Quanti dipendenti di aziende alimentari, sapendo di
frodi commesse dalla loro azienda, rinunciano a denunciarle per paura di
rappresaglie? Idem per gli altri tipi di azienda. E noi ne paghiamo le
conseguenze! Oggi chi denuncia reati è insufficientemente tutelato. Ne sa
qualcosa Julian Assange.
Esiste
in inglese la parola “whistleblower” (spesso tradotta in italiano con
l’espressione “gola profonda”) che viene usata per designare chi osa denunciare
pubblicamente le frodi o gli altri reati di cui viene a conoscenza nell’ente o
nell’azienda dove lavora – dopo, naturalmente, aver cercato inutilmente di
porre rimedio dall’interno dell’organizzazione e dopo aver fatto un esposto
alla Procura rimasto inascoltato.
In
altre parole il whistleblower, avendo rilevato comportamenti aziendali dannosi
al pubblico e non disponendo di altri mezzi di ricorso, sceglie comunque di non
rimanere zitto, di non guardare dall’altra parte, di non lavarsene le mani come
Ponzio Pilato. Denuncia pubblicamente i fatti rilevati, costi quel che costi, e
chiede giustizia.
Rita Atria, la giovane siciliana di Partanna e
figlia di un capo mafioso, è stata una famosa whistleblower italiana. A soli 17
anni ha osato rivelare al magistrato Paolo Borsellino gli omicidi e i traffici
illeciti di cui erano colpevoli i malavitosi della sua città, in apparenza
imprenditori rispettabili. Sono finiti tutti quanti in galera.
Ma i
whistleblower esistono anche fuori dalla Sicilia. In tutta l’Italia si trovano
persone che osano mettere sotto accusa l’ente per il quale lavorano. Anzi,
il loro numero è in forte crescita, afferma l’Autorità Italiana
Anti-Corruzione (vedi qui e qui.).
E’ il
caso, ad esempio, di Andrea Franzoso, un giovane dipendente delle Ferrovie del
Nord Milano che nel 2015 ha osato denunciare gli atti di corruzione del
Presidente del suo ente, facendolo condannare per peculato e truffa.
La
triste realtà, tuttavia, è che la maggior parte dei dipendenti aziendali non è
diversa dalla maggior parte dei militari, dalla maggior parte degli
ecclesiastici e dalla maggior parte dei sportivi professionisti – per nominare
tre categorie scelte non a caso. Tutti quanti, venendo a conoscenza di reati
commessi al loro interno, preferiscono guardare dall’altra parte, per paura di
rappresaglie o comunque per quieto vivere. Certo, esiste una legge italiana del
2017 ed è stato emanato nel 2019 un Direttivo Europea, che offrono entrambi
delle protezioni ai whistleblower contro
le rappresaglie. Ma queste tutele non sono affatto sufficienti. I
whistleblower rimango comunque una minoranza nella società italiana.
E siamo
noi che ne paghiamo le conseguenze.
Infatti,
possiamo solo chiederci quanti additivi illeciti vengono utilizzati nei nostri
alimenti o quali coloranti cancerogeni vengono usati nei vestiti per i nostri
bambini o quanti acque industriali contaminate vengono riversate nei campi dove
passeggiamo, malgrado tutti i divieti e tutte le ispezioni del NAS. Rimaniamo sempre
nel dubbio perché chi è veramente a conoscenza di questi reati – cioè, i
dipendenti degli enti o delle aziende che li commettono – non è incentivato a
denunciarli e quindi, di regola, preferisce rimanere zitto per non avere
problemi.
E’ per
questo motivo che associazioni come The Good Lobby chiedono
al legislatore di migliorare i meccanismi che garantiscono incolumità ai
whistleblower; nel contempo, forniscono a chi pensa di fare il passo, utili
consigli per proteggersi.
Anche
noi, nel nostro piccolo, possiamo assecondare queste associazioni.
Come? Tenendoci sempre pronti a sostenere i nostri colleghi e i nostri
amici quando ci confidano di voler denunciare certi reati di cui sono venuti a
conoscenza.
Proprio
in questo mese, poi, è tornato alla ribalta un caso emblematico di
whistleblowing internazionale – quello del giornalista australiano, Julian
Assange, creatore del sito Wikileaks.
