “un obbligo di
salvataggio in mare della vita umana, che comporta il dovere di individuazione
di un porto sicuro dove sbarcare le persone… e non consentono affatto il
rimpatrio in Libia dei migranti soccorsi”.
Chi, come noi, ha visto i loro corpi, ustionati, oltraggiati, percossi,
mutilati sa bene che la Libia non è e non pratica “salvataggio” e sa che non si
possono stringere le mani sporche di sangue di dittatori e generali e credere
di riuscire a mantenere pulite le proprie
Nel centro di detenzione si spara -
Un morto e due feriti, è il bilancio di una sparatoria avvenuta giovedì 8
aprile in un centro di detenzione a Tripoli. Sul posto è intervenuto un team
di Medici Senza Frontiere che ha prestato
i primi soccorsi.
«Due adolescenti di 17 e 18 anni con ferite da arma da fuoco sono stati
trasferiti per cure mediche urgenti da un nostro team», rende noto MSF
illustrando i motivi della sparatoria. «La notte dell’incidente c’erano
tensioni crescenti nel sovraffollato centro di Al-Mabani, che sono culminati in
scontri a fuoco indiscriminati nelle celle dove sono detenuti migranti e
rifugiati».
Le violenze, riferisce il giornalista Nello Scavo su Avvenire, sarebbero avvenute per “tenere sotto
controllo” i migranti appena intercettati e catturati dalla cosiddetta guardia
costiera libica che li aveva condotti in un centro di detenzione, quelli
che l’ex ministro dell’interno Minniti in un suo commento uscito ieri su Repubblica continua
a nominare come “centri di accoglienza“.
Secondo le équipe mediche di MSF, le tensioni all’interno dei centri di
detenzione in Libia sono aumentate e le condizioni di trattenimento di donne,
bambini e minori non accompagnati sono deplorevoli.
I centri sono diventati sempre più sovraffollati da inizio febbraio, quando
è aumentato il numero delle persone migranti in fuga dalla Libia intercettati
in mare dalla cosiddetta Guardia costiera libica, finanziata dall’UE e
nuovamente dal governo italiano.
Secondo l’inchiesta di Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, «tra la fine del
2020 e i primi tre mesi del 2021, i soli appalti in capo al Centro navale della
Guardia di Finanza sono stati oltre 50 per un valore complessivo di circa sette
milioni di euro (da aggiudicare o in via di imminente
aggiudicazione)». L’ultimo risale al febbraio 2021 e riguarda la manutenzione
straordinaria da parte del nostro Paese di due motovedette cedute a Tripoli “nell’ambito
del protocollo di cooperazione Italia-Libia”, meglio noto come “memorandum
Italia-Libia“.
L’Italia dalla firma di quell’infame accordo di quattro anni fa, in totale continuità
con l’approccio europeo di esternalizzazione del controllo delle
frontiere, ha speso la cifra record di 785 milioni euro per bloccare i
flussi migratori in Libia e finanziare le missioni navali italiane ed europee [1]. Dal 2017 sono
50mila le persone intercettate e respinte, di cui 12mila solo nel 2020.
Da inizio anno le persone catturate e riportate nei centri sono quasi 6.000. «Nella prima
settimana di febbraio – conferma MSF – il numero delle persone detenute a
Al-Mabani è passato da 300 a 1.000 in pochi giorni. Il centro ospita
attualmente circa 1.500 persone».
Le condizioni di reclusione sono ignobili, ma evidentemente non così
importanti per Draghi che ha elogiato i libici per il lavoro svolto, sorvolando
sulle violenze e le violazioni dei diritti umani.
L’equipe medica che ha visitato le persone recluse ad Al-Mabani denuncia che
«hanno poca luce naturale e poca areazione, cibo e acqua potabile sono
insufficienti e mancano strutture igieniche. Il forte sovraffollamento, fino a
tre persone per metro quadrato, spesso non lascia spazio nemmeno per sdraiarsi.
Malattie infettive come scabbia e tubercolosi sono diffuse. Il distanziamento
fisico è impossibile».
L’uso della forza fisica da parte dei sorveglianti libici è all’ordine del
giorno tanto che nel mese di febbraio, i medici di MSF hanno curato 36
persone per fratture, traumi contusivi, abrasioni, lesioni agli occhi, ferite da
arma da fuoco e debolezza degli arti in vari centri di detenzione; 15
di questi pazienti sono stati trasferiti in ospedale per ulteriori cure. «Le
ferite erano recenti, a dimostrazione che sono state provocate all’interno dei
centri di detenzione».
MSF ribadisce la sua richiesta di porre fine alla detenzione arbitraria
in Libia e chiede il rilascio immediato di tutte le persone attualmente
trattenute nei centri a cui va garantita una sistemazione sicura e l’accesso ai
servizi di base.
Ma fino a quando si continuerà a considerare la Libia un enorme paese
prigione da finanziare per bloccare i flussi migratori e l’accordo
Italia-Libia non sarà stralciato, difficilmente si assisterà ad un
miglioramento della situazione. Le proposte ci sono, tuttavia non si
intravvede nel governo Draghi nemmeno un minimo segnale di discontinuità dai
precedenti.
Note
[1] Accordo
Italia-Libia: quattro anni di torture, abusi e violazioni dei diritti
umani https://www.meltingpot.org/Accordo-Italia-Libia-quattro-anni-di-torture-abusi-e.html#.YHFqixLOM1k
Fonte: Melting Pot Europa
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