venerdì 1 ottobre 2021

Scuola: pensieri un po’ spettinati*

 

Alcune premesse necessarie

Ciò che troverete sotto è una personale analisi della politica scolastica italiana, non esistono riferimenti particolari a scuole particolari, che spesso sono le prime vittime della politica, delle norme, delle direttive, delle circolari, delle conferenze di servizi per le scuole, che arrivano tutte dall’alto (da soggetti che si sono sempre guardati bene dall’entrare nell’arena di una classe)

Preciso che l’esperienza di chi scrive è limitata alle scuole secondarie superiori.

Delle studentesse e degli studenti si parla poco, non perché non siano importanti, sono il fine della scuola, e anche le prime vittime, semplicemente si analizza (solo) tutto quello che gli si riversa addosso.

 

Introduzione

C’è una domanda che soffia nel vento:

come e perché la scuola è diventata quello che è adesso?

Il Come è il lavoro sporco del Perché, in tutti i processi decisionali il Perché è sintetico (a volte criptico), il Come è arzigogolato, farraginoso, lungo, rumoroso, frammentato.

Per usare un linguaggio immediatamente comprensibile e concetti sintetici, il Perché viene deciso dai mandanti, il Come viene eseguito dai sicari.

 

Negli ultimi 20 anni la scuola si è trasformata, si è geneticamente modificata.

Prima, diciamo fino al termine del secolo scorso, la scuola era nella sostanza immutata, la scuola era fatta per gli studenti, per dare agli studenti delle conoscenze che sarebbero servite nella vita, e i docenti erano come degli artigiani che trasmettevano il sapere, in un contesto che era (ed è, finché dura) la classe, costituita principalmente da rapporti umani, si producevano cittadini.

Alla fine del secolo scorso hanno deciso che era necessario trasformare quegli artigiani, i docenti, che avevano il totale controllo del processo produttivo in operai della catena di montaggio (della scuola), trasformarli in lavoratori che non avessero più il pieno controllo della produzione, ma solo parziale. E anche era necessario trasformare la scuola da soggetto avulso dalle logiche economiche a oggetto in balia degli appetiti economici estranei al processo culturale (per come era stato inteso da sempre).

Per fare questa rivoluzione epocale è stato necessario apportate qualche modifica, diciamo tecnica, per raggiungere gli obiettivi che qualcuno si era prefisso.

Questo si è ottenuto in modo ideologico (e poi dicono che non esistono più le ideologie), trasformando i lavoratori (e i loro sindacati, spesso di regime), la percezione dei lavoratori di sé e le famiglie degli studenti (e in fondo anche gli studenti, l’ultima ruota del carro di questa trasformazione epocale).

 

Non che prima andasse tutto bene

Intendiamoci, nella scuola degli anni ottanta e novanta c’erano un po’ di cose che andavano male, molto male, e che non sono state toccare dalla rivoluzione in corso negli ultimi 25 anni (a dimostrazione di che tipo di rivoluzione si è trattato e si tratta) (1)

 

Arriva il cambiamento

Primo tassello della rivoluzione è stata l’istituzione dell’autonomia scolastica (art.21 della legge 59/1997), in quei tempi di riscritture della Costituzione, sotto la spinta del leghismo e delle autonomie locali.

Ogni singola scuola poteva fare quello che voleva, avrebbe fatto il Piano dell’Offerta Formativa (POF), e, cosa di non poco conto, ogni scuola avrebbe avuto la sua contrattazione d’istituto (sulla spinta dei sindacati di regime, scusate, dei sindacati firmatati dei CCNL della scuola).

Come nella rivoluzione industriale occorreva produrre di più, studenti massa, numeri per raggiungere obiettivi decisi a livello comunitario (e quindi statale), per esempio la crescita del numero di diplomati, e laureati (vedi la Strategia di Lisbona 2000/2010).

Molto importanti, nel cambiamento della scuola italiana (evoluzione o involuzione, chissà), certificato e determinato della legge 107/15, sono state le “Raccomandazioni del parlamento europeo e del consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente

1) comunicazione in madrelingua;

2) comunicazione in lingue straniere;

3) competenza matematica e competenze di base in scienze e tecnologia;

4) competenza digitale;

5) imparare ad imparare;

6) competenze sociali e civiche;

7) spirito di iniziativa e imprenditorialità;

8) consapevolezza ed espressione culturale.”