Interessarsi
alle sue vicende e sostenerlo, nei limiti dei nostri mezzi, è senz’altro un
atto concreto che possiamo fare per stare dalla parte di chi osa rompere il
muro di omertà.
Assange,
infatti, ha permesso ai whistleblower in tutto il mondo di caricare sul suo
sito documenti attestanti misfatti – dalla frode alimentare alla frode in atto
pubblico, dai crimini contro il patrimonio naturale ai crimini di guerra – e di
farlo anonimamente, senza la minima possibilità di essere rintracciati. Assange
e la sua squadra vagliano poi accuratamente ogni documento ricevuto e ne
accertano l’autenticità e la fondatezza delle accuse. Poi pubblicano il
documento in modo che sia visibile a tutti. Così la verità viene a galla.
Un
esempio: nel 2010, nel bel mezzo della guerra USA/NATO in Iraq,
iniziata con la bugia di inesistenti armi irachene di distruzione di massa, un
giovane soldato americano, Private Manning, ha inviato a Assange il video di un
massacro di civili iracheni da parte di un elicottero statunitense. In pratica,
Manning ha fornito la prova di un crimine di guerra commessa dalle forze di
occupazione USA/NATO. Una prova indiscutibilmente autentica, perché il video è
stato filmato dall’elicottero stesso. Manning doveva poi solo archiviarlo e
dimenticarlo. Invece l’ha inviato a Wikileaks.
Per la
prima volta, dunque, il pubblico statunitense e mondiale ha visto con i propri
occhi l’orrore di quella guerra bugiarda “per portare la democrazia agli
iracheni”. Spinto dall’opinione pubblica disgustata, l’allora Presidente Bush
ha, alla fine, optato per il ritiro delle truppe.
Alla
notizia del ritiro, Julian Assange ha esultato. “Se le bugie possono servire
per iniziare le guerre, rivelare la verità può servire per fermare le guerre,”
ha detto con una frase diventata celebre.
Non
hanno esultato, invece, il Pentagono e lo State Department statunitnesi. Erano
furibondi e hanno ordinato la persecuzione giudiziaria dell'editore di
Wikileaks, durata undici anni. Attualmente Assange è nella prigione di Belmarsh
a Londra, in attesa di un’udienza il prossimo 27-28 ottobre. L’Alta Corte
britannica deve decidere se spedirlo negli USA dove sarà certamente processato
ai termini dell’Espionage Act del 1917 e probabilmente condannato a 175 anni di
galera. Eppure Assange non è un cittadino statunitense; è un cittadino
australiano che ha sempre vissuto e lavorato in Europa.
“Ma non
ci sono leggi e direttivi negli Stati Uniti che proteggono i whistleblower?”,
ci si potrebbe chiedere. La risposta è sì, esistono, ma il Dipartimento di
Giustizia ha fatto sapere che non verranno applicati a questo caso.
Eppure,
il “reato” di Assange è stato soltanto quello di pubblicare le notizie
fornitegli dal Private Manning. Semmai è Manning il whistleblower mentre
Assange è un semplice giornalista o editore, che diffonde le notizie ricevute
da fonti anonimi (dopo verifica e epurazione dei dati sensibili), come fanno
tutti gli editori e giornalisti.
Difatti,
Manning, inizialmente incarcerato per aver fornito il video a Wikileaks, è
stato poi graziato dal Presidente Obama proprio in quanto whistleblower. Ma
allora perché l’accanimento contro Assange per tutti questi anni?
