Il dominio delle imprese
Contrariamente a quanto vogliono farci credere ogni giorno ministri e
giornalisti, banchieri ed economisti non esiste una sola economia, quella che
si misura in valori monetizzabili che si sommano nel Prodotto interno lordo.
Nella storia dell’umanità vi sono stati tanti diversi sistemi economici e, me lo
auguro, ve ne saranno presto ancora altri più rispondenti ai bisogni e ai
desideri delle popolazioni della Terra. In realtà i sistemi economici sono
parte integrante dell’ordine sociale più generale delle comunità umane. Per
questa ragione l’economia è sempre politica. C’è una correlazione
stretta tra i modelli valoriali morali di riferimento e le modalità di
relazione e cooperazione sociale che si instaurano tra gli individui di una
comunità. È stato detto molte volte che nella modernità occidentalocentrica
il modello antropologico che è prevalso è quello dell’homo oeconmicus.
Ha annotato recentemente papa Francesco:
“L’homo sapiens si deforma e diventa una specie di homo oeconomicus – in senso
deteriore – individualista, calcolatore e dominatore” (Udienza del 26 agosto
2020, “Guarire il mondo”: La
destinazione universale dei beni e la virtù della speranza). Un tipo
umano isolato, egoista, che cerca di soddisfare per proprio conto gli interessi
personali, sempre in competizione con i suoi simili per il possesso di beni
utili ad incrementare il proprio benessere materiale. Si crea così quel
contesto che papa Bergoglio definisce nell’eciclica Fratelli tutti: “un tutti contro
tutti”.
L’ente paradigmatico dominante di questa società è diventata l’impresa.
Macchina da guerra sempre in movimento per incrementare produttività e
produzione, allargare la sfera operativa sui mercati di sbocco, garantirsi
materie prime e forza lavoro al più basso costo possibile, ottenere sempre
nuove risorse finanziarie. Un’idrovora che estrae materia vitale e lavoro vivo
e li trasforma in cose, oggettistica, mercanzie, rifiuti. Più il modello
dell’impresa capitalistica si rafforza tecnologicamente (industrializzazione,
automazione, digitalizzazione, in un crescendo di successive “rivoluzioni
industriali” – siamo giunti alla Industry 5.0), riuscendo a fornire
sempre nuove e più numerose merci di largo consumo, più l’impressione generale
delle popolazioni è che il benessere di tutti dipenda dall’efficienza delle
imprese. Le figure dell’imprenditore e del manager diventano così gli attori di
riferimento apicali nelle gerarchie sociali, non solo per il potere economico
che esercitano direttamente (riuscendo a condizionare la politica, i media, la
finanza, la ricerca scientifica) ma anche per l’influenza diretta sulla “vita
nuda” delle persone tramite la pubblicità, la moda, l’industria culturale. Più
la società si “industrializza” (nel senso che diventa una megamacchina
interamente finalizzata alla massimizzazione della produzione e della riproduzione
del valore economico), più le persone diventano dipendenti da un’occupazione
subordinata retribuita. Più il sistema delle imprese diventa
determinante per il destino delle persone che da esso dipendono, più il comando
dell’impresa diventa potente, capace di stabilire le regole del gioco del
commercio, degli scambi monetari, del mercato del lavoro, dell’uso delle
risorse naturali, del consumo, degli stessi comportamenti individuali.
Le conseguenze negative di tale sistema, che chiamiamo turbocapitalista e
che ha trovato il suo apice negli ultimi quattro decenni di pratiche
neoliberiste e di ideologia neoliberale, non sono più ignorabili. Ci vengono ricordate
dal “grido della Terra e dei poveri” raccolto da papa Francesco; dalla
catastrofe climatica e dalle intollerabili emarginazioni (“scarti umani”);
dalla violenza diffusa scatenata dalla volontà di potenza delle grandi nazioni
in lotta per l’accaparramento delle risorse naturali sempre più rarefatte e
preziose (“Terza guerra mondiale a pezzi”).
Il sistema economico di libero mercato non è “naturale”, non si
autoriproduce automaticamente e tantomeno spontaneamente, non è guidato da
nessuna “mano invisibile” soprannaturale. Nel biglietto da un dollaro degli
Stati Uniti vi è una scritta decisamente fuori luogo, che rasenta la blasfemia:
“In God We Trust”. Quel che si dice “il denaro innalzato a Dio”, per ricordare
la classica analisi di Walter Benjamin del capitalismo come religione. Non c’è
nulla di divino nel sistema di scambio mercantile e non è nemmeno il più
razionale. A fronte degli indubbi successi che ha ottenuto in alcune parti del
mondo (ma a favore solo di alcuni ceti sociali), la realtà è che oggi le
proprietà delle 10 persone più ricche del mondo potrebbero alimentare 1.000
milioni di persone che soffrono la fame per i prossimi 250 anni. L’1% della
popolazione possiede il 43,4% della ricchezza globale. Per contro il 53,6%
della popolazione più povera possiede lo 1,4% della ricchezza (dati
del rapporto Credit Suisse Global Wealth). Ciò dipende dal fatto che 15
imprese transnazionali controllano il 50% della produzione mondiale. Più
precisamente 1.318 imprese controllano il 60% degli scambi globali. Il 20%
della popolazione concentra il 94,5% della ricchezza.
In
continuità con la critica al principio liberista
In una intervista al direttore del Sole 24 Ore, il giornale di proprietà
della Confindustria, papa Bergoglio ha così sintetizzato il suo pensiero
sull’economia dominante:
“Chi viene escluso, non è sfruttato ma
completamente rifiutato, cioè considerato spazzatura, avanzo, quindi spinto
fuori dalla società. Non possiamo ignorare che una economia così strutturata
uccide perché mette al centro e obbedisce solo al denaro: quando la persona non
è più al centro, quando fare soldi diventa l’obiettivo primario e unico siamo
al di fuori dell’etica e si costruiscono strutture di povertà, schiavitù e di
scarti. (…) In questo momento nel nostro sistema economico al centro c’è un
idolo e questo non va bene”.