 

Sia la Strategia di Lisbona 2000/2010 che le Raccomandazioni del parlamento europeo e del consiglio del 18 dicembre 2006 indicavano obiettivi condivisibili, come non essere d’accordo?

Il problema è stato come le leggi italiane e il Ministero della scuola (ente dal nome mutevole, ma sempre uguale nella sostanza) le hanno recepite e tradotte in atti normativi e regolamentari.

“Ce lo impone l’Europa”, mai sentita questa frase-mantra, per giustificare qualsiasi cosa?

 

Provo a spiegare come i punti 6 e 7 sono stati tradotti in Italia.

Il punto “7: spirito di iniziativa e imprenditorialità” è diventato, l’alternanza scuola-lavoro, che per la vergogna di non essere, nella maggior parte dei casi, né scuola né lavoro, è stata rinominata PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento).

Anche prima del Covid-19 si trattava, nella maggior parte dei casi, di riempire crocette di programmi proposti da società il cui unico merito o fortuna era di essere autorizzati dal Miur a rilasciare certificati di partecipazione al rito delle crocette, per un numero di ore predefinito, superiore al numero di ore effettive necessario per raggiungere il traguardo. Gli studenti non hanno, nella maggior parte dei casi rapporti con esseri umani, solo con un programma di computer, sai che passo avanti. È possibile copiare? Ciascuno risponda da sé. L’occasione fa spesso lo studente copiatore. Anche qui c’è uno dei tanti casi di moneta cattiva scaccia moneta buona, nella scuola. Se in quelle ore i risultati sono superiori a quelli delle ore curriculari (e lo sono davvero, avete indovinato) è chiaro che la novità va diffusa, come un virus (senza vaccino, però).

 

A volte capita(va) di fare delle ore in aziende vere, naturalmente, poche ore, in realtà; quando non esisteva l’alternanza scuola-lavoro si facevano, almeno negli istituti tecnici e professionali, gli stages che potevano durare anche un mese.

 

La domanda, la maggior parte delle volte, che oggi tutti si fanno, ragazzi, scuole (dirigenti scolastici e insegnanti), Miur, non sono “quanto ho imparato?”, “cosa mi resterà?”, la domanda è: “quante ore mancano ancora?”, la stessa domanda del ragionier Fantozzi mentre timbra(va) il cartellino.

 

 

Il punto “6: competenze sociali e civiche” si è materializzato dall’anno scolastico 2020-2021, prendendo la forma di una nuova materia, l’educazione civica.

Apparentemente sembra un’ora in più alla settimana, in realtà (che cosa creativa) le ore di lezione settimanali non cambiano, infatti l’educazione civica vive “succhiando” ore alle altre materie, è una materia-vampira. Non ha un docente nominato, ma alcuni docenti di un dato consiglio di classe “donano” ore della propria disciplina all’educazione civica, ciascuno in 3-4 ore svolge un argomento che viene ipotizzato essere attinente all’educazione civica, ogni consiglio di classe di ciascuna scuola d’Italia fa come vuole, altro che autonomia, ognuno fa il cavolo che vuole, senza controllo, perché questa è la ratio del gioco a somma zero.

 

Un obiettivo importante degli ultimi venti anni è sempre stato quello di far crescere il numero dei diplomati (e dei laureati). La frammentazione del curricolo delle superiori in un numero sempre maggiore di discipline, ultima arrivata l’educazione civica, senza dimenticare il voto di comportamento, che, entrando nel calcolo della media, fanno diventare tutti più bravi.

 

Imparare ad imparare

Il punto più importante delle competenze chiave (Raccomandazioni del parlamento europeo e del consiglio del 18 dicembre 2006) è il numero 5, imparare ad imparare. Non si è fatto assolutamente niente. Molti poveri studenti e studentesse imparano a ripetere qualcosa che dura poche ore, in memoria, poi scade, va nel cestino, oppure imparano a copiare, e male, imparare ad imparare è merce rara.

Ma nel sesto e settimo punto siamo stati davvero bravissimi (si fa per dire).

Se nelle otto competenze ci fosse un ordine d’importanza imparare ad imparare sarebbe il primo punto, quello che, insieme al punto 8, dà un senso e una sostanza a tutti gli altri, renderebbe gli studenti autonomi, indipendenti.

Ma è faticoso, per tutti.

La cosa decisiva è che gli studenti non sono più studenti, sono utenti, clienti, e come si fa a scontentare un cliente?

