Storia della (per lo più pacifica) invasione della “gated community” argentina da parte dei capibara: un evento curioso che ha rilanciato la lotta per la Ley de Humedales e ha risvegliato rabbia e dissenso nei confronti delle politiche ambientali e della segregazione di classe
Alle ultime elezioni legislative argentine, svoltesi a metà settembre, un
uomo si è presentato al seggio elettorale della comunità privata di Nordelta,
nella provincia della capitale Buenos Aires, travestito da capibara, il più
grande roditore vivente. Potrebbe sembrare una provocazione fine a se stessa,
ma è stato, invece, solo l’ultimo capitolo di una vicenda che ha tenuto banco
sui giornali e sui social media argentini per oltre un mese, scomodando il
parere di intellettuali, architetti e attivisti e dando nuova forza ad almeno
una campagna per l’approvazione di una legge ferma da anni al Congresso
Nazionale.
Più di tutto, i mammiferi anfibi, abitanti di paludi e delta dei fiumi,
hanno ridestato, camminandoci sopra con il loro caratteristico e simpatico
indugiare, la “faglia” di classe che in Argentina e in tutto il Sudamerica più
che altrove informa e determina con la sua forza tellurica orientamenti delle
politiche e del dibattito della società civile. La per lo più pacifica
invasione di Nordelta a opera dei capibara, o carpinchos, come sono
chiamati in Argentina, è infatti tornata a sollevare questioni decisive come
quelle del privilegio e della distruzione degli habitat naturali, diventando un
episodio emblematico del rapporto tra l’uomo, la natura e le disuguaglianza
sociali ai tempi di pandemia e cambiamenti climatici e finendo per trasformare
un gruppo di roditori quasi privo di nemici naturali in un improbabile, o forse
estremamente verosimile, esercito di liberazione.
Nordelta è una ciudad pueblo, o gated community,
nella più nota e utilizzata versione inglese, che si trova nel partido di
Tigre dell’area metropolitana della capitale, a circa 40 chilometri a nord dal
centro di Buenos Aires lungo la costa del delta del fiume Paranà.
È stata fondata da un imprenditore edile nato in Italia, Julián Astolfoni,
che lo ha concepito all’inizio degli anni ’70 sull’idea dei Villes
Neuves francese. La prima famiglia vi si è stabilita nel 1999. Nel
Paese sudamericano le zone come Nordelta possono essere anche definite barrios
privados o Argentina country. Tutte queste diciture
intendono definire di base delle comunità residenziali auto-segregative
delimitate in genere da confini visibili e sorvegliate da personale ad hoc,
sorte nei Paesi dell’America Latina a partire dagli anni ’60 per ospitare
nuclei familiari ad alto reddito spesso insoddisfatti dalla gestione
ordinaria del welfare e soprattutto della sicurezza.
Nordelta è ritenuta una delle declinazioni più “riuscite” in assoluto di
questo modo di concepire le città e l’abitare, da anni oggetto di lodi ma
soprattutto di critiche e controversie per il suo carattere esclusivo ed
escludente: per fare un esempio, a dicembre del 2018, si è verificata una protesta delle
lavoratrici domestiche di questa ricca enclave, che denunciavano sia le
condizioni di sfruttamento con cui venivano impiegate sia il “disprezzo” nei
loro confronti da parte dei residenti.
Episodi che non trovano posto nel modo in cui Nordelta viene generalmente presentata all’esterno: estesa per circa 1.700 ettari, divisa in 20 diversi quartieri e casa per oltre 35mila persone la gated community è fornita, si apprende dal sito della stessa comunità, di «uno dei poli educativi più grandi del Paese dalla proposta migliore e più completa» , frequentato da 4500 studenti, da il campo di golf considerato il più prestigioso del Paese, da 37 tra ristoranti e bar e da un hotel a cinque stelle da 140 stanze. A gestire l’amministrazione del barrio privado, nell’ottica di fare di Nordelta «un modello di sicurezza, ordine e sostenibilità», è l’Asociacion Vecinal Nordelta (Avn), costituita da persone residenti nella comunità.