Quindi papa Francesco cita lungamente la Populorum Progressio di
Paolo VI:
“Giova riconoscerlo: è il principio
fondamentale del liberalismo come regola degli scambi commerciali che viene qui
messo in causa. L’insegnamento di Leone XIII nella Rerum novarum mantiene la sua validità: il consenso delle
parti, se esse versano in una situazione di eccessiva disuguaglianza, non basta
a garantire la giustizia del contratto. (…) Una economia di scambio non può più
poggiare esclusivamente sulla legge della libera concorrenza, anch’essa troppo
spesso generatrice di dittatura economica. La libertà degli scambi non è equa
se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale». (Intervista di
Guido Gentili a Papa Francesco: I
soldi non si fanno con i soldi ma con il lavoro, Il Sole 24 ore, 2018).
Come si vede, papa Bergoglio tiene a rivendicare una linea di continuità
nella critica all’economia con i suoi predecessori. In particolare con il
pensiero di Pio XI della Quadresimo anno (1931), in cui papa
Achille Ratti, all’indomani della Grande depressione del ’29, denunciava “il
funesto ed esecrabile internazionalismo bancario o imperialismo internazionale
del denaro”. Così come con Paolo VI della Populorum progressio (1971),
dove papa Montini parla di “dominio economico”. Con Giovanni Paolo II nel suo
discorso alla Conferenza Latinoamericana di Puebla (1979), quando proponeva il
principio che “su ogni proprietà privata pesa una ipoteca sociale”, concetto
poi sancito nella Laborem exercens (1981), dove papa Wojtyła
afferma la “funzione sociale della proprietà”. Con Benedetto XVI della Caritas
in Veritate (2009), dove papa Ratzinger annota: “L’esclusivo obiettivo
del profitto, se mal prodotto e senza il bene comune come fine ultimo, rischia
di distruggere ricchezza e crea povertà”.
Il “papa
comunista”
Ma a me pare che il pensiero di questo papa sulla economia si
spinga oltre la tradizionale posizione contenuta nella Dottrina sociale della
Chiesa (Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio
della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, 2004) e
voglia rompere con una perdurante ambiguità di giudizio e di prospettiva
rispetto al sistema capitalistico.
Se seguiamo il percorso dei suoi scritti, già prima della Laudato
si’, fino al video-messaggio all’incontro sulla Economy of Francesco (21
novembre 2020), troviamo affermazioni che non lasciano dubbi sul giudizio di
insostenibilità non solo ecologica, ma sociale, etica e morale dell’ordine
economico dominante. A pochi giorni dall’insediamento sulla cattedra di Pietro
in una udienza con i partecipanti ad un convegno della fondazione Centesimus
Anno, Bergoglio affermava:
“La crisi attuale non è solo economica e
finanziaria, ma affonda le sue radici in una crisi etica e antropologica.
Seguire gli idoli del potere, del profitto, del denaro, al di sopra del valore
della persona umana, è diventato norma fondamentale di funzionamento e criterio
decisivo di organizzazione” (25 maggio 2013).
Pochi mesi ancora e papa Francesco pubblica l’esortazione Evangelii
Gaudium (novembre 2013):
“Oggi dobbiamo dire no a un’economia
dell’esclusione e della inequità. Questa economia uccide. (…) Oggi tutto entra
nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente
mangia il più debole” (EG § 53).
La critica alle teorie economiche liberiste non lascia scampo:
“alcuni ancora difendono le teorie della
‘ricaduta favorevole’ (trickle-down
effect, ndr), che presuppongono che ogni crescita economica, favorita
dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione
sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti,
esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il
potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante”
(EG § 54).
Per Bergoglio il postulato della capacità auto-regolatrice del mercato
attraverso la “mano invisibile” è nient’altro che una “concezione magica del
mercato” (EG § 190). Quanto basta ai giornali dell’establishment per gridare al
“papa marxista”. Ma l’accusa di essere di sinistra e persino comunista non
angustia più di tanto questo papa. Nel discorso ai movimenti popolari del
28 ottobre 2014 (Terra, Casa, Lavoro. Discorsi ai movimenti
popolari del 2014, 2015, 2016, edizioni de “il manifesto” – Ponte alle
grazie) Bergoglio afferma:
“Solidarietà (…) è far fronte agli
effetti distruttivi dell’Impero del denaro: i dislocamenti forzati, le
emigrazioni dolorose, la tratta delle persone, la droga, la guerra, la violenza
e tutte quelle realtà che molti di voi subiscono e che tutti siamo chiamati a
trasformare”.
Poi verrà la Laudato si’. Enciclica sulla cura della casa comune (Edizioni
San Paolo, 2015). Già altri documenti della Chiesa avevano richiamato
l’attenzione sul degrado ambientale, ma mai questa questione era stata
affrontata con tanta precisione e in quanto tale. Il principale motivo di
novità sta nella fortissima denuncia delle cause della distruzione delle forme
di vita nel pianeta individuate in “un sistema di relazioni e di proprietà
strutturalmente perverso”, che informa gli attuali “modelli di produzione e di
consumo” (LS § 26). Un altro elemento di novità è la convinzione di Bergoglio
che una inversione della “spirale autodistruttiva” (LS § 163) possa avvenire
solo attraverso una “coraggiosa rivoluzione culturale” (LS § 114), cioè, con la
fioritura di una diffusa “spiritualità ecologica” (LS § 216). Le parole
che usa il papa sono di una straordinaria chiarezza, con buona pace dei
sostenitori della green economy, delle smart cities,
della “responsabilità sociale” delle società per azioni, dei “fondi etici”
delle banche d’affari e degli altri business verdi. Bergoglio
sferra una spallata definitiva all’ambigua parola d’ordine della “crescita
sostenibile” che tiene banco nelle agenzie dello sviluppo economico da decenni:
“La crescita sostenibile diventa spesso
un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso
ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la
responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una
serie di azioni di marketing e di immagine” (LS § 194).
