ANTEFATTO. Passato qualche mese non proprio divertentissimo, finalmente Carla un
venerdì di maggio fa il trapianto di midollo. Mentre lei se la spassa in
ospedale, io sono a casa con le bambine: una
domenica come tante ormai, siamo noi tre, cuciniamo, pranziamo e infine
mangiamo una mela. Ne tengo una fettina da parte, vado in balcone e la metto
nella gabbia del pappagallo, che nella scala degli affetti di Carla se la gioca
con le figlie, ma viene molto prima di me (tanto io ho la bici, chi se ne frega
dell'affetto quando hai una bicicletta). Dieci minuti dopo torno in balcone,
fischio e mi aspetto che il pappagallo risponda, come fa sempre. Silenzio. Un
brivido mi corre lungo la schiena, come direbbe un bravo autore di thriller.
Fischio di nuovo. Sempre silenzio. Guardo la gabbia, ho lasciato lo sportellino
aperto, il pappagallo è volato via. Chiamo Carla, accidenti, leucemia,
trapianto, sbatti sbatti in ospedale e io faccio scappare il pappagallo? Eh,
mica l'ho fatto apposta, mi giustifico come fanno i bambini. Chiudo la
telefonata, io e le figlie andiamo in giardino, chiamiamo, fischiamo, ma
niente, del pennuto non c'è traccia.
NECESSARIA PRECISAZIONE. A me gli animali mi stanno antipatici,
tutti, li apprezzo solo nel loro ambiente naturale, che non è il mio salotto,
mi fa schifo quando un cane si avvicina e vuole leccarmi e il padrone dice
tranquillo, non morde, ma chi se ne importa se morde o no, mi fa schifo essere
sbavato e alitato da una bestia. In casa non vorrei nessun animale, però sul
pappagallo abbiamo trovato un compromesso (compromesso = prendiamo il
pappagallo e stai zitto), e comunque sempre meglio un pappagallo che trovarmi
all'alba a portare in giro Birillo come faceva il Melandri. Insomma, abbiamo il
pappagallo. Anzi, ce l'avevamo. Io l'ho fatto scappare. Mentre Carla è in
ospedale. Due giorni dopo che ha fatto il trapianto di midollo. E dopo mesi di
ricovero, cateteri, infermieri, tac, pappette, chemioterapia, radioterapia e
chi più ne ha più ne metta. Insomma, se fosse successo in un periodo di pace e
prosperità, salute e gioia, non ne nego che la cosa mi avrebbe fatto anche
piacere e mi sarei battuto come un leone per restare senza pennuto. Invece mi
sento in colpa e addirittura acconsento ad andare fino a Pesaro (e chi ci
sarebbe mai andato a Pesaro, altrimenti?) a prenderne un altro, un cucciolo di
pappagallo, un cosino appena nato, allevato a mano, un gingillo piumoso pronto da
coccolare per quando Carla torna a casa.
SVILUPPO. Carla non si rassegna della perdita, fa gli annunci su Facebook, sparge la
voce, ma niente, il pappagallo non salta fuori, sarà finito tra le fauci di un
gatto. Intanto accogliamo il nuovo arrivato, Carla torna dall'ospedale, stanno
assieme e si fanno compagnia. Ora, il primo pappagallo mi stava antipatico
perché sì, perché era un animale e a me gli animali mi stanno tutti e
indistintamente antipatici, eppure mi voleva bene, non so per quale motivo. Gli
aprivamo la gabbia e volava subito sulla mia spalla, sarebbe rimasto lì per
sempre nonostante il mio disprezzo, considerava solo me senza che io gli
mostrassi il minimo affetto. Questo nuovo invece è proprio cattivo, più
aggressivo di un cane da guardia, se vede un dito si fionda per beccarlo. E poi
canta. Canta. Canta. Canta. Una tortura insopportabile, appena Carla (Carla non
leggere questa parte) va a letto, gli copro la gabbia con una coperta e lo
recludo nel bagnetto. Fai la nanna, tesorino.
COLPO DI SCENA. Intanto con Carla facciamo le passeggiatine da anziani, dalle sfacchinate
megagalattