Alla fine, bisogna annotare, questa storia del Vaccino e del Green pass è diventata una faccenda affascinante. Di per sé sarebbe solo una questione tecnica, una certa soluzione a un certo problema. Ma la verità è che in breve tempo ha finito per diventare una sorta di cerchio magico dove molti sono andati a celebrare i propri riti, chiamare a raccolta il proprio pubblico, risvegliare le proprie parole d’ordine, o anche solo ritrovare se stessi. Da ogni parte ci affrettiamo verso quel luogo del vivere portando la nostra dotazione di pensiero e istinto: lì ci risulta più semplice che altrove riconoscere e pronunciare il nostro modo di stare al mondo. Il risultato è che un problema in fondo squisitamente pratico, oggi ce lo ritroviamo come problema, di volta in volta, politico, economico, medico, filosofico, etico, giuridico. Vorrei essere chiaro: quando un problema lievita così al di là della sua lievitazione naturale non è più un problema che si possa risolvere. Lo si può giusto forzare a una soluzione, sacrificandone alcune parti e lasciandole vagare, irrisolte, per il firmamento del nostro vivere. È uno di quei casi in cui un eccesso di informazioni e di riflessioni dà alla domanda uno statuto per così dire quantistico: qualsiasi risposta è giusta e sbagliata allo stesso tempo. È ormai evidente: chiunque disponga oggi di un’opinione certa sul vaccino, si sta sbagliando.
Quindi bisognerebbe lasciar perdere e
tirare la moneta, vaccino sì, vaccino no? Be’, non esattamente. Vincerà una
narrazione piuttosto che un’altra, è inevitabile; sarà imprecisa, parziale e
vagamente semplicistica, è inevitabile; ma sarà comunque la narrazione che una
nostra inerzia collettiva avrà scelto tra le tante disponibili. Per questo,
prima che una chimica in fondo misteriosa decida definitivamente da che parte
inclineremo, mi permetto di annotare due correzioni, molto pragmatiche, che mi
sento di suggerire: possono essere utili a rendere più fluidi i processi che
porteranno una narrazione a diventare realtà, relegando tutte le altre a
leggende.
1. Vorrei mitemente consigliare di non
rendere obbligatorio il vaccino, di non farlo per nessuna ragione al mondo.
Ormai molti di noi sono passati a interpretare quel gesto non come un comportamento,
ma come lo spazio di una propria autodeterminazione. Quando arrivi a quel
punto, quel che stai maneggiando non è più la soluzione a un problema, ma la
postura mentale con cui degli umani della tua comunità vogliono stare al mondo.
Vuoi stabilirla tu per legge? Che arroganza. D’altronde, se un’élite politica e
scientifica non riesce a convincere la totalità dei cittadini sull’utilità di
un comportamento, con tutti gli strumenti che ha, di dominio e persuasione,
deve alle fine prendere atto che non ce l’ha fatta, chiedersi dove ha
sbagliato, e affrettarsi a fare l’unica cosa che deve fare: ricavare il meglio
dai risultati che ha ottenuto. Evidentemente la narrazione che aveva scelto era
sufficientemente solida da convincere la maggior parte della comunità, ma non
abbastanza da risultare accettabile agli altri. Bon, girare pagina e andare
avanti. Verosimilmente, accettare che una parte largamente minoritaria di
italiani non si vaccini significa oggi rinviare di mesi il ritorno a una vita
“normale”: significa meno lavoro, meno reddito, meno vita fuori casa, più
contagiati, probabilmente più morti. Ma è uno scenario che un’élite deve essere
abbastanza forte da accettare quando non è riuscita a guidare tutta la propria
comunità ai comportamenti che riteneva appropriati. Pensare che la colpa sia
dei cittadini che non capiscono è follia. Ci saranno frange che proprio non
ragionano, e va be’, ci sono sempre. Ma gli altri, tutti deficienti? Oh, no,
hanno le loro ragioni, il loro sapere, il loro istinto. Probabilmente vedono
cose che non esistono, ma anche vedono cose che agli altri risultano quanto
meno sfocate. Nella pancia delle resistenze al vaccino, una comunità come la
nostra conserva la propria capacità genetica di produrre eresie e di pensare
diversamente da se stessa: sono anticorpi assai più importanti di quelli che ci
servono contro il virus. Sopprimerli per legge sarebbe folle.
E non è nemmeno tanto dignitoso, se mi
posso permettere, scegliere la strada dell’obbligo indiretto: che poi
vuol dire rendere la vita talmente complicata ai non vaccinati da indurli a
cedere, prima o poi. Che tristezza. Petit, dicono i francesi – il
più sanguinoso degli insulti. Strumento di questa infantile strategia è,
ovviamente, il Green pass. Che, per essere pratici, è uno strumento
non indispensabile, ma sicuramente molto utile e efficace per riportarci a
vivere situazioni che altrimenti sarebbero più pericolose, dai teatri ai posti
di lavoro. Ma usarlo come manganello per i non vaccinati è ovviamente un
eccesso di zelo. Non c’è bisogno di scomodare nessuna riflessione filosofica o
vigilanza costituzionale: se usiamo il Green pass come
regolatore della vita comune ne dobbiamo facilitare il possesso a tutti,
compresi quelli che rifiutano il vaccino. Ci vorrebbe un altro generale
Figliuolo a cui affidare la missione di rendere più semplice possibile la vita
a coloro che non vogliono vaccinarsi. Sono sicuro che qualcuno si chiederà
perché dovremmo fare una cosa del genere, o, ad esempio, pagare i test a
persone che, con le loro convinzioni, mettono a repentaglio la salute dei più.
Conosco la risposta. Perché siamo civili. Perché siamo una comunità e non una
partita di guardie e ladri. Perché siamo un Paese, non un reparto ospedaliero.
Perché potrebbero avere ragione loro, e per certi versi sicuramente ce l’hanno.
Perché lo stesso fa, la comunità, quando nel gruppo dei dissidenti ci siamo
noi. Perché più prezioso del vivere, c’è il vivere da uomini giusti – che
delitto dimenticarlo.
2. La seconda correzione che vorrei
suggerire riguarda quelli che declinano l’invito a vaccinarsi: è molto
importante che la smettano di pensare di essere gli unici a saperla lunga, gli
unici ad essere sfuggiti a un rimbambimento generale; è molto importante che
non si sentano degli eroi perseguitati che combattono il sistema. Per favore, è
un equivoco, non serve a niente, complica le cose, stiamo passando un brutto
momento, abbiamo tutti bisogno di semplicità, di idee chiare e distinte. Non
vaccinarsi è un gesto legittimo, ma prima che diventi un po’ troppo facilmente
un gesto rivoluzionario, è utile ricollocarlo nella sua cornice. Cerco di
spiegare, non sarò lungo, bastano tre, quattro di minuti di attenzione.
Viviamo in comunità, e facciamo bene
perché come individui, anarchici e individualisti, saremmo già spacciati da
tempo. Ogni comunità ha una sorta di chiglia sommersa, una spina dorsale, una
nervatura resistente che la tiene insieme e le dà la possibilità di seguire una
rotta. Grazie ad essa navighiamo a dispetto delle correnti e nonostante le
onde. Possiamo cambiare il timoniere, e quindi la rotta, e lo facciamo
abbastanza spesso, ma sempre contiamo su quella chiglia, senza la quale
qualsiasi timone sarebbe pressoché inutile. Ora, quando si parla di
comunità-nazione la chiglia è rappresentata da una sorta di intelligenza
collettiva e impersonale che prevale su quelle individuali e in certo modo le
supera e le aggrega. Dovete immaginarla come la vertiginosa fusione di principi
morali, saperi, mitologie, scaramanzie, mode, memorie di battaglie, visioni
geniali, strafalcioni. Quasi sempre reca l’orma visibile del potere, come la
tazza reca quella della mano del vasaio: ma sarebbe stupido non capire che a
generare quella chiglia sono anche il sentire collettivo, gli antidoti prodotti
da ogni forma di dissidenza, certe spinte irrazionali che vengono dal ventre
della comunità, e l’ubiqua influenza dell’errore casuale e dell’imperfezione
umana. La chiglia di una comunità è la sintesi abbastanza precisa della sua
intelligenza, tradotta in forza; è il meglio della sua immaginazione, tradotto
in gesti. Non è una emanazione del potere pura e semplice, è un prodotto a cui
mettono mano tutti. Il timone, sì, è in mano al potere, ma la chiglia è
qualcosa di più complesso, non a caso fila invisibile sotto la superficie
dell’acqua. Una delle nervature di quel legno siete voi, ciascuno di noi, io,
tu. Ora, credetemi: la cultura del vaccino è inscritta in quella chiglia. Non
è il parere di un timoniere, vi prego di capire, ma deriva direttamente da
quell’intelligenza collettiva che tiene insieme la nostra comunità e di cui
fate parte. Tutta la filiera di saperi e riflessioni che ha da prima immaginato
i vaccini, poi li ha realizzati e poi li ha usati, proviene in maniera molto
riconoscibile dalla chiglia della nostra comunità, dalla sua nervatura forte. I
principi, i valori e le logiche che l’hanno determinata rispecchiano
un’intelligenza a cui potete far risalire quasi tutti gli scenari dove
sicuramente, ogni giorno, fate funzionare la vostra vita. Se domani andate
contro un muro (dio non voglia) il sistema di intervento che vi terrà in vita
non è quello che voi preferite, ma quello messo a punto nel tempo da
quell’intelligenza, la stessa che sta chiedendovi di vaccinarvi. Se fate un
bambino, quell’intelligenza dispone di un suo modo per ridurre i rischi che
muoia, e quando il bambino sarà grande quell’intelligenza ha immaginato per lui
un habitat dove essere educato: ci crede talmente da renderlo obbligatorio per
anni e anni. Se leggete libri, sappiate che l’élite che li produce è
compatibile con quella intelligenza, se vi piace andare nei musei sappiate che
quell’idea di memoria e di conservazione proviene dritta dritta da un’ossessione
di quella intelligenza e dal denaro che essa, spesso in modi atroci, ha
accumulato nel tempo: è la stessa intelligenza che, quando non vi insegue per
farvi fare i tamponi, decide quando l’aria della vostra città è irrespirabile o
quanti grassi può contenere al massimo la vostra merendina. Attraverso quella
intelligenza abbiamo scelto un sistema per stoccarci da morti, finanziamo le
nostre università, ci spingiamo a decidere quando una droga inizia a farci
veramente del male, e abbiamo una nostra idea di cosa sia la libertà sessuale.
Non la smettiamo un attimo di lavorare, con quell’intelligenza. È una chiglia,
fende il mare.
Così, per gran parte dei membri della
comunità, l’esperienza quotidiana, ordinaria, abituale, è questa: abitare al
90% il mondo così come l’intelligenza collettiva l’ha organizzato, e poi patire
e incazzarsi per un dieci per cento che proprio non digerisce. Arriva sempre
quel frammento della realtà in cui il delta tra la tua sensibilità personale e
le regole individuate dall’intelligenza collettiva diventa una voragine che ti
fa davvero troppo male. In questo momento il vaccino è, per molti, quel
frammento. Ma credetemi, ognuno ha il suo. Io per esempio ce l’ho con la
scuola. Mi sembra che i guasti che facciamo lì siano più gravi di quelli che
rischiamo di fare con un vaccino: posso sbagliarmi, ma era per spiegarvi che
poi ognuno si impunta su un frammento della vita reale, intanto che accetta
tutti gli altri, e questo è la normalità. Questa è l’esperienza di tutti, e
tutti, prima o poi, finiamo dalla parte di quelli che non ci stanno, e patiamo
l’ondata di disapprovazione, l’isolamento più o meno esplicito, il destino
dubbio degli esuli, la tentazione di isolarsi in una propria tribù in guerra
col mondo. Non per questo siamo degli eroi. Non lo credo proprio. Non per
questo la sappiamo più lunga degli altri, non lo credo proprio. Viviamo, lo
facciamo da svegli, ogni tanto ci troviamo sulla sponda dei ribelli. Tutto lì.