“Quando si parla di ‘uso sostenibile’
bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacità di rigenerazione di
ogni ecosistema nei suoi diversi settori e aspetti” (LS § 140).
La valutazione degli impatti ambientali va svolta seriamente. Il principio
di precauzione va applicato rigorosamente.
“Non basta conciliare, in una via di
mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione
dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un
piccolo ritardo nel disastro” (LS §194).
Bergoglio fa capire che non ci può essere compromesso tra i valori
intrinseci degli esseri viventi (tutti: piante e animali non umani compresi) e
loro valorizzazione economica, monetaria. Il dilemma tra salute e denaro a cui
quotidianamente il sistema industriale costringe ognuno di noi come produttore
o come consumatore o come abitante è respinto al mittente e risolto senza
tentennamenti a favore della preservazione della vita. Va svelato l’intreccio
tra ecologia e sistemi socioeconomici che plasmano le relazioni umane seguendo
asimmetrie di potere nell’accesso alle risorse. Le “cause strutturali”
della crisi ecologica vanno quindi ricercate negli “attuali modelli di
produzione e di consumo” (LS § 26), nell’“attuale modello di sviluppo
globale” (LS § 194), perché “l’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi di
mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente” (LS §
190).
Comunque, nella Laudato si’ non si arriva mai a chiamare
il sistema economico che domina il mondo da duecento e cinquant’anni con il suo
nome: il capitalismo. Sebbene la minuziosa descrizione dei peccati non lasci
comunque scampo ai peccatori.
Nominare il
capitalismo
Più esplicito nella critica alle società multinazionali sarà Papa Bergoglio
in occasione di audizioni come quella con i partecipanti al Congresso
internazionale dell’associazione dei giuristi di diritto penale:
“Una delle frequenti omissioni del
diritto penale (…) è la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei
più potenti, in particolare la macro-delinquenza delle corporations. Non esagero con queste
parole. (…) Il capitale finanziario globale è all’origine di gravi delitti non
solo contro la proprietà ma anche contro le persone e l’ambiente. Si tratta di
criminalità organizzata responsabile, tra l’altro, del sovra-indebitamento
degli Stati e del saccheggio delle risorse naturali del nostro pianeta.” (15
Novembre 2019).
Prima ancora, papa Bergoglio formula una critica al capitalismo in un
memorabile discorso pronunciato in Vaticano il 4 febbraio 2017 in occasione
dell’udienza con il movimento dell’Economia di Comunione che si ispira a Chiara
Lubich, delegazione guidata dall’economista e teologo Luigino Bruni. Qui, papa
Francesco non si è limitato a denunciare gli eccessi e gli effetti collaterali
indesiderati dell’economia di mercato, ma ha nominato esplicitamente il
capitalismo. “Quando il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo
scopo, rischia di diventare una struttura idolatrica, una forma di culto”. E
ancora:
“Il capitalismo continua a produrre
scarti”,
cioè poveri, emarginati, esclusi dalla società.
Non mi risulta che dalla Chiesa romana sia mai giunta una condanna così
esplicita del capitalismo. Vediamo alcuni passaggi dell’impegnativo discorso
pubblicato sull’Avvenire con il significativo titolo di prima pagina a quattro
colonne: Altra economia, ora. Tre i temi scelti: il denaro, la
povertà e il futuro. Sul denaro Bergoglio ricorda il Gesù di Giovanni della
cacciata dei mercanti dal tempio e prosegue con un bagno di realismo:
“Il denaro è importante, soprattutto
quando non c’è e da esso dipende il cibo, la scuola, il futuro dei figli. Ma
diventa idolo quando diventa il fine (…) [quando] l’accumulo di denaro per sé
diventa il fine del proprio agire”. Una soluzione simpaticamente drastica c’è:
“Il modo migliore e più concreto per non fare del denaro un idolo è
condividerlo con altri”.
Per Bergoglio la lotta alla povertà (“curare, sfamare, istruire i poveri”)
ha bisogno di istituzioni pubbliche efficaci fondate sulla solidarietà e il
reciproco soccorso. Qui sta “la ragione delle tasse” come forma di solidarietà
e la condanna morale all’“elusione e alla evasione fiscale”. Ma attenzione,
l’assistenza ai bisognosi non deve servire a nascondere le cause della povertà:
“questo non lo si dirà mai abbastanza – il capitalismo continua a produrre gli
scarti che poi vorrebbe curare. Il principale problema etico di questo
capitalismo è la creazione di scarti per poi cercare di nasconderli o curarli
per non farli più vedere”. Il ragionamento di Bergoglio riguarda il
funzionamento dell’economia in senso generale e ridicolizza i puerili tentativi
con cui un certo capitalismo tenta di riparare i danni arrecati alle persone e
all’ambiente naturale. Lo scritto è davvero magistrale:
“Gli aerei inquinano
l’atmosfera, ma con una piccola parte dei soldi del biglietto piantano alberi,
per compensare parte del danno arrecato. Le società dell’azzardo finanziano
campagne per curare i giocatori patologici che esse creano. E il giorno in cui
le imprese di armi finanzieranno ospedali per curare i bambini mutilati dalle
loro bombe, il sistema avrà raggiunto il suo culmine. Questa è ipocrisia!”. Più
avanti precisa: “Il capitalismo conosce la filantropia non la comunione”.