A garantire la sicurezza degli abitanti, con oltre 1000 telecamere piazzate
agli ingressi della cittadina e e negli spazi comuni e con più di 300
vigilantes, è la compagnia Securitas Argentina, una della principali aziende
del comparto nel Paese sudamericano.
Le garanzie relativa alla tutela di incolumità e privacy hanno attratto
negli anni anche personaggi a dir poco controversi come il narcotrafficante
colombiano Henry de Jesús López Londoño, noto come Mi Sangre, arrestato nel
2012 proprio in Argentina e condannato a 31 anni di carcere. Sollecitato dai
cronisti dopo l’arresto sul perché avesse scelto un luogo ameno come Nordelta
per vivere insieme alla moglie e ai due figli, il noto criminale rispose anni
fa che «la sicurezza» della gated community aveva «funzionato
alla perfezione» impedendo alla polizia della natia Colombia «infiltrata in
Argentina di ucciderlo» grazie a una barriera di protezione che semplicemente
«non li aveva fatti passare».
A eludere i confini della località invece, sia simbolici che è fisici, è
stata la popolazione di capibara che vive nel delta del fiume Paranà da ben
prima del 1979 e che l’agosto scorso, dopo anni di convivenza non sempre
semplici ma tutto sommato gestibili, ha deciso di “occupare” in massa le strade
della ricca comunità adagiata sulle acque salmastre del delta del Paranà, il
secondo fiume più lungo del Sudamerica. A motivare questa improvviso
sconfinamento, stando a quanto riferito dai media locali dagli stessi residenti
di Nordelta, sarebbero stati dei lavori per la costruzione di una clinica,
finiti per irrompere nella parte più remota delle paludi e per costringere i
roditori a cercare suolo e cibo altrove. I media argentini non hanno perso
tempo. Da El Clarìn fino a Pagina/12, passando per la Nacion.
I principali quotidiani e portali di informazioni del Paese sudamericano hanno rilanciato a decine i video degli animali, una volta intenti a bloccare in nutriti gruppetti il traffico con la loro goffa camminata, un’altra a fare un bagno in una delle innumerevoli piscine dei residence di Nordelta o a spaventare, di tanto in tanto anche con qualche morso non letale, i cani padronali della cittadina.
Sono stati però i social media a elevare i capibara a veri protagonisti
dell’inverno argentino e a investirli di un mandato politico che è finito
immancabilmente per ridestare alcuni dei grandi temi della politica
sudamericana: lo scontro tra le classi, le disuguaglianze e l’esclusione
sociali. I carpinchos sono così diventati l’avanguardia di un
esproprio di terra e di risorse proletario e ambientalista. I grossi roditori
sono stati ritratti nelle vesti del rivoluzionario Che Guevara, assorti nella
lettura de Il capitale di Marx. Pugno e chiuso e cappello da barbudos cubano,
non sono mancati i riferimenti a eserciti di liberazione “carpinchos” e
rivolte organizzate.
Simpatici alla vista, arrivano fino a 130 centimetri di lunghezza e a 65 chili di peso. Noti per essere animali che vivono in gruppo e che tendono anche a includere nelle loro relazioni sociali esemplari di altre specie, i capibara sono però stati nominati i massimi interpreti della rivolta prima di tutto in qualità di abitanti originari di Nordelta e quindi anche di vittime più evidenti di un sopruso che, nell’ottica dei più critici, ha permesso alle classi agiate argentine di costruire ovunque in barba a qualsiasi vincolo di tutela del territorio e dell’ambiente.
A garantire proprio questa ultima serie di vincoli doveva essere in teoria
la Ley de Humedales, un progetto di provvedimento fermo da circa un decennio in
Congresso e ormai prossimo a perdere lo status parlamentario. Ne abbiamo
parlato con Enrique Viale, avvocato ambientalista e conduttore radiofonico per
l’emittente Futurock: «È dal 2013 che alcuni deputati argentini provano a
trasformare in legge questa misura», spiega l’attivista. «Nello stesso 2013 e
poi quattro anni più tardi, nel 2017, è riuscito a farsi approvare in Senato
fallendo però poi l’ok della Camera, e a fine anno potrebbe perdere il suo
status parlamentario: questo significherebbe riniziare l’iter tutto da capo».
