Alcune premesse necessarie
Ciò che troverete sotto è una
personale analisi della politica scolastica italiana, non esistono riferimenti
particolari a scuole particolari, che spesso sono le prime vittime della
politica, delle norme, delle direttive, delle circolari, delle conferenze di
servizi per le scuole, che arrivano tutte dall’alto (da soggetti che si sono
sempre guardati bene dall’entrare nell’arena di una classe)
Preciso che l’esperienza di chi
scrive è limitata alle scuole secondarie superiori.
Delle studentesse e degli studenti
si parla poco, non perché non siano importanti, sono il fine della scuola, e
anche le prime vittime, semplicemente si analizza (solo) tutto quello che gli
si riversa addosso.
Introduzione
C’è una domanda che soffia nel
vento:
come e perché la scuola è
diventata quello che è adesso?
Il Come è il lavoro sporco del
Perché, in tutti i processi decisionali il Perché è sintetico (a volte
criptico), il Come è arzigogolato, farraginoso, lungo, rumoroso, frammentato.
Per usare un linguaggio
immediatamente comprensibile e concetti sintetici, il Perché viene deciso dai
mandanti, il Come viene eseguito dai sicari.
Negli ultimi 20 anni la scuola si è trasformata, si è
geneticamente modificata.
Prima, diciamo fino al termine
del secolo scorso, la scuola era nella sostanza immutata, la scuola era fatta
per gli studenti, per dare agli studenti delle conoscenze che sarebbero servite
nella vita, e i docenti erano come degli artigiani che trasmettevano il sapere,
in un contesto che era (ed è, finché dura) la classe, costituita principalmente
da rapporti umani, si producevano cittadini.
Alla fine del secolo scorso hanno
deciso che era necessario trasformare quegli artigiani, i docenti, che avevano
il totale controllo del processo produttivo in operai della catena di montaggio
(della scuola), trasformarli in lavoratori che non avessero più il pieno
controllo della produzione, ma solo parziale. E anche era necessario
trasformare la scuola da soggetto avulso dalle logiche economiche a oggetto in
balia degli appetiti economici estranei al processo culturale (per come era
stato inteso da sempre).
Per fare questa rivoluzione
epocale è stato necessario apportate qualche modifica, diciamo tecnica, per
raggiungere gli obiettivi che qualcuno si era prefisso.
Questo si è ottenuto in modo
ideologico (e poi dicono che non esistono più le ideologie), trasformando i
lavoratori (e i loro sindacati, spesso di regime), la percezione dei lavoratori
di sé e le famiglie degli studenti (e in fondo anche gli studenti, l’ultima
ruota del carro di questa trasformazione epocale).
Non che prima andasse tutto bene
Intendiamoci, nella scuola degli
anni ottanta e novanta c’erano un po’ di cose che andavano male, molto male, e
che non sono state toccare dalla rivoluzione in corso negli ultimi 25 anni (a dimostrazione
di che tipo di rivoluzione si è trattato e si tratta) (1)
Arriva il cambiamento
Primo tassello della rivoluzione
è stata l’istituzione dell’autonomia scolastica (art.21 della legge 59/1997),
in quei tempi di riscritture della Costituzione, sotto la spinta del leghismo e
delle autonomie locali.
Ogni singola scuola poteva fare
quello che voleva, avrebbe fatto il Piano dell’Offerta Formativa (POF), e, cosa
di non poco conto, ogni scuola avrebbe avuto la sua contrattazione d’istituto
(sulla spinta dei sindacati di regime, scusate, dei sindacati firmatati dei
CCNL della scuola).
Come nella rivoluzione
industriale occorreva produrre di più, studenti massa, numeri per raggiungere
obiettivi decisi a livello comunitario (e quindi statale), per esempio la
crescita del numero di diplomati, e laureati (vedi la Strategia di Lisbona 2000/2010).
Molto importanti, nel cambiamento
della scuola italiana (evoluzione o involuzione, chissà), certificato e
determinato della legge 107/15, sono state le “Raccomandazioni del parlamento
europeo e del consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per
l’apprendimento permanente
1) comunicazione in madrelingua;
2) comunicazione in lingue
straniere;
3) competenza matematica e
competenze di base in scienze e tecnologia;
4) competenza digitale;
5) imparare ad imparare;
6) competenze sociali e civiche;
7) spirito di iniziativa e
imprenditorialità;
8) consapevolezza ed espressione
culturale.”
Sia la Strategia di Lisbona
2000/2010 che le Raccomandazioni del parlamento europeo e del consiglio del 18
dicembre 2006 indicavano obiettivi condivisibili, come non essere d’accordo?
Il problema è stato come le leggi
italiane e il Ministero della scuola (ente dal nome mutevole, ma sempre uguale
nella sostanza) le hanno recepite e tradotte in atti normativi e regolamentari.
“Ce lo impone l’Europa”, mai
sentita questa frase-mantra, per giustificare qualsiasi cosa?
Provo a spiegare come i punti 6 e
7 sono stati tradotti in Italia.
Il punto “7: spirito di iniziativa e imprenditorialità” è diventato, l’alternanza scuola-lavoro, che per la
vergogna di non essere, nella maggior parte dei casi, né scuola né lavoro, è
stata rinominata PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e per
l’Orientamento).
Anche prima del Covid-19 si
trattava, nella maggior parte dei casi, di riempire crocette di programmi
proposti da società il cui unico merito o fortuna era di essere autorizzati dal
Miur a rilasciare certificati di partecipazione al rito delle crocette, per un
numero di ore predefinito, superiore al numero di ore effettive necessario per
raggiungere il traguardo. Gli studenti non hanno, nella maggior parte dei casi
rapporti con esseri umani, solo con un programma di computer, sai che passo
avanti. È possibile copiare? Ciascuno risponda da sé. L’occasione fa spesso lo
studente copiatore. Anche qui c’è uno dei tanti casi di moneta cattiva scaccia moneta
buona, nella scuola. Se in quelle ore i risultati sono superiori a
quelli delle ore curriculari (e lo sono davvero, avete indovinato) è chiaro che
la novità va diffusa, come un virus (senza vaccino, però).
A volte capita(va) di fare delle
ore in aziende vere, naturalmente, poche ore, in realtà; quando non esisteva
l’alternanza scuola-lavoro si facevano, almeno negli istituti tecnici e
professionali, gli stages che potevano durare anche un mese.
La domanda, la maggior parte
delle volte, che oggi tutti si fanno, ragazzi, scuole (dirigenti scolastici e
insegnanti), Miur, non sono “quanto ho imparato?”, “cosa mi resterà?”, la
domanda è: “quante ore mancano ancora?”, la stessa domanda del ragionier
Fantozzi mentre timbra(va) il cartellino.
Il punto “6: competenze sociali e civiche” si è materializzato dall’anno scolastico 2020-2021,
prendendo la forma di una nuova materia, l’educazione civica.
Apparentemente sembra un’ora in
più alla settimana, in realtà (che cosa creativa) le ore di lezione settimanali
non cambiano, infatti l’educazione civica vive “succhiando” ore alle altre
materie, è una materia-vampira. Non ha un docente nominato, ma alcuni docenti
di un dato consiglio di classe “donano” ore della propria disciplina
all’educazione civica, ciascuno in 3-4 ore svolge un argomento che viene
ipotizzato essere attinente all’educazione civica, ogni consiglio di classe di
ciascuna scuola d’Italia fa come vuole, altro che autonomia, ognuno fa il
cavolo che vuole, senza controllo, perché questa è la ratio del gioco a somma
zero.
Un obiettivo importante degli
ultimi venti anni è sempre stato quello di far crescere il numero dei diplomati
(e dei laureati). La frammentazione del curricolo delle superiori in un numero
sempre maggiore di discipline, ultima arrivata l’educazione civica, senza
dimenticare il voto di comportamento, che, entrando nel calcolo della media,
fanno diventare tutti più bravi.
Imparare ad imparare
Il punto più importante delle
competenze chiave (Raccomandazioni del parlamento europeo e del consiglio del
18 dicembre 2006) è il numero 5, imparare ad imparare. Non si è fatto
assolutamente niente. Molti poveri studenti e studentesse imparano a ripetere
qualcosa che dura poche ore, in memoria, poi scade, va nel cestino, oppure
imparano a copiare, e male, imparare ad imparare è merce rara.
Ma nel sesto e settimo punto
siamo stati davvero bravissimi (si fa per dire).
Se nelle otto competenze ci fosse
un ordine d’importanza imparare ad imparare sarebbe il primo punto, quello che,
insieme al punto 8, dà un senso e una sostanza a tutti gli altri, renderebbe
gli studenti autonomi, indipendenti.
Ma è faticoso, per tutti.
La cosa decisiva è che gli
studenti non sono più studenti, sono utenti, clienti, e come si fa a
scontentare un cliente?
(Dis)orientamento
Il covid19 ha fatto anche cose
buone, come per esempio non ha permesso quelle “fiere” dell’orientamento per le
ragazze e i ragazzi che dalla terza media passano alle scuole superiori.
