E allora le foibe? E allora i no Tav? - Ezio Bertok
Da quando
Umberto Bossi nel lontano 1993 aveva parlato di pallottole ai giudici è stato
un percorso tutto in discesa per le parole velenose in libertà. Bossi poi aveva
sostenuto che la frase «La vita di un giudice che volesse indagare sulla Lega
vale il costo di una pallottola: 300 lire» era solo una battuta. Umorismo
macabro.
L’Umberto
esuberante si era replicato altre volte, ad esempio nel 2008 quando,
conversando con i giornalisti alla Camera aveva minacciato «o si fanno le
riforme o scoppia casino» e aggiungendo: «Abbiamo 300 mila uomini, 300 mila
martiri, pronti a battersi». Non risulta che il senatur padano sia stato
sottoposto a procedimenti penali per le sue pesanti esternazioni: già allora i
politici di governo e dintorni sapevano di poter contare su un’impunità che
andava ben oltre quella garantita dallo status di eletto in
Parlamento. In quegli anni i salotti televisivi si contavano sulla punta delle
dita di una mano, giornalisti e opinion-maker erano molto più
prudenti e badavano a non abusare di parole in libertà consapevoli di non poter
contare sulla stessa benevolenza.
Quando la
politica ha deciso di trasferirsi dal Parlamento ai salotti televisivi è stata
una rincorsa senza fine: i vari talk show cresciuti come
funghi cercano oggi di rubare spazio a Facebook e Twitter e le occasioni
offerte ai politici per rubare la scena si sono moltiplicate a dismisura per la
gioia di Salvini e di segretari e portaborse di partiti assortiti quasi sempre
bocciati al corso elementare di tecniche della comunicazione. Giornalisti di
rango o presunti tali devono essersi detti che anche per loro poteva forse
valere la stessa immunità dei parlamentari. Riportare dati senza alcun
riscontro con la realtà è diventato uno sport diffuso, dichiarare il falso in
tv soltanto un modo per provocare l’interlocutore di turno seduto nella
poltrona a fianco o in collegamento video. Lo spettacolo altrimenti rischia di
annoiare, l’audience cala e finisce che restano solo le serie televisive a
consolare i tanti che oggi sono più soli di ieri avendo preso alla lettera
l’invito/obbligo di distanziamento sociale subdolamente suggerito in
sostituzione di quello fisico per difenderci da virus.
Non deve
essersi posto molte domande l’ineffabile Maurizio Molinari, direttore di Repubblica,
intervenendo alla trasmissione “Mezz’ora in più” del 10 ottobre scorso. Con
l’aria imbambolata di uno appena sveglio e ancora in dubbio se farsi la doccia
o un caffè, se pure già lucido e sicuro di sé per abitudine più che per ragioni
oggettive, Molinari l’ha sparata proprio grossa. Cogliendo serenamente l’assist
che gli porgeva l’intellettuale in studio Antonio Tajani ha detto
candidamente e senza esitazioni: «I no Tav sono un’organizzazione violenta,
quanto resta del terrorismo italiano degli anni Settanta» (la
trasmissione è disponibile su Raiplay, la parte citata intorno al minuto
31’ 38”).
Ora, dal
direttore di una prestigiosa testata giornalistica ci si aspetterebbe che
almeno qualche volta legga i giornali, o se proprio gli riesce ostico, guardi
almeno i telegiornali. Saprebbe che i no Tav sono stati accusati di tutto e di
più ma quando la Procura di Torino, nota per la sua strabica solerzia, aveva
mosso l’accusa di terrorismo a quattro attivisti questi erano poi stati assolti
ed era intervenuta la Cassazione rigettando qualsiasi ipotesi di terrorismo.
Questi i fatti, il resto è fantasia.