Leggendo queste parole a me è venuta in mente tanta parte della
“cooperazione internazionale” embendded, incorporata nelle
organizzazioni benefiche come la Fondazione Bill&Melinda Gates che pretende
di insegnare agli africani come vivere e all’Organizzazione mondiale della
sanità come curare le malattie. Per una critica alla filantropia pelosa,
segnalo il libro davvero magnifico di Nicoletta Dentico, Ricchi e buoni? Le trame oscure
del filantrocapitalismo (EMI, 2020). Ma anche lo scritto
di Vandana Shiva, Il programma mondiale di Bill Gates e come possiamo
resistere alla sua guerra contro la vita, in mondialisation.org.
Papa Francesco demolisce anche le illusioni distribuite a piene mani dalle
industrie della green economy, dai “fondi di investimento etici”,
dei certificati di Responsabilità sociale delle imprese e così via. Prosegue
quindi, più chiaro che mai, quasi a voler richiamare i suoi bravi interlocutori
imprenditori dell’economia di comunione ad un impegno ancora più profondo:
“Bisogna allora puntare a cambiare le regole del gioco del sistema
economico-sociale. Imitare il buon Sammaritano non è sufficiente”. È un
anticipo al tema dominante della Fratelli tutti. “Occorre agire
soprattutto prima che l’uomo si imbatta nei briganti, combattendo le strutture
del peccato che producono briganti e vittime”. Verso la fine torna sul
concetto: è necessario “cambiare le strutture per prevenire la creazione delle
vittime e degli scarti”.
Le economie altre
Infine, nella parte del discorso ai sostenitori dell’economia di comunione
dedicata al futuro, papa Freancesco invita ad avvicinarsi al cambiamento: “Non
occorre essere in molti per cambiare la nostra vita”, dice Bergoglio. “Piccoli
gruppi” possono funzionare da seme, sale ed enzima per il lievito.
“Tutte le volte che le persone, i popoli
e persino la Chiesa hanno pensato di salvare il mondo crescendo nei numeri,
hanno prodotto strutture di potere, dimenticando i poveri”.
Dono e amore, reciprocità e condivisione sono le leve del cambiamento. “Il
‘no’ ad un’economia che uccide diventi un ‘sì’ ad un’economia che fa vivere”,
conclude. Per quanti si occupano in vario modo e in varie forme di economia
solidale questo discorso del papa appare molto incoraggiante.
Già nella Ludato si’ e nei tre incontri avuti con i
movimenti popolari (Papa Francesco, Terra Casa Lavoro, il manifesto
– Ponte alle Grazie, 2017) e poi nella enciclica Fratelli Tutti,
Bergoglio dimostra un interesse appassionato per le “comunità di piccoli
produttori” (LS §112), per le “varie forme di economia popolare e di
produzione comunitaria” (FT § 169) che riescono ad organizzare “reti
comunitarie” (LS § 219) e a creare un “tessuto sociale locale” (LS § 232)
attraverso “rapporti di prossimità con tratti di gratuità” (FT § 152), capaci
di produrre autosufficienza e sicurezza alimentare, opponendosi alle grandi
“economie di scala” che hanno l’effetto di cacciare i contadini dalle loro
terre. I “piccoli gruppi” che praticano forme di economie altre sono state
definite come “seme, sale ed enzima per il lievito” del cambiamento (Audizione
con l’Economia civile del 4 febbraio 2017). Con meticolosa precisione ed
empatia papa Francesco in varie occasioni cita i soggetti che a lui stanno più
a cuore e che formano “un torrente di energia morale” (FT § 169): cartoneros,
venditori ambulanti, sarti, artigiani, pescatori, piccoli coltivatori,
muratori, minatori, raccoglitori, giostrai. In genere i lavoratori precari
delle economie informali e quelli che assolvono compiti assistenziali. Ma anche
cooperative come quelle per lo
“sfruttamento delle energie rinnovabili
che consentono l’autosufficienza locale e persino la vendita della produzione
in eccesso. Questo semplice esempio indica che, mentre l’ordine mondiale esistente
si mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la
differenza. È lì infatti che possono nascere una maggiore responsabilità, un
forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più
generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure il pensare a quello
che si lascia ai figli e ai nipoti. Questi valori hanno radici molto profonde
nelle popolazioni aborigene” (LS §179).
Papa Bergoglio, comunque, mette in guardia dai “narcisismi localistici” (FT
§ 146), dalle pratiche da “museo folkloristico di eremiti localisti (…)
incapaci di farsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare
la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini” (FT § 142).