Oggi, devo aggiungere, e poi chiudo, tutto
ciò accade nel paesaggio di un grandioso cambio di civiltà, e questo confonde
molto le menti e i cuori. Come mi accade di scrivere spesso, quel che sta
succedendo è che la chiglia si è scoperta vecchia, marcia, stanca, esausta per
i lunghi viaggi spesso fallimentari. Stiamo in bilico tra una intelligenza
scaduta e un’altra ancora non adulta, che tarda ad arrivare. Anche per questo,
oggi, la scelta sul vaccino sta assumendo questi toni drammatici: casca in
pieno nel bel mezzo di un solenne crepuscolo degli dei, e diventa così, immediatamente,
scena madre di un finale tragico. Difficile mantenere lucidità e misura. Me ne
accorgo, con sconsolata lucidità, quando ci vedo discutere, tutti, in questo
modo vagamente panico, come di gente che si agita per non affogare. Cerchiamo
punti saldi e non li troviamo. Alziamo la voce, allora, o ci induriamo, o
scappiamo. Non c’è nulla che si possa fare a riguardo. Mi viene in mente, solo,
il bellissimo esergo che Benjamin Labatut ha scelto per il suo ultimo libretto.
Sono delle parole di Gramsci che io non ricordavo. Dicono così: “La crisi
consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in
questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Siamo
noi, ho pensato. I fenomeni morbosi, siamo noi. Che passi presto, questa terra
di nessuno, ho pensato.
https://www.ilpost.it/2021/09/17/vaccini-green-pass-baricco/Alla fine, bisogna annotare, questa storia del Vaccino e del Green pass è diventata una faccenda affascinante. Di per sé sarebbe solo una questione tecnica, una certa soluzione a un certo problema. Ma la verità è che in breve tempo ha finito per diventare una sorta di cerchio magico dove molti sono andati a celebrare i propri riti, chiamare a raccolta il proprio pubblico, risvegliare le proprie parole d’ordine, o anche solo ritrovare se stessi. Da ogni parte ci affrettiamo verso quel luogo del vivere portando la nostra dotazione di pensiero e istinto: lì ci risulta più semplice che altrove riconoscere e pronunciare il nostro modo di stare al mondo. Il risultato è che un problema in fondo squisitamente pratico, oggi ce lo ritroviamo come problema, di volta in volta, politico, economico, medico, filosofico, etico, giuridico. Vorrei essere chiaro: quando un problema lievita così al di là della sua lievitazione naturale non è più un problema che si possa risolvere. Lo si può giusto forzare a una soluzione, sacrificandone alcune parti e lasciandole vagare, irrisolte, per il firmamento del nostro vivere. È uno di quei casi in cui un eccesso di informazioni e di riflessioni dà alla domanda uno statuto per così dire quantistico: qualsiasi risposta è giusta e sbagliata allo stesso tempo. È ormai evidente: chiunque disponga oggi di un’opinione certa sul vaccino, si sta sbagliando.
Quindi bisognerebbe lasciar perdere e
tirare la moneta, vaccino sì, vaccino no? Be’, non esattamente. Vincerà una
narrazione piuttosto che un’altra, è inevitabile; sarà imprecisa, parziale e
vagamente semplicistica, è inevitabile; ma sarà comunque la narrazione che una
nostra inerzia collettiva avrà scelto tra le tante disponibili. Per questo,
prima che una chimica in fondo misteriosa decida definitivamente da che parte
inclineremo, mi permetto di annotare due correzioni, molto pragmatiche, che mi
sento di suggerire: possono essere utili a rendere più fluidi i processi che
porteranno una narrazione a diventare realtà, relegando tutte le altre a
leggende.