Per esperienza ricordo che alcune
scuole regalavano portacellulari, penne col logo della scuola, niente di male,
si dirà, ma dava l’idea della campagna acquisti, di un mercato, più che un
orientamento alla scelta dell’istituto superiore. Speriamo siano cancellate per
sempre.
Moneta cattiva scaccia moneta buona
È arrivato il momento di
affrontare un problema o un’opportunità, dipende dagli occhiali che si usano.
Fino alla fine del secolo scorso
gli indirizzi delle scuole erano chiari, ben definiti, difficile il
fraintendimento. Da quando gli studenti e le loro famiglie sono diventati clienti
le scuole, il marketing insegna, hanno creato nuovi prodotti/servizi per
strappare i potenziali clienti alle scuole concorrenti, Sono nati nuovi
indirizzi, opzioni, curvature, ogni scuola ha cominciato a diversificare, con
tre, quattro, cinque, sei indirizzi, opzioni, curvature.
Questo ha provocato (almeno) due
effetti: come insegna l’economia, moneta cattiva scaccia moneta buona, i
“clienti-utenti” si sono indirizzati, in ciascuna scuola, all’interno della
stessa scuola, verso i corsi ritenuti più facili, con più appeal, o meno
faticosi, secondo la vulgata studentesca. Faccio qualche esempio, sono comparsi
i corsi di liceo scientifico sportivo (non è uno scherzo), che hanno avuto
molto successo, chi è il cliente indifferente alla parola sportivo? (vorrà dire
che studiano la fisica di corsa?, o che la matematica serve a segnare i
punteggi delle partite, altro che teoremi di Euclide e Pitagora?)
E che dire dei corsi, in tanti
tipi di scuola, a cui viene aggiunta la parola turismo, o turistico? Anche questi
hanno avuto un boom, il turismo tira sempre, solo che l’idea di uno che sta in
ufficio per far viaggiare chi paga non è stata ben compresa, per i ragazzi un
corso turismo è per chi ama fare il turista, che fraintendimento.
E sarebbe interessante sapere quanti
studenti che si diplomano in corsi col turismo incorporato nel titolo di studio
fanno poi un lavoro che ha qualche legame con il turismo.
Il corto circuito è che è passati
da una scuola che dava una solida preparazione di base a una scuola che già a
14-15 anni fa scegliere una specializzazione, aggiungendo un aggettivo al nome,
proprio in tempi liquidi, in cui tutto cambia velocemente, in tutti i settori.
Chi spiega agli studenti e alle loro famiglie che la specializzazione precoce
crea problemi, per quegli studenti “troppo” specializzati, in settori economici
a volte sul viale del tramonto?
L’invasione degli psicologi (et similia)
Tutte le scuole, o quasi,
prevedono interventi, corsi, seminari con psicologhe e psicologi, portatori
della Psicologia nelle zucche degli insegnanti. Sono argomenti interessanti, ma
i problemi sono, nella maggior parte dei casi, di due ordini, ci si rivolge ai
docenti come se fossero giovanotti/e alle prime armi, come se non avessero
esperienza, e con modalità e con esempi e contenuti francamente imbarazzanti,
per tutti.
Spesso gli psicologi (ma anche
altre figure, come educatori, insegnanti di sostegno, ecc.) trattano casi
singoli, quando si mettono a fare discorsi generali è come se insegnassero a
guidare nel parcheggio di uno stadio, in un giorno nel quale non c’è partita, e
poi dal lunedì via nel traffico, si salvi chi può. Gli insegnanti ricevono lezioni
di insegnamento su come guidare nei parcheggi vuoti, ma nel traffico si
arrangino.
Un punto importante è che chi
tiene corsi di questo tipo, sempre o quasi, è gente che non ha mai insegnato,
un po’ come i preti che insegnano alle donne come si fa la vita coniugale, come
si allevano i bambini.
Dice Stanislaw J. Lec “Ci saranno
sempre degli esquimesi pronti a dettare le norme su come devono comportarsi gli
abitanti del Congo durante la calura”.
Certamente non sarà solo a causa
dell’invasione di cui si discorre, ma per alcuni è sospetto che proprio negli
anni dell’invasione le ideologie del poverinismo, del giustificazionismo e del
meschinello si siano diffuse a macchia d’olio. (2)
I ministri della Confindustria (e poi di cosa?)