E’
presto detto: al governo americano non interessa intimidire questo o quello
whistleblower – sono bruscolini. Vuole chiudere il sito Wikileaks e, attraverso
l’intimidazione, avvertire qualsiasi altro editore di non diffondere in primis
i documenti di cui viene a conoscenza se attestano i crimini di guerra delle
forze armate USA. La parola chiave è “in primis”. I giornali che hanno ripreso
le notizie diffuse da Assange non vengono processati (sarebbe violare la
libertà della stampa). Ma colui che ha potuto fornire loro in primis quelle
notizie sì, perché quella persona – Julian Assange – ha agito al di fuori del
controllo economico-finanziario “normalizzante” che invece i comuni editori
subiscono. Inoltre ha creato un sistema di raccolta di informazioni a prova di
bomba e devastante per il mantenimento delle narrative mainstream. In altre
parole, al governo USA non interessa fermare i rivoli (ossia i giornali che
ripubblicano le notizie divulgate), vuole arrivare alla fonte e chiudere per
sempre quel rubinetto
Ma la
persecuzione di Assange, dal momento che è diventata di dominio pubblico,
rischia di avere effetti molto negativi sulla società in cui viviamo. La
conoscenza di quella persecuzione non può che frenare, ad esempio, un militare,
un ecclesiastico, uno sportivo che altrimenti avrebbe forse denunciato gli
abusi di cui è venuto a conoscenza. Per loro, la persecuzione implacabile di
Assange non può che servire di ammonimento: non conviene fare il
whistleblower, vedi cosa ti succede se apri il becco?
Ecco perché
noi, con The Good Lobby, dobbiamo invece incoraggiare sempre più
whistleblowers, in tutti gli enti, in tutte le aziende, in tutte le
istituzioni. Più sono e più saremo tranquilli quando acquistiamo prodotti
alimentari industriali, o quando affidiamo i nostri bambini ad una istituzione
ecclesiale, o quando vediamo un giovane partire per il servizio militare. Noi e
loro ci sentiremo davvero protetti solo se, grazie ad un rifiuto generalizzato
dell’omertà e alla presenza diffusa di whistleblower nel paese, non ci saranno
più segreti inconfessati dietro le mura di un’azienda alimentare, di una
caserma, di una casa di riposo, di una colonia estiva per bambini.
Rivendicare la libertà di Julian Assange vuol dire
rivendicare il nostro #DirittoDiSapere quello che avviene realmente nel mondo
intorno a noi.
Possiamo
informarci sul caso Assange facilmente in lingua italiana, andando sul
sito www.peacelink.it;
basta cliccare su “cerca” in alto e poi scrivere il nome Assange. Verranno
fuori tanti articoli interessanti. Per informarsi delle tante iniziative a
favore di Assange, invece, PeaceLink ha creato una apposita pagina su
notion.site – cliccare qui.
Inoltre
possiamo andare sul sito degli Statunitensi per la Pace e la Giustizia (Roma) e
visitare la loro pagina su Assange in lingua italiana: cliccare qui.
Per far
sentire la nostra voce, possiamo firmare la petizione lanciata dagli
Statunitensi per la Pace e la Giustizia, insieme agli Italiani per Assange e al
DiEM25 in Italia. La petizione si trova qui: https://chng.it/ppg2dxtr
Infine,
possiamo assistere in remoto a due eventi a favore di Assange che si svolgono
nei prossimi giorni:
– il Tribunale di Belmarsh che avrà luogo
il 22 ottobre e che seguirà le orme del famoso Tribunale Russell del 1966. Il Tribunale
Russell ha potuto condannare in contumacia per crimini di guerra l’allora
Presidente degli Stati Uniti Lyndon B Johnson per il suo bombardamento a
tappetto della Cambogia. Questa nuova edizione del Tribunale, invece,
processerà i leader degli Stati Uniti e del Regno Uniti in questi ultimi 10
anni, per i loro crimini di guerra in Afghanistan e Iraq; verranno usati come
prove proprio i documenti che Julian Assange ha reso disponibili attraverso il
suo sito Wikileaks. Inoltre il Tribunale processerà questi due paesi per i loro
crimini contro i diritti umani di Julian Assange, da 10 anni perseguito e
perseguitato da loro. Si può assistere al Tribunale tramite YouTube cliccando qui.
– la Conferenza Stampa alla Camera dei
Deputati, Roma, il giorno 26 ottobre dalle ore 16
alle ore 17. Moderata dal noto giornalista della RAI Riccardo Iacona, la
conferenza vanta una serie di personalità internazionali – come Daniel Ellsberg, per citarne solo uno – che
spiegheranno perché l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti sarebbe
una mostruosità giuridica. Si potrà seguire l’evento in diretta streaming
sull’apposita pagina della Camera dei Deputati a partire dalle ore 16: http://webtv.camera.it .
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