1. Vorrei mitemente consigliare di non
rendere obbligatorio il vaccino, di non farlo per nessuna ragione al mondo.
Ormai molti di noi sono passati a interpretare quel gesto non come un comportamento,
ma come lo spazio di una propria autodeterminazione. Quando arrivi a quel
punto, quel che stai maneggiando non è più la soluzione a un problema, ma la
postura mentale con cui degli umani della tua comunità vogliono stare al mondo.
Vuoi stabilirla tu per legge? Che arroganza. D’altronde, se un’élite politica e
scientifica non riesce a convincere la totalità dei cittadini sull’utilità di
un comportamento, con tutti gli strumenti che ha, di dominio e persuasione,
deve alle fine prendere atto che non ce l’ha fatta, chiedersi dove ha
sbagliato, e affrettarsi a fare l’unica cosa che deve fare: ricavare il meglio
dai risultati che ha ottenuto. Evidentemente la narrazione che aveva scelto era
sufficientemente solida da convincere la maggior parte della comunità, ma non
abbastanza da risultare accettabile agli altri. Bon, girare pagina e andare
avanti. Verosimilmente, accettare che una parte largamente minoritaria di
italiani non si vaccini significa oggi rinviare di mesi il ritorno a una vita
“normale”: significa meno lavoro, meno reddito, meno vita fuori casa, più
contagiati, probabilmente più morti. Ma è uno scenario che un’élite deve essere
abbastanza forte da accettare quando non è riuscita a guidare tutta la propria
comunità ai comportamenti che riteneva appropriati. Pensare che la colpa sia
dei cittadini che non capiscono è follia. Ci saranno frange che proprio non
ragionano, e va be’, ci sono sempre. Ma gli altri, tutti deficienti? Oh, no,
hanno le loro ragioni, il loro sapere, il loro istinto. Probabilmente vedono
cose che non esistono, ma anche vedono cose che agli altri risultano quanto
meno sfocate. Nella pancia delle resistenze al vaccino, una comunità come la
nostra conserva la propria capacità genetica di produrre eresie e di pensare
diversamente da se stessa: sono anticorpi assai più importanti di quelli che ci
servono contro il virus. Sopprimerli per legge sarebbe folle.
E non è nemmeno tanto dignitoso, se mi
posso permettere, scegliere la strada dell’obbligo indiretto: che poi
vuol dire rendere la vita talmente complicata ai non vaccinati da indurli a
cedere, prima o poi. Che tristezza. Petit, dicono i francesi – il
più sanguinoso degli insulti. Strumento di questa infantile strategia è,
ovviamente, il Green pass. Che, per essere pratici, è uno strumento
non indispensabile, ma sicuramente molto utile e efficace per riportarci a
vivere situazioni che altrimenti sarebbero più pericolose, dai teatri ai posti
di lavoro. Ma usarlo come manganello per i non vaccinati è ovviamente un
eccesso di zelo. Non c’è bisogno di scomodare nessuna riflessione filosofica o
vigilanza costituzionale: se usiamo il Green pass come
regolatore della vita comune ne dobbiamo facilitare il possesso a tutti,
compresi quelli che rifiutano il vaccino. Ci vorrebbe un altro generale
Figliuolo a cui affidare la missione di rendere più semplice possibile la vita
a coloro che non vogliono vaccinarsi. Sono sicuro che qualcuno si chiederà
perché dovremmo fare una cosa del genere, o, ad esempio, pagare i test a
persone che, con le loro convinzioni, mettono a repentaglio la salute dei più.
Conosco la risposta. Perché siamo civili. Perché siamo una comunità e non una
partita di guardie e ladri. Perché siamo un Paese, non un reparto ospedaliero.
Perché potrebbero avere ragione loro, e per certi versi sicuramente ce l’hanno.