Questo il
direttore di Repubblica certamente lo sa, qualcuno di sicuro
lo avrà informato. E allora? È molto semplice: Maurizio Molinari ha dichiarato
il falso e ha diffamato sapendo di diffamare. La bocca ancora impastata prima
del solito caffè mattutino non può essere un’attenuante. Perché una cosa è dire
in TV che tra i no Tav la violenza è di casa, a prescindere che ciò sia vero o
meno (non ha perso l’occasione di farlo la conduttrice in studio Lucia
Annunziata, replicando al direttore): è un’affermazione che punta a screditare
un intero movimento ma, insomma, ognuno fa il suo mestiere e se questo è ben
pagato si può comprendere. Ma dichiarare in TV che il movimento no Tav è quanto
resta del terrorismo degli anni Settanta anche un direttore di Repubblica non
può permetterselo. Eppure lo ha fatto.
E i presenti
in studio? Neppure il fantasma di Landini, lui sì, ben sveglio, ha trovato
nulla da obiettare. Passi per il vicepresidente di Forza Italia, che deve
attenersi a quanto suggerisce la Lega, che a sua volta deve attenersi a quanto
suggerisce Fratelli d’Italia: vale la regola della locomotiva che traina i
vagoni. Ma il segretario della CGIL avrebbe potuto mettere in guardia il suo
sosia e suggerirgli di mettere un limite alle falsità.
È da notare
che il tema della trasmissione era l’aggressione squadrista alla sede della
CGIL, ma le vie della provvidenza per criminalizzare i no Tav sono
evidentemente infinite. L’elemento centrale rimane il fatto che la destra
neofascista, messa sotto accusa per l’infame strumentalizzazione di un tema
divisivo quale quello del green pass e per lo scellerato attacco squadrista
alla sede della CGIL, che richiama devastazioni antiche di squadristi che anche
allora non venivano presi troppo sul serio, si difende riesumando una strategia
mai sepolta: “e allora le foibe?”. Oggi, per circoscrivere e minimizzare
l’azione di bande di squadristi decisi a riprendersi Roma (per il momento), il
pretesto a portata di mano non sono i partigiani jugoslavi: bastano i no Tav.
Questa operazione è possibile anche grazie al lavoro certosino che Molinari, e
con lui tanti altri, hanno fatto per anni offrendo ossessivamente in pasto
all’opinione pubblica l’immagine di un movimento violento e negando la
dimensione popolare della protesta.
Tre anni fa
lo stesso Molinari, tesseva le lodi delle Madamine torinesi e di Mino Giachino
che, secondo lui erano quanto di meglio i torinesi potessero aspettarsi per
difendere il progresso contro «gli estremisti della decrescita che non vogliono
l’Alta velocità, tagliano i fondi alla cultura, vogliono chiudere i negozi la
domenica, non proteggono le famiglie da insicurezza, diseguaglianze e degrado».
Molinari, allora direttore de La Stampa, condiva i suoi editoriali
con immagini scattate con il grandangolo per far apparire piena di sì Tav una
grande piazza torinese: poco importa poi che nella “loro” Torino la stessa
madamina-leader abbia raccolto la scorsa settimana 157 misere preferenze, e 277
il pasdaran sì Tav Giachino. Eppure il direttore Molinari, dopo aver definito
terroristi i no Tav non si è accontentato e, incalzato da Lucia Annunziata, ha
sentenziato: «Per un torinese “no Tav” significa sicuramente terrorista
metropolitano; chiunque vive a Torino ha questa accezione». Sorvoliamo sulla
padronanza della lingua italiana. A parte i 434 torinesi di cui sopra delusi
dall’esito delle urne che sentendo Molinari avranno provato lo stesso brivido
che precede l’orgasmo, come avranno reagito i tanti torinesi che non leggono
soltanto Stampa e Repubblica? A proposito di
torinesi, nei primi mesi del 2019 il Controsservatorio Valsusa aveva
organizzato a Torino un convegno sul ruolo dei grandi media in relazione alla
vicenda Tav in Val di Susa dal titolo “La fabbrica del consenso”: chi fosse interessato può vedere
grafici e tabelle, dati e statistiche, interventi e relazioni tra cui quelle di
Wu Ming1 e Tomaso Montanari.