Il pensiero
economico di Bergoglio
Qual è quindi l’idea economia che papa Francesco ha in testa? Qual è la
“diversa narrazione economica” e la visione del “nuovo ordine economico” che
propone? In più occasioni papa Francesco ha tenuto a precisare che non
è suo compito, né tantomeno suo desiderio, elaborare nuove teorie economiche
generali, formulare nuovi modelli macroeconomici, ma solo costruire un
mondo migliore combattendo ogni emarginazione e la distruzione del creato,
dando voce a chi non ce l’ha. Comunque, a me pare che i capisaldi del pensiero
economico di Bergoglio si siano venuti chiarendo nell’ultimo anno con
l’“enciclica sociale” Fratelli Tutti, con l’iniziativa rivolta ai
giovani economisti Economy of Francesco e con atri interventi tra cui mi pare
che spicchi il discorso nell’udienza generale del 26 agosto 2020 (Catechesi –
“Guarire il mondo”: La destinazione universale dei beni e la virtù
della speranza), quando il Papa si richiama direttamente alle
“prime comunità cristiane, che come noi
vissero tempi difficili. Consapevoli di formare un solo cuore e una sola anima,
mettevano tutti i loro beni in comune (…). Ma ricordatevi: da
una crisi non si può uscire uguali, o usciamo migliori, o usciamo peggiori. (…)
Dopo la crisi [il riferimento è alla pandemia], continueremo con questo sistema
economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del
creato, della casa comune? Pensiamoci. Possano le comunità cristiane del
ventunesimo secolo recuperare questa realtà – la cura del creato e la giustizia
sociale: vanno insieme. (…) se mettiamo in comune ciò che possediamo in modo
che a nessuno manchi, allora davvero potremo ispirare speranza per rigenerare
un mondo più sano e più equo”.
In sintesi il pensiero economico di Bergoglio “nella prospettiva dello sviluppo
umano integrale” può essere inquadrato su alcuni filoni.
1.
No al “supersviluppo dissipatore”, alle “sfrenatezze megalomane”, alla
“ragione strumentale (individualismo, progresso indefinito, concorrenza,
consumismo, mercato senza regole)” (LS § 210) e al “consumismo compulsivo” (LS
§ 203) e senza limiti che impediscono di transitare verso una società
responsabile, più equa e armoniosa. In questo contesto Bergoglio giunge anche a
sperare che sia “arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune
parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in
altre parti del mondo” (LS § 193). Una decrescita vista ancora solo in termini
meramente redistributivi, anche se viene auspicato che possano sorgere “nuovi
modelli di progresso (…) la qual cosa implica riflettere responsabilmente sul
senso dell’economia e sulla sua finalità” (LS §194). “L’interdipendenza ci
obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune” (LS §164). La
realizzazione della già citata “conversione ecologica globale”(LS §5) passa
quindi attraverso una “conversione comunitaria” (LS § 219).
2.
No al “paradigma tecnologico” che pone la tecnoscienza al servizio dell’hybris del
potere degli uomini. Occorre “scegliere uno stile di vita con obiettivi che
possono essere indipendenti dalla tecnica, dai suoi costi e dal suo potere
globalizzante e massificante” (LS § 108).
3.
No alla disoccupazione, perché il lavoro degno è una necessità per la
realizzazione personale di ogni individuo. Il lavoro è irrinunciabile come
“mezzo per la crescita personale, per esprimere se stessi, per sentirsi
corresponsabili nel miglioramento del mondo” (FT §162). Per ciò è necessario
“Lottare contro le cause strutturai della povertà, la diseguaglianza, la
mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali
e lavorativi” (FT § 116). Da qui nasce il “principio dell’uso comune dei beni
creati per tutti” e della loro “destinazione universale” (FT §120).
4.
No ad una economia “per” e “verso” i poveri, ma “con” e “dei” poveri (FT §
169). Ai giovani economisti, futuri imprenditori e manager riuniti nella
Economy of Francesco, il papa ha detto: “Non pensiamo per loro,
pensiamo con loro” (Videomessaggio del 21 novembre 2020). No,
cioè, all’assistenzialismo e alle elemosine, ma solidarietà e giustizia con il
protagonismo dei “poveri organizzati” (Discorso ai movimenti popolari del
2016). L’idea è che “ogni essere umano possa diventare artefice del proprio
destino “ (FT § 187). La sussidiarietà ridà un senso concreto a “grandi parole”
che sono state svuotate di contenuto, come “democrazia, libertà, giustizia,
unità” (FT § 14). “Quando si dice che il mondo moderno ha ridotto la povertà,
lo si fa misurandola con criteri di altre epoche non paragonabili con la realtà
attuale (…) La povertà si analizza e si intende sempre nel contesto delle
possibilità reali” (FT § 21). In altri termini Bergoglio dice che non è né
equo, né realistico misurare il benessere delle persone in termini di quanti cent di
dollaro/giorno si dispone. Nel videomessaggio ai giovani della Economy of
Francesco, il Ppa ha detto: “ Non basta neppure puntare sulla ricerca di
palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera
sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali
squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le
ingiustizie che intendono contrastare”.
5.
No alla dissipazione delle risorse, si alla “protezione dell’ambiente come
parte integrante del processo produttivo” (dalla Dichiarazione Onu di Rio de
Janeiro del 1992).
Fuori/con/dentro il mercato
Fin qui le riflessioni di Bergoglio, per la loro radicale critica
al sistema economico esistente e per l’apertura alle esperienze dei movimenti
popolari e indigeni, farebbero intendere una propensione esplicita verso il
superamento dei rapporti di produzione e di consumo di stampo capitalista.
Difficile pensare infatti che un sistema economico di mercato votato alla
ricerca della crescita del profitto possa mai diventare socialmente ed
ecologicamente sostenibile. Invece, al fondo, nel ragionamento del papa
permane un margine di ambivalenza che consente a molti economisti di
fede cattolica e alle istituzioni della Chiesa di mantenere forti aspettative
sulla capacità dell’attuale sistema economico di emendarsi dall’interno e
auto-riformarsi, senza uscire dai modi di produzione, di scambio e di consumo
regolati dalle leggi del mercato.