Perché lo stesso fa, la comunità, quando nel gruppo dei dissidenti ci siamo
noi. Perché più prezioso del vivere, c’è il vivere da uomini giusti – che
delitto dimenticarlo.
2. La seconda correzione che vorrei
suggerire riguarda quelli che declinano l’invito a vaccinarsi: è molto
importante che la smettano di pensare di essere gli unici a saperla lunga, gli
unici ad essere sfuggiti a un rimbambimento generale; è molto importante che
non si sentano degli eroi perseguitati che combattono il sistema. Per favore, è
un equivoco, non serve a niente, complica le cose, stiamo passando un brutto
momento, abbiamo tutti bisogno di semplicità, di idee chiare e distinte. Non
vaccinarsi è un gesto legittimo, ma prima che diventi un po’ troppo facilmente
un gesto rivoluzionario, è utile ricollocarlo nella sua cornice. Cerco di
spiegare, non sarò lungo, bastano tre, quattro di minuti di attenzione.
Viviamo in comunità, e facciamo bene
perché come individui, anarchici e individualisti, saremmo già spacciati da
tempo. Ogni comunità ha una sorta di chiglia sommersa, una spina dorsale, una
nervatura resistente che la tiene insieme e le dà la possibilità di seguire una
rotta. Grazie ad essa navighiamo a dispetto delle correnti e nonostante le
onde. Possiamo cambiare il timoniere, e quindi la rotta, e lo facciamo
abbastanza spesso, ma sempre contiamo su quella chiglia, senza la quale
qualsiasi timone sarebbe pressoché inutile. Ora, quando si parla di
comunità-nazione la chiglia è rappresentata da una sorta di intelligenza
collettiva e impersonale che prevale su quelle individuali e in certo modo le
supera e le aggrega. Dovete immaginarla come la vertiginosa fusione di principi
morali, saperi, mitologie, scaramanzie, mode, memorie di battaglie, visioni
geniali, strafalcioni. Quasi sempre reca l’orma visibile del potere, come la
tazza reca quella della mano del vasaio: ma sarebbe stupido non capire che a
generare quella chiglia sono anche il sentire collettivo, gli antidoti prodotti
da ogni forma di dissidenza, certe spinte irrazionali che vengono dal ventre
della comunità, e l’ubiqua influenza dell’errore casuale e dell’imperfezione
umana. La chiglia di una comunità è la sintesi abbastanza precisa della sua
intelligenza, tradotta in forza; è il meglio della sua immaginazione, tradotto
in gesti. Non è una emanazione del potere pura e semplice, è un prodotto a cui
mettono mano tutti. Il timone, sì, è in mano al potere, ma la chiglia è
qualcosa di più complesso, non a caso fila invisibile sotto la superficie
dell’acqua. Una delle nervature di quel legno siete voi, ciascuno di noi, io,
tu. Ora, credetemi: la cultura del vaccino è inscritta in quella chiglia. Non
è il parere di un timoniere, vi prego di capire, ma deriva direttamente da
quell’intelligenza collettiva che tiene insieme la nostra comunità e di cui
fate parte. Tutta la filiera di saperi e riflessioni che ha da prima immaginato
i vaccini, poi li ha realizzati e poi li ha usati, proviene in maniera molto
riconoscibile dalla chiglia della nostra comunità, dalla sua nervatura forte. I
principi, i valori e le logiche che l’hanno determinata rispecchiano
un’intelligenza a cui potete far risalire quasi tutti gli scenari dove
sicuramente, ogni giorno, fate funzionare la vostra vita. Se domani andate
contro un muro (dio non voglia) il sistema di intervento che vi terrà in vita
non è quello che voi preferite, ma quello messo a punto nel tempo da
quell’intelligenza, la stessa che sta chiedendovi di vaccinarvi. Se fate un
bambino, quell’intelligenza dispone di un suo modo per ridurre i rischi che
muoia, e quando il bambino sarà grande quell’intelligenza ha immaginato per lui
un habitat dove essere educato: ci crede talmente da renderlo obbligatorio per
anni e anni. Se leggete libri, sappiate che l’élite che li produce è
compatibile con quella intelligenza, se vi piace andare nei musei sappiate che
quell’idea di memoria e di conservazione proviene dritta dritta da un’ossessione
di quella intelligenza e dal denaro che essa, spesso in modi atroci, ha
accumulato nel tempo: è la stessa intelligenza che, quando non vi insegue per
farvi fare i tamponi, decide quando l’aria della vostra città è irrespirabile o
quanti grassi può contenere al massimo la vostra merendina. Attraverso quella
intelligenza abbiamo scelto un sistema per stoccarci da morti, finanziamo le
nostre università, ci spingiamo a decidere quando una droga inizia a farci
veramente del male, e abbiamo una nostra idea di cosa sia la libertà sessuale.