Arrivati a
questo punto mi chiedo: di fronte al falso dichiarato candidamente in TV dal
direttore di un grande quotidiano che non gode dell’immunità parlamentare è
davvero sufficiente l’indignazione di un nostalgico dei tempi in cui democrazia
e diritti erano considerati un valore da difendere? Ma davvero parole così
pesanti possono muoversi in libertà come se niente fosse? Diffamare è reato,
non cogliere la gravità di dichiarazioni così irresponsabili è anch’essa una
colpa. È davvero sufficiente che altri nostalgici che negli anni Novanta erano
inorriditi nel sentire un senatore della Repubblica promettere pallottole a
magistrati, inorridiscano oggi di fronte alla disinvoltura di un direttore di
giornale consapevolmente bugiardo?
Mi dico che
non è sufficiente, chiedo di più. Occorre almeno che si alzi la voce di tante
persone che ancora sperano che si possa fermare la degenerazione della
politica; servono voci autorevoli che denuncino con forza gli organi di
informazione che non fanno informazione e fanno da cassa di risonanza di
partiti sulla cresta dell’onda e di banchieri nominati a guidare un povero
Paese che rischia di perdere ogni giorno la speranza di tornare a essere almeno
un po’ civile e democratico. Chiedo troppo? È troppo chiedere che le parole
tornino ad avere un senso e non possano essere impunemente usate per
falsificare fatti, denigrare avversari e criminalizzare movimenti che chiedono
ascolto e sono esempio di partecipazione popolare vera? Poi, magari, può venire
anche l’azione legale nei confronti di chi commette il reato di diffamazione.
Ma questa è un’altra storia e si vedrà. In ogni caso non può essere l’unica
risposta.
Il Movimento No Tav gli
ha replicato come segue. “Forse vale la pena ricordare a Molinari che
sabotaggi, manifestazioni, picchetti e Disobbedienza Civile sono pratiche di
resistenza portate avanti dai Movimenti ambientalisti in tutto il globo, tra
l’altro regolarmente celebrate proprio sulle pagine del suo giornale purché si
verifichino a quella distanza di sicurezza che non infastidisce i finanziatori
del suo gruppo editoriale. Forse vale la pena ricordare a Molinari che la sua
percezione del Movimento No Tav non è quella di ‘chiunque vive a Torino’ ma
quella di un ristrettissimo circolino formato da qualche esaltato che si è
entusiasmato per le madamine del rotary club il tempo di un happening in Piazza
Castello. Forse vale la pena ricordare a Molinari che nel movimento No Tav si
riconoscono, da decenni, centinaia di migliaia di cittadini tra Torino e la Val
Susa, la totalità delle Associazioni ecologiste italiane e dei partiti verdi
che siedono al Parlamento Europeo senza contare sindaci, consiglieri regionali,
unione montana e decine di enti in tutta la regione Piemonte. Forse vale la
pena ricordare a Molinari che “i no tav” non sono un’organizzazione, violenta o
non-violenta che sia, ma un Movimento che fa paura per una sua peculiarità
davvero unica in Italia: fa quello che dice e dice quello che fa. Forse vale la
pena ricordare a Molinari che ‘il terrore’ in Val di Susa lo elargisce uno Stato
che manganella una popolazione con ha la sola colpa di aver tenuto la schiena
dritta per troppo tempo, che minaccia di togliere i figli ai genitori coi quali
manifestano, che entra all’alba nella case per portarsi via parrucchieri, pescivendoli,
studenti, commesse e pensionati per rinchiuderli tra quattro mura. Forse vale
la pena ricordare a Molinari che lui fa il direttore del principale quotidiano
sedicente “di sinistra” e che sta parlando del più longevo e radicato Movimento
Ambientalista italiano”.
Ma forse non vale la pena di
ricordare queste cose a Molinari, le conosce benissimo ma è pagato altrimenti.
L’equiparazione comunisti/fascisti,
destra/sinistra, opposti estremismi, torna ad essere il sistema e la narrazione
decisiva del vero controllo sociale e autoritario del paese, altro che green
pass. I fascisti sono serviti a questo, come sempre, come da sempre in questo
paese che con i fascisti e il fascismo i conti non li ha mai voluti fare.
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