Posto che “il diritto di alcuni alla libertà di impresa e di mercato non
può stare al di sopra dei diritti dei popoli e della dignità dei poveri” (FT
§122), gli operatori economici, gli imprenditori e i manager ai vertici delle
imprese possono sempre (dovrebbero, se spinti da sentimenti cristiani) far
propri principi etici e comportamenti umani tali da rendere le loro attività
economiche sostenibili e concorrenti al bene comune. Così come è pur vero che
“il mercato da solo non risolve tutto” (LS § 168) (sottolineatura mia), ma se
viene affiancato e guidato da una buona “nuova regolamentazione” (FT § 170)
statale politica – intesa come “forma preziosa della carità” (Pio XI, 1927) -,
allora anche lo scambio mercantile può essere funzionale al bene collettivo.
Insomma, il ragionamento di papa Bergoglio, non solo non esclude una possibile
convivenza tra sistemi economici e forme di impresa diverse, ma include anche
l’impresa di stampo capitalista e il sistema di mercato nel processo di
cambiamento generale.
In altri discorsi Bergoglio sembrava aprire all’ipotesi di una narrazione
post-capitalista. “L’etica rimanda ad un Dio che attende una risposta
impegnativa, che si pone al di fuori delle categorie del mercato”, aveva
scritto all’inizio del suo apostolato nell’esortazione Evangeli
Gaudium, (EG § 57). Così come nei discorsi ai Movimenti popolari:
“L’economia non dovrebbe essere un meccanismo di accumulazione, ma la buona
amministrazione della casa comune” (Terra, Casa, Lavoro. Discorsi
ai movimenti popolari, 2016). Nella enciclica Fratelli tutti,
invece gli obiettivi della creazione di “fraternità universale e amicizia
sociale” (FT §142) e di una “migliore” e “serena convivenza” (FT § 228, 279)
sembrano perseguibili componendo etica e mercato attraverso la buona
disponibilità d’animo dei protagonisti e il raggiungimento in ogni individuo di
“un livello morale che gli permette di andare oltre sé stesso e il proprio
gruppo di appartenenza” (FT §117). Un’idea che si avvicina terribilmente al
tradizionale interclassismo cogestionale della Chiesa, che non mette in
discussione gli assetti di potere economici e giuridici dell’impresa
capitalista.
Nell’enciclica Fratelli tutti l’iniziativa economica
privata viene considerata persino con reverenza: “L’attività degli imprenditori
effettivamente è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a
migliorare il mondo di tutti (…) tuttavia, questa capacità degli imprenditori,
che sono un dono di dio, dovrebbero essere orientate chiaramente al progresso
delle persone” (FT §123). Il tutto si risolve in un accorato appello all’“unità”,
alla “negoziazione” paziente (FT § 231), al “realismo dialogante” (FT § 221),
ad un “patto sociale” (FT § 218) tra i diversi interessi in gioco. Certo,
precisa Bergoglio: “La vera riconciliazione non rifugge il conflitto, bensì si
ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo e la
trattativa trasparente” (FT § 244). Quindi, le “lotte (sono) legittime” FT §
243) quando servono a difendere i diritti e a togliere potere agli oppressori.
Per questo motivo la Chiesa deve impegnarsi nel sociale: stare dalla parte dei
“movimenti popolari che aggregano disoccupati, precari e informali” (FT §169),
“lottare per ciò che è più concreto e locale” (FT § 78), Ma la “buona politica”
(FT §180) deve mirare al consenso e alla “concordia sociale” (FT § 240). La “civiltà
dell’amore” (FT§ 183) si fonda anche sulle buone maniere: dire “permesso,
scusa, grazie”. “Mettersi al posto dell’altro” (FT §221) ed usare gentilezza,
benevolenza, dolcezza, mitezza, tenerezza… aprono le porte non solo del
paradiso, ma anche ad una società migliore.
Piuttosto che un aut-aut tra sistemi economici e sociali
contrapposti, Bergoglio sembra optare per una dialettica et-et.
Un’economia
poliedrica
Quando Bergoglio parla di una società poliedrica auspica una convivenza
pacifica tra varie forme di produzione diversificate e ordinamenti sociali
rispettosi delle varie tradizioni e scelte culturali e politiche dei popoli. In
tal senso sono paradigmatiche le riflessioni dell’autunno scorso sull’Amazzonia
a favore dell’autonomia e dell’autogoverno dei popoli indigeni svolte in
occasione del Sinodo per la Regione pan amazzonica.
Ma anche nei paesi ricchi si tratta di ricavare uno spazio di azione
“terzo”, tra mercato e iniziativa economica diretta pubblica, dove possano
agire liberamente i portatori dei principi di un’economia eticamente orientata
e sperimentare concretamente modelli socioeconomici diversi; istituire e dare
dignità a “varie forme di economia popolare e di produzione comunitaria” (FT
§169) che operano già ora ben al di là della “logica perversa e vuota (del)
calcolo di vantaggi e svantaggi” (FT § 210) cioè del mercato. Un terreno certo
necessario da praticare, ma molto scivoloso. Abbiamo già potuto constatare molte
volte che il Terzo settore, schierato a cuscinetto tra i fallimenti del mercato
e la bancarotta degli stati, non ha dato la meglio prova di sé. Altre
benemerite esperienze, come quelle degli imprenditori dell’Economia di
comunione, non sono riuscite a fare sistema.