 

 

(Dis)orientamento

 

Il covid19 ha fatto anche cose buone, come per esempio non ha permesso quelle “fiere” dell’orientamento per le ragazze e i ragazzi che dalla terza media passano alle scuole superiori.

Per esperienza ricordo che alcune scuole regalavano portacellulari, penne col logo della scuola, niente di male, si dirà, ma dava l’idea della campagna acquisti, di un mercato, più che un orientamento alla scelta dell’istituto superiore. Speriamo siano cancellate per sempre.

 

 

Moneta cattiva scaccia moneta buona

 

È arrivato il momento di affrontare un problema o un’opportunità, dipende dagli occhiali che si usano.

Fino alla fine del secolo scorso gli indirizzi delle scuole erano chiari, ben definiti, difficile il fraintendimento. Da quando gli studenti e le loro famiglie sono diventati clienti le scuole, il marketing insegna, hanno creato nuovi prodotti/servizi per strappare i potenziali clienti alle scuole concorrenti, Sono nati nuovi indirizzi, opzioni, curvature, ogni scuola ha cominciato a diversificare, con tre, quattro, cinque, sei indirizzi, opzioni, curvature.

Questo ha provocato (almeno) due effetti: come insegna l’economia, moneta cattiva scaccia moneta buona, i “clienti-utenti” si sono indirizzati, in ciascuna scuola, all’interno della stessa scuola, verso i corsi ritenuti più facili, con più appeal, o meno faticosi, secondo la vulgata studentesca. Faccio qualche esempio, sono comparsi i corsi di liceo scientifico sportivo (non è uno scherzo), che hanno avuto molto successo, chi è il cliente indifferente alla parola sportivo? (vorrà dire che studiano la fisica di corsa?, o che la matematica serve a segnare i punteggi delle partite, altro che teoremi di Euclide e Pitagora?)

E che dire dei corsi, in tanti tipi di scuola, a cui viene aggiunta la parola turismo, o turistico? Anche questi hanno avuto un boom, il turismo tira sempre, solo che l’idea di uno che sta in ufficio per far viaggiare chi paga non è stata ben compresa, per i ragazzi un corso turismo è per chi ama fare il turista, che fraintendimento.

E sarebbe interessante sapere quanti studenti che si diplomano in corsi col turismo incorporato nel titolo di studio fanno poi un lavoro che ha qualche legame con il turismo.

 

Il corto circuito è che è passati da una scuola che dava una solida preparazione di base a una scuola che già a 14-15 anni fa scegliere una specializzazione, aggiungendo un aggettivo al nome, proprio in tempi liquidi, in cui tutto cambia velocemente, in tutti i settori. Chi spiega agli studenti e alle loro famiglie che la specializzazione precoce crea problemi, per quegli studenti “troppo” specializzati, in settori economici a volte sul viale del tramonto?

 

 

L’invasione degli psicologi (et similia)

 

Tutte le scuole, o quasi, prevedono interventi, corsi, seminari con psicologhe e psicologi, portatori della Psicologia nelle zucche degli insegnanti. Sono argomenti interessanti, ma i problemi sono, nella maggior parte dei casi, di due ordini, ci si rivolge ai docenti come se fossero giovanotti/e alle prime armi, come se non avessero esperienza, e con modalità e con esempi e contenuti francamente imbarazzanti, per tutti.

Spesso gli psicologi (ma anche altre figure, come educatori, insegnanti di sostegno, ecc.) trattano casi singoli, quando si mettono a fare discorsi generali è come se insegnassero a guidare nel parcheggio di uno stadio, in un giorno nel quale non c’è partita, e poi dal lunedì via nel traffico, si salvi chi può. Gli insegnanti ricevono lezioni di insegnamento su come guidare nei parcheggi vuoti, ma nel traffico si arrangino.

Un punto importante è che chi tiene corsi di questo tipo, sempre o quasi, è gente che non ha mai insegnato, un po’ come i preti che insegnano alle donne come si fa la vita coniugale, come si allevano i bambini.

 

Dice Stanislaw J. Lec “Ci saranno sempre degli esquimesi pronti a dettare le norme su come devono comportarsi gli abitanti del Congo durante la calura”.

Certamente non sarà solo a causa dell’invasione di cui si discorre, ma per alcuni è sospetto che proprio negli anni dell’invasione le ideologie del poverinismo, del giustificazionismo e del meschinello si siano diffuse a macchia d’olio. (2)

 

 

I ministri della Confindustria (e poi di cosa?)