Fra il 1995 e il 1996, per un
anno e mezzo il ministro della scuola è stato Giancarlo Lombardi, proveniente
direttamente dalla Confindustria. Come dire che si è delegata la gestione della
scuola (pubblica) a un ente privato. Da allora il palazzaccio di viale
Trastevere si è decisamente aperto al territorio, dicono che ci sia una stanza
di Confindustria, una di Microsoft, e così via.
Le parole d’ordine
La trasformazione della scuola
non avrebbe potuto avvenire senza concetti, parole d’ordine, parole (le parole
sono importanti diceva Nanni Moretti) da rovesciare addosso agli attori,
facendo loro credere di essere autori e protagonisti insostituibili, mentre
erano solo comparse senza potere contrattuale, sostituibili come è sempre
successo o anche lasciando loro la libertà di parola e di opinione, purché
parole e opinioni non fossero sbagliate.
Le parole sono importanti
Ecco qualche parola feticcio,
tutte parole innocenti (più o meno), fino a che non vanno a scuola:
Progetto – Tutto
quello che accade a scuola deve essere inserito in un progetto, deve essere un
progetto, gli insegnanti migliori non sono più quelli che passano il tempo in
classe a insegnare, agli e insieme con gli studenti, ma quelli che fanno
progetti (non importa su cosa).
Meritocrazia –
Qualcuno giudica il merito dei docenti (e quindi anche i, pochi o molti, soldi
corrispondenti) sulla base di tabelle che premiano mille attività che
riguardano tutto, meno che il lavoro in classe. Come se un pilota d’aereo venisse
giudicato non su quanto riguarda il pilotaggio, ma su attività altre, per
esempio se sa salutare con buon accento i passeggeri.
Competenze – È la
parola più usata nella scuola di oggi, se dici che un studente conosce e sa
utilizzare le quattro operazioni sbagli, se dici che uno studente ha buone
competenze nelle quattro operazioni sei un docente moderno; il Dio Competenza
miete vittime presso i seguaci delle Dee, in declino, Chiarezza e Logica.
Monitoraggio –
Tutto si misura, continuamente, senza sosta, ciecamente, si monitora sempre di
più su contenuti (scusate la parolaccia) quantitativamente e qualitativamente
sempre inferiori.
Privacy – E’
ormai da un po’di anni che in nome della privacy molte cose diventano segrete;
e ripensi alla parola pubblica (anche nel senso di pubblicabile) che
accompagnava l’istruzione. La scuola è diventata un servizio privato, nessuno
può sapere più i voti che avranno in pagella i compagni, ben prima del registro
elettronico, nessuno può conoscere i nomi degli studenti che riescono ad
accedere in un corso a numero chiuso. Privacy e trasparenza sono diventate due
grandezze inversamente proporzionali.
Successo formativo –
Mito della scuola moderna, ormai la stella polare della scuola. Più sono i
promossi maggiore è il successo formativo. Anche con l’acqua si fa così, se i
valori di allarme per i veleni presenti nell’acqua vengono elevati, l’acqua
diventa bevibile. A scuola, non sempre e non dappertutto, se l’asticella viene
abbassata più atleti possono superarla, e, tautalogicamente, sono tutti più
bravi.
Registro elettronico –
Strumento diabolico perché i dirigenti controllino i docenti, i genitori
controllino i docenti e i figli: pare che sia una delle cause della mancanza di
dialogo fra genitori e figli, perché parlare, se tutto è già scritto?
Esame di stato –
il ministro (ahinoi!) lo chiama esame di maturità, la sua esistenza è uno dei
misteri indecifrabili della scuola italiana, gli esaminatori sono tutti docenti
della classe, il successo (formativo) sfiora il 100%; anche negli ufo che si
interessano al nostro pianeta, popolati da esseri superiori, non capiscono il
mistero della sopravvivenza del rito, la probabilità del successo (formativo)
all’esame di stato ha è la stessa che il ghiaccio, riscaldato, si trasformi in
acqua. Quegli esseri superiori non riescono a capire come è possibile che
l’esame si fondi su un oggetto misterioso chiamato elaborato (che fantasia
nella scelta del nome!), che viene elaborato prima dell’esame, permettendo che
l’elaborato, a volte capita, venga elaborato da un soggetto che non è il
candidato.
Il candidato poi se lo studia a
memoria, ma poi c’è sempre la via di fuga chiamata (temporanea e benedetta)
amnesia e il ghiaccio si scioglie in acqua.
Digitale – sono
già nate le classi digitali, classi che hanno come caratteristica identitaria
il rifiuto del libro cartaceo, secoli di civiltà gettati nel cesso, nessuno
dovrà essere influenzato da quei pericolosi libri cartacei, la modernità di
GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) o FAANG (Facebook, Amazon, Apple,
Netflix, Google) nutrirà le menti.