Alcuni sostenitori della legge, lo scorso agosto, hanno addirittura
attraversato a bordo di kayak 350 chilometri del delta del Parana in sette
giorni per poi sbarcare, letteralmente, sotto la sede del potere legislativo
argentino e manifestare a favore del provvedimento.
Gli ostacoli che deve oltrepassare la legge, ha evidenziato però Viale, sono numerosi e complessi. «Questa misura va incontro a un’opposizione che ha pochi precedenti nella storia argentina, e deve far fronte alla sforzo congiunto di tre diverse, e potenti, lobby», ha denunciato l’avvocato. «La prima è quella del comparto immobiliare, come ci fa capire la storia di Nordelta. Ma ci sono anche i poteri dietro il settore dell’agrobusiness, a cui interessano le paludi ai fini dello sfruttamento del legname, e quelli che sostengono il comparto minerario. Il suolo degli humedales – ha spiegato infatti Viale – custodisce grandi quantità di litio, il minerale cardine della transizione energetica».
Il conduttore di Futurock ha sottolineato che Nordelta è un caso
emblematico ma non è certo l’unico. A delineare le coordinate del problema è
stato un rapporto pubblicato a settembre da Greenpeace Argentina, denominato in
modo piuttosto inequivocabile Rapporto carpincho, che in modo anche
provocatorio prova a rispondere alla domanda, altrettanto chiara, «Chi ha
invaso veramente chi?». Il documento della Ong ambientalista ha rilanciato i
dati della Fondacion humedales, che certificano la presenza di 543 gated
community lungo il territorio del delta del Paranà, con numeri
aggiornati al 2018. A oggi il 13 per cento dei circa 247mila ettari
dell’ecosistema sono edificati. Un dato questo, che secondo Greenpeace
determina un cambio degli humedales da luoghi anfibi a sempre
più terrestri.
La situazione è complessa, ma ora c’è una consapevolezza sul tema che prima
non c’era. Il merito, ne è convinto Viale, è anche di quella che lui definisce
senza indugi «la rivoluzione carpincha», che «è riuscita a portare alla ribalta
in pochissimo tempo temi dei quali noi ambientalisti parliamo da anni».
In molti osservatori concordano con l’avvocato. In un editoriale pubblicato
a inizio mese su un quotidiano argentino si è evidenziato come i capibara
abbiano «vinto la sfida dell’empatia», riuscendo a «riportare in agenda la Ley
de humedales». Nell’articolo si è sottolineato inoltre il paradosso delle
classi agiati argentine, che sceglierebbero la natura, preferendola al caos
cittadino, per poi accorgersi che la loro «felicità campestre e bucolica»
termina nel momento stesso in cui entrano in contatto con le caratteristiche
tipiche di un ambiente meno antropizzato.
La questione dei carpinchos, al netto delle caratteristiche
puramente argentine della questione, non è poi così dissimile da tante altre
che stanno facendo capolino sui media di tutto il mondo da diverso tempo, a
partire dalla massiccia presenza dei cinghiali in alcune zone del nord di Roma,
principale argomento degli ultimi giorni del dibattito elettorale per le
municipali capitoline previste per questo fine settimana. Ad aver sottilmente
contribuito ad aumentare l’interesse sul tema, questa almeno la tesi di chi
scrive, potrebbe essere stata anche la pandemia.
È proprio nello spazio di confine tra le specie che il virus responsabile
del Covid-19, come tanti altri prima di lui, è passato da un animale all’uomo.
I rischi connessi alla sottrazione di terra agli habitat naturali si sono fatti
d’un tratto più evidenti, quasi come se gli agenti patogeni fossero un traccia
della foresta che fu che continua ad aleggiare nell’atmosfera delle grandi
metropoli che crescono a discapito di selve, coste e deserti e dei loro
abitanti. Da qui anche si spiega, forse, il sostegno popolare alla
rivoluzione carpincha che ha assediato, e forse tornerà ad
assediare, la ricca Nordelta.
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