 

Fra il 1995 e il 1996, per un anno e mezzo il ministro della scuola è stato Giancarlo Lombardi, proveniente direttamente dalla Confindustria. Come dire che si è delegata la gestione della scuola (pubblica) a un ente privato. Da allora il palazzaccio di viale Trastevere si è decisamente aperto al territorio, dicono che ci sia una stanza di Confindustria, una di Microsoft, e così via.

 

 

Le parole d’ordine

 

La trasformazione della scuola non avrebbe potuto avvenire senza concetti, parole d’ordine, parole (le parole sono importanti diceva Nanni Moretti) da rovesciare addosso agli attori, facendo loro credere di essere autori e protagonisti insostituibili, mentre erano solo comparse senza potere contrattuale, sostituibili come è sempre successo o anche lasciando loro la libertà di parola e di opinione, purché parole e opinioni non fossero sbagliate.

 

 

Le parole sono importanti

 

Ecco qualche parola feticcio, tutte parole innocenti (più o meno), fino a che non vanno a scuola:

 

Progetto – Tutto quello che accade a scuola deve essere inserito in un progetto, deve essere un progetto, gli insegnanti migliori non sono più quelli che passano il tempo in classe a insegnare, agli e insieme con gli studenti, ma quelli che fanno progetti (non importa su cosa).

 

Meritocrazia – Qualcuno giudica il merito dei docenti (e quindi anche i, pochi o molti, soldi corrispondenti) sulla base di tabelle che premiano mille attività che riguardano tutto, meno che il lavoro in classe. Come se un pilota d’aereo venisse giudicato non su quanto riguarda il pilotaggio, ma su attività altre, per esempio se sa salutare con buon accento i passeggeri.

 

Competenze – È la parola più usata nella scuola di oggi, se dici che un studente conosce e sa utilizzare le quattro operazioni sbagli, se dici che uno studente ha buone competenze nelle quattro operazioni sei un docente moderno; il Dio Competenza miete vittime presso i seguaci delle Dee, in declino, Chiarezza e Logica.

 

Monitoraggio – Tutto si misura, continuamente, senza sosta, ciecamente, si monitora sempre di più su contenuti (scusate la parolaccia) quantitativamente e qualitativamente sempre inferiori.

 

Privacy – E’ ormai da un po’di anni che in nome della privacy molte cose diventano segrete; e ripensi alla parola pubblica (anche nel senso di pubblicabile) che accompagnava l’istruzione. La scuola è diventata un servizio privato, nessuno può sapere più i voti che avranno in pagella i compagni, ben prima del registro elettronico, nessuno può conoscere i nomi degli studenti che riescono ad accedere in un corso a numero chiuso. Privacy e trasparenza sono diventate due grandezze inversamente proporzionali.

 

Successo formativo – Mito della scuola moderna, ormai la stella polare della scuola. Più sono i promossi maggiore è il successo formativo. Anche con l’acqua si fa così, se i valori di allarme per i veleni presenti nell’acqua vengono elevati, l’acqua diventa bevibile. A scuola, non sempre e non dappertutto, se l’asticella viene abbassata più atleti possono superarla, e, tautalogicamente, sono tutti più bravi.

 

Registro elettronico – Strumento diabolico perché i dirigenti controllino i docenti, i genitori controllino i docenti e i figli: pare che sia una delle cause della mancanza di dialogo fra genitori e figli, perché parlare, se tutto è già scritto?

 

Esame di stato – il ministro (ahinoi!) lo chiama esame di maturità, la sua esistenza è uno dei misteri indecifrabili della scuola italiana, gli esaminatori sono tutti docenti della classe, il successo (formativo) sfiora il 100%; anche negli ufo che si interessano al nostro pianeta, popolati da esseri superiori, non capiscono il mistero della sopravvivenza del rito, la probabilità del successo (formativo) all’esame di stato ha è la stessa che il ghiaccio, riscaldato, si trasformi in acqua. Quegli esseri superiori non riescono a capire come è possibile che l’esame si fondi su un oggetto misterioso chiamato elaborato (che fantasia nella scelta del nome!), che viene elaborato prima dell’esame, permettendo che l’elaborato, a volte capita, venga elaborato da un soggetto che non è il candidato.

Il candidato poi se lo studia a memoria, ma poi c’è sempre la via di fuga chiamata (temporanea e benedetta) amnesia e il ghiaccio si scioglie in acqua.