Nella già citata intervista del 2017 al Sole 24 ore Bergoglio diceva:
“Un’etica amica della persona tende al superamento della distinzione rigida tra
realtà votate al guadagno e quelle improntate non all’esclusivo meccanismo dei
profitti, lasciando un ampio spazio ad attività che costituiscono e ampliano il
cosiddetto terzo settore. Esse, senza nulla togliere all’importanza e
all’utilità economica e sociale delle forme storiche e consolidate di impresa,
fanno evolvere il sistema verso una più chiara e compiuta assunzione delle
responsabilità da parte dei soggetti economici. Infatti, è la stessa diversità
delle forme istituzionali di impresa a generare un mercato più civile e al
tempo stesso più competitivo”. E ancora: “La distribuzione e la partecipazione
alla ricchezza prodotta, l’inserimento dell’azienda in un territorio, la
responsabilità sociale, il welfare aziendale, la parità di trattamento
salariale tra uomo e donna, la coniugazione tra i tempi di lavoro e i tempi di
vita, il rispetto dell’ambiente, il riconoscimento dell’importanza dell’uomo
rispetto alla macchina e il riconoscimento del giusto salario, la capacità di
innovazione sono elementi importanti che tengono viva la dimensione comunitaria
di un’azienda”. Secondo Bergoglio l’obiettivo di una azienda sana e vitale è
“Tenere unite azioni e responsabilità, giustizia e profitto, produzione di
ricchezza e la sua ridistribuzione, operatività e rispetto dell’ambiente”.
Gli ostacoli costituiti dalle forme giuridiche dell’impresa di capitale,
che indubbiamente privilegiano gli interessi degli azionisti, e la sua
dipendenza dal credito, che la obbliga a creare plusvalenze da destinare alle
rendite finanziarie, nel pensiero economico di Bergoglio non sembrano barriere
insuperabili se vi sono comportamenti individuali degli imprenditori e dei
manager che tengono conto anche degli interessi degli altri stakeholders.
Esiste un
mercato benefico?
L’idea del cattolicesimo liberale secondo cui “il mercato è il meccanismo
che genera maggiore benessere per tutti” – Dario Antiseri, Etica ed
Economia, La società 3/2013 – e quindi “contribuisce a realizzare il
comando evangelico dell’amore”, è dura a morire. Il sistema di libero
mercato e una competizione virtuosa tra imprenditori sarebbe capace di generare
un “profitto giusto e buono”. E questo continua ad essere il pensiero ufficiale
della Chiesa romana, ribadito pesantemente ancora un paio di anni fa dalla
Confederazione per la Dottrina della Fede in collaborazione con il Dicastero
per il Servizio dello sviluppo umano, istituito da papa Francesco e affidato al
cardinale ghanese Peter Tukson, con il documento, Oeconomicae et
pecuniariae quaestions. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni
aspetti dell’attuale sistema economico- finanziario (Bollettino della
sala stampa della Santa Sede n.0360, 17/05/2018), controfirmato dallo stesso
papa Francesco. Con questo impegnativo documento gli economisti del Vaticano si
sono prefissi l’arduo compito di individuare “una nuova economia più attenta ai
principi etici” attraverso “una nuova regolamentazione dell’attività
finanziaria neutralizzandone gli aspetti predatori e speculativi”. Ma il
miracoloso tentativo di ricomporre le ragioni dell’economia parametrata sullo
“scambio tra equivalenti” e quelle del benessere reale delle popolazioni non mi
pare sia riuscito bene. La Confederazione della fede infatti giunge alla
conclusione che “il profitto va sempre perseguito”, anche se non “ad ogni
costo”. Perciò: “In linea di principio, tutte le dotazioni ed i mezzi di cui si
avvalgono i mercati per potenziare la loro capacità allocativa, purché non
rivolti contro la dignità della persona e non indifferenti al bene comune, sono
moralmente ammissibili”. Amen! Tra questi strumenti vi sono: il “denaro” (non
la semplice moneta, mezzo di scambio), che viene definito “di per sé uno
strumento buono”, il “valore aggiunto, che è lo scopo primario del sistema
economico-finanziario”, il credito e il debito, le stesse borse valori. Si
giunge così all’apoteosi delle meravigliose e progressive doti del Mercato. “Il
mercato, grazie ai progressi della globalizzazione e della digitalizzazione,
può essere paragonato ad un grande organismo, nelle cui vene scorrono, come
linfa vitale, ingentissime quantità di capitali. (…) Possiamo dunque parlare
anche di ‘sanità’ di tale organismo, quando i suoi mezzi ed apparati realizzano
una buona funzionalità di sistema, in cui crescita e diffusione della ricchezza
vanno di pari passo” (OPQ § 19). Basta regolarlo con “solidi e robusti
orientamenti”, applicare le normative sulla “responsabilità sociale
dell’impresa” e “istituire Comitati etici, in seno alle banche, da affiancare
ai Consigli di Amministrazione”. Sarà questa anche una delle conclusioni (punto
n.8 del documento finale) del meeting Economy of Francesco dello scorso
novembre: “Le imprese e le banche, soprattutto le grandi e globalizzate,
introducano un comitato etico indipendente nella loro governance con
veto in materia di ambiente, giustizia e impatto sui più poveri”. Per di più
(punto 9) si chiede che “le istituzioni nazionali e internazionali prevedano
premi a sostegno degli imprenditori innovatori nell’ambito
della sostenibilità ambientale, sociale, spirituale e, non ultima,
manageriale perché solo ripensando la gestione delle persone dentro le
imprese, sarà possibile una sostenibilità globale dell’economia”.
Siamo così entrati in pieno nella narrazione dello “sviluppo
sostenibile” e della “svolta etica e verde del capitalismo” annunciata
dal The Wall Street Journal lo scorso anno e recentemente dal World Business
Council for Sustainable Development. Il sistema economico vigente, ci dicono, è
compatibile con il bene comune, purché “certificato” dai filtri Esg (Environmental,
Social, Governance) che aggiudicano un punteggio alle performace green
degli investimenti finanziari evinronmental friendly e che concorrono a formare
il Jones Sustainability Index delle borse; garantito dalle etichette Ecolabel
rilasciate da una pretora di “enti terzi” da applicare alle produzioni
industriali; dai bollini che attestano il “benessere multidimensionale”
generato dalle imprese B-corp (Benefitn Corporation) et similia; autorizzato
dalle quote di emissione di gas climalteranti contemplate dall’Emission Trading
System, rilasciate al “giusto prezzo” secondo l’andamento delle aste pubbliche
(sistema che ha valso l’ultimo premio Nobel per l’economia); emendato dalle
varie forme di compensazione degli inquinamenti (Clean Development Mecanism) e
di “tasse verdi”. E così via.