Non la smettiamo un attimo di lavorare, con quell’intelligenza. È una chiglia,
fende il mare.
Così, per gran parte dei membri della
comunità, l’esperienza quotidiana, ordinaria, abituale, è questa: abitare al
90% il mondo così come l’intelligenza collettiva l’ha organizzato, e poi patire
e incazzarsi per un dieci per cento che proprio non digerisce. Arriva sempre
quel frammento della realtà in cui il delta tra la tua sensibilità personale e
le regole individuate dall’intelligenza collettiva diventa una voragine che ti
fa davvero troppo male. In questo momento il vaccino è, per molti, quel
frammento. Ma credetemi, ognuno ha il suo. Io per esempio ce l’ho con la
scuola. Mi sembra che i guasti che facciamo lì siano più gravi di quelli che
rischiamo di fare con un vaccino: posso sbagliarmi, ma era per spiegarvi che
poi ognuno si impunta su un frammento della vita reale, intanto che accetta
tutti gli altri, e questo è la normalità. Questa è l’esperienza di tutti, e
tutti, prima o poi, finiamo dalla parte di quelli che non ci stanno, e patiamo
l’ondata di disapprovazione, l’isolamento più o meno esplicito, il destino
dubbio degli esuli, la tentazione di isolarsi in una propria tribù in guerra
col mondo. Non per questo siamo degli eroi. Non lo credo proprio. Non per
questo la sappiamo più lunga degli altri, non lo credo proprio. Viviamo, lo
facciamo da svegli, ogni tanto ci troviamo sulla sponda dei ribelli. Tutto lì.
Oggi, devo aggiungere, e poi chiudo, tutto
ciò accade nel paesaggio di un grandioso cambio di civiltà, e questo confonde
molto le menti e i cuori. Come mi accade di scrivere spesso, quel che sta
succedendo è che la chiglia si è scoperta vecchia, marcia, stanca, esausta per
i lunghi viaggi spesso fallimentari. Stiamo in bilico tra una intelligenza
scaduta e un’altra ancora non adulta, che tarda ad arrivare. Anche per questo,
oggi, la scelta sul vaccino sta assumendo questi toni drammatici: casca in
pieno nel bel mezzo di un solenne crepuscolo degli dei, e diventa così, immediatamente,
scena madre di un finale tragico. Difficile mantenere lucidità e misura. Me ne
accorgo, con sconsolata lucidità, quando ci vedo discutere, tutti, in questo
modo vagamente panico, come di gente che si agita per non affogare. Cerchiamo
punti saldi e non li troviamo. Alziamo la voce, allora, o ci induriamo, o
scappiamo. Non c’è nulla che si possa fare a riguardo. Mi viene in mente, solo,
il bellissimo esergo che Benjamin Labatut ha scelto per il suo ultimo libretto.
Sono delle parole di Gramsci che io non ricordavo. Dicono così: “La crisi
consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in
questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Siamo
noi, ho pensato. I fenomeni morbosi, siamo noi. Che passi presto, questa terra
di nessuno, ho pensato.
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