 

Digitale – sono già nate le classi digitali, classi che hanno come caratteristica identitaria il rifiuto del libro cartaceo, secoli di civiltà gettati nel cesso, nessuno dovrà essere influenzato da quei pericolosi libri cartacei, la modernità di GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) o FAANG (Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google) nutrirà le menti.

Poi scopri che c’è una selezione per entrare nelle classi digitali, andranno i bravi, gli scarsi, o gli smanettoni?

 

Smartphone – Perché non dotare tutte le scuole di armadietti personali dove lasciare, studenti, docenti e non docenti, le armi (di distrazione di massa: telefonini e qualsiasi altro apparecchio elettronico) all’ingresso e ritirarle all’uscita?

All’inizio sembrerà strano, visto che privarsi, anche solo per poche ore, del telefonino (ormai computer a tutti gli effetti) sembra più doloroso dell’estrazione di un dente senza anestesia. (leggi qui e qui)

 

Test Invalsi (e tutti) – ormai dappertutto si valuta con le crocette, spero che i numerosi sostenitori delle crocette, una volta sotto le mani di un chirurgo, capiscano che non è sufficiente barrare una crocetta, ma sarà troppo tardi, per tutti. Secoli di argomentazioni, di dubbi, di pensieri alternativi buttati nel cesso. L’albero della conoscenza viene reso sterile dalle crocette.

 

Apertura al territorio – Vorrà dire che le scuole, e gli studenti, si riverseranno nel territorio, o il territorio invaderà le scuole?

 

Insegnanti di sostegno – Qualcuno può avvisare quegli insegnanti di sostegno (pochi, si spera) che fanno i compiti agli studenti che “sostegno” è diverso da “al posto di”?

 

 

Conclusioni

 

Probabilmente tutte le riforme della scuola degli ultimi 20-25 anni trovano la motivazione in una frase di Karl Marx, che fa sempre paura.

“I filosofi hanno finora soltanto interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di trasformarlo”.

E i potenti, o chi per loro, che leggono ancora, conoscono la verità detta da Tancredi “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.”

Per trasformare il mondo bisogna prima interpretarlo, pensano i potenti. (3)

Applicare il sistema delle crocette sempre e dappertutto toglie agli studenti lo sforzo di interpretare il mondo, e mai si potrà trasformare, senza capire come, pensano i potenti.

Forse qui sta la verità di quello che succede, nella scuola. Le tante riforme hanno un obiettivo, trasformate gli studenti che possono interpretare il mondo in clienti e potenziale manodopera che applichi le istruzioni che vengono e verranno impartite, senza domande inutili.

Questo mondo non può e non deve essere trasformato.

 

 

(1)

Dico tre cose che stonavano (magari non erano neanche le peggiori, ognuno ha le sue priorità) fino agli anni duemila:

a – l’esistenza di molte scuole private (i famosi diplomifici) che vendevano anni di scuola e diplomi in cambio di soldi, senza che (nella maggior parte dei casi) a quelle promozioni, due anni in uno, tre anni in uno, cinque anni in uno, dipendeva dal prezzo, e a quei diplomi, corrispondesse una qualche sostanza. (en passant ricordiamo che spesso quelle scuole erano, e sono, intitolate ai più grandi intellettuali della cultura italiana, che, essendo morti, al massimo si possono rivoltare nella tomba, inutilmente).

b – il doppio lavoro, cioè un po’ d’insegnanti svolgevano, e svolgono, una professione liberale, non (solo) per tenersi “allenati” con la disciplina d’insegnamento, ma proprio come primo lavoro, con studi professionali completi di dipendenti.

c – il fatto che tutte le materie erano (e sono) uguali era (ed è) un vulnus nella preparazione degli studenti, la media del 6 può derivare da un 4 in una materia da otto ore settimanali e da un 8 in una materia da due ore settimanali, ma è vero anche il contrario, senza dare un peso alle materie, tutto è uguale. (leggi qui)

Dopo tutti i cambiamenti nella scuola nell’ultimo ventennio per queste tre cosette tutto è come prima.

 

(2) (https://comune-info.net/maternalismo-educativo/)

 

(3) già nel 1937 ne parlava Witold Gombrowicz (polacco), in Ferdydurke  (http://www.labottegadelbarbieri.org/ferdydurke-witold-gombrowicz/)

 

(*) i pensieri spettinati sono dedicati a Stanisław Jerzy Lec (polacco)

https://it.wikipedia.org/wiki/Stanis%C5%82aw_Jerzy_Lec 

 

 

da qui

Nessun commento:

Posta un commento