Poi scopri che c’è una selezione
per entrare nelle classi digitali, andranno i bravi, gli scarsi, o gli
smanettoni?
Smartphone –
Perché non dotare tutte le scuole di armadietti personali dove lasciare,
studenti, docenti e non docenti, le armi (di distrazione di massa: telefonini e
qualsiasi altro apparecchio elettronico) all’ingresso e ritirarle all’uscita?
All’inizio sembrerà strano, visto
che privarsi, anche solo per poche ore, del telefonino (ormai computer a tutti
gli effetti) sembra più doloroso dell’estrazione di un dente senza anestesia.
(leggi qui e qui)
Test Invalsi (e tutti) –
ormai dappertutto si valuta con le crocette, spero che i numerosi sostenitori
delle crocette, una volta sotto le mani di un chirurgo, capiscano che non è
sufficiente barrare una crocetta, ma sarà troppo tardi, per tutti. Secoli di
argomentazioni, di dubbi, di pensieri alternativi buttati nel cesso. L’albero
della conoscenza viene reso sterile dalle crocette.
Apertura al territorio – Vorrà
dire che le scuole, e gli studenti, si riverseranno nel territorio, o il
territorio invaderà le scuole?
Insegnanti di sostegno –
Qualcuno può avvisare quegli insegnanti di sostegno (pochi, si spera) che fanno
i compiti agli studenti che “sostegno” è diverso da “al posto di”?
Conclusioni
Probabilmente tutte le riforme
della scuola degli ultimi 20-25 anni trovano la motivazione in una frase di
Karl Marx, che fa sempre paura.
“I filosofi hanno finora soltanto
interpretato il mondo in diversi modi; ora si tratta di trasformarlo”.
E i potenti, o chi per loro, che
leggono ancora, conoscono la verità detta da Tancredi “Se vogliamo che tutto
rimanga come è, bisogna che tutto cambi.”
Per trasformare il mondo bisogna
prima interpretarlo, pensano i potenti. (3)
Applicare il sistema delle
crocette sempre e dappertutto toglie agli studenti lo sforzo di interpretare il
mondo, e mai si potrà trasformare, senza capire come, pensano i potenti.
Forse qui sta la verità di quello
che succede, nella scuola. Le tante riforme hanno un obiettivo, trasformate gli
studenti che possono interpretare il mondo in clienti e potenziale manodopera
che applichi le istruzioni che vengono e verranno impartite, senza domande
inutili.
Questo mondo non può e non deve
essere trasformato.
(1)
Dico tre cose che stonavano
(magari non erano neanche le peggiori, ognuno ha le sue priorità) fino agli
anni duemila:
a – l’esistenza di molte scuole
private (i famosi diplomifici) che vendevano anni di scuola e diplomi in cambio
di soldi, senza che (nella maggior parte dei casi) a quelle promozioni, due
anni in uno, tre anni in uno, cinque anni in uno, dipendeva dal prezzo, e a
quei diplomi, corrispondesse una qualche sostanza. (en passant ricordiamo che
spesso quelle scuole erano, e sono, intitolate ai più grandi intellettuali
della cultura italiana, che, essendo morti, al massimo si possono rivoltare
nella tomba, inutilmente).
b – il doppio lavoro, cioè un po’
d’insegnanti svolgevano, e svolgono, una professione liberale, non (solo) per
tenersi “allenati” con la disciplina d’insegnamento, ma proprio come primo
lavoro, con studi professionali completi di dipendenti.
c – il fatto che tutte le materie
erano (e sono) uguali era (ed è) un vulnus nella preparazione degli studenti,
la media del 6 può derivare da un 4 in una materia da otto ore settimanali e da
un 8 in una materia da due ore settimanali, ma è vero anche il contrario, senza
dare un peso alle materie, tutto è uguale. (leggi qui)
Dopo tutti i cambiamenti nella
scuola nell’ultimo ventennio per queste tre cosette tutto è come prima.
(2) (https://comune-info.net/maternalismo-educativo/)
(3) già nel 1937 ne parlava
Witold Gombrowicz (polacco), in Ferdydurke (http://www.labottegadelbarbieri.org/ferdydurke-witold-gombrowicz/)
(*) i pensieri spettinati sono
dedicati a Stanisław Jerzy Lec (polacco)
https://it.wikipedia.org/wiki/Stanis%C5%82aw_Jerzy_Lec
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