Capitalismo dal volto umano
In questa cornice si situa la “spettacolare” entrata del Vaticano, sancita
in un incontro ufficiale con lo stesso papa Francesco, nel Council for
Inclusive Capitalism. Un movimento creato da un folto gruppo di leader (Ceo
e amministratori delegati) di alcune tra le prime 500 più grandi imprese del
mondo (British Petroleum, Banca d’America, Allianz, Dupont, Visa,
Johnson&Johnson, Rockfeller Foundation, Ford Foundation, Amundi, Master
Card e altre che assommano più di 10,5 trilioni di dollari di capitalizzazione
e 200 milioni di dipendenti) la cui missione è promuovere un “capitalismo
inclusivo” capace di “creare valore a lungo termine per tutte le parti
interessate – aziende, investitori, dipendenti, clienti, governi, comunità e
pianeta”. La loro idea è che: “Il capitalismo ha portato ricchezza e prosperità
a miliardi di persone in tutto il mondo. Tuttavia, riconosciamo che il
capitalismo deve evolversi per promuovere un sistema più sostenibile,
affidabile, equo e inclusivo che funzioni per tutti”. Ha commentato un giornale
newyorkese: “Il Papa benedice i piani aziendali. Può sembrare un abbinamento
insolito: grandi imprese e Papa Francesco, un pontefice che ha più volte
criticato il capitalismo in termini ruvidi. Ma hanno annunciato oggi una nuova
partnership, l’ultimo segno della crescente influenza delle pratiche
ambientali, sociali e di governance, o E.S.G., negli affari”. (Dealbook
Newsletter, 8 dicembre 2020).
Sullo stesso terreno si muove un altro consesso di manager e chief
executive officier, il World Business Council for Sustainable
Development. Un’organizzazione di più di duecento aziende che sommano un
fatturato di oltre 8 trilioni di dollari e diciannove milioni di dipendenti.
Recentemente ha pubblicato una agenda di azioni per “Reinventare il
capitalismo” (Reinventing Capitalism: a transformation agenda Vision 2050
issue brief, November 2020). “Persino i capitalisti – ci assicurano –
stanno iniziando a sostenere che il capitalismo, nella sua forma attuale sta
generando risultati insostenibili – socialmente, ambientalmente ed
economicamente”. E ancora: “Il sistema attuale sta generando livelli
insostenibilmente elevati di disuguaglianza e viola i planetary
boundaries. Sia la scienza che la storia suggeriscono che se il nostro
percorso attuale proseguirà ci porterà alla catastrofe: tensione ecologica e
stratificazione economica hanno dimostrato di svolgere un ruolo centrale in
ogni crollo delle civiltà passate”.
C’è da credergli, ma dubito fortemente che la strada indicata da loro sia
quella capace di portare l’umanità fuori dalla crisi ecologica e sociale che
sta attraversando la nostra civiltà. Penso che sia difficile pensare di poter
raggiungere gli obiettivi dello Sviluppo sostenibile contenuti nell’Agenda 2030
dell’Onu e dell’Accordo di Parigi sul clima rimanendo all’interno del dominio
delle grandi imprese multinazionali.
Penso anche che mantenere una ambiguità su questo punto non giovi alla
forza del messaggio ecologista e sociale lanciato da questo papa. In
Vaticano, temo, ci siano problemi di dissociazione cognitiva in materia di
politica economica. Sicuramente è aperto un confronto che avrà esiti
politici. Il più noto economista di riferimento del mondo cattolico italiano e
del Terzo settore, Stefano Zamagni, dallo scorso anno presidente della
Pontificia accademia delle scienze sociali, ha recentemente lanciato un
manifesto e ha promosso la formazione di “un nuovo soggetto politico” dei
cattolici in Italia (nome e simbolo depositati: “Insieme. Lavoro e famiglia,
solidarietà e pace”) con l’intenzione di ricompattare la “pericolosa diaspora
cattolica” e con l’obiettivo di superare il bipolarismo che avrebbe penalizzato
“le forze moderate del centro”. “L’unità politica dei cattolici – scrivono –
sono i cattolici”. La loro base di riferimento dovrebbe essere le numerose
associazioni riconducibili alla Cei.
L’altro economista di riferimento, anch’esso cofondatore della scuola
dell’Economia Civile, coordinatore del meeting Economy of Francesco, Luiginio
Bruni, storico del pensiero economico, professore della Lumsa (Libera
Università Maria santissima assunta) ha recentemente scritto: “Questo
capitalismo individualistico ha i giorni contati. (…) Le grandi crisi iniziano
sempre al culmine del loro successo”. “La novità della nuova ‘altra’ economia
di questo tempo sta nel cambiamento delle prassi e dei comportamenti, della
cultura e quindi del culto [capitalista]”, poiché orami “il capitalismo è
entrato dentro l’anima delle persone per il suo essere religione
pragmatica 24h7d: giorno e notte, sette giorni su sette” (Il nuovo
culto della felicità pubblica, Buonenotizie del Corriere della sera, 22
settembre 2020).
Testo dell’intervento all’incontro “Spiritualità della terra” (ottobre 2020), dal titolo “L’economia trasformativa nel pensiero di papa Francesco. È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio. Il Vangelo di Matteo (19,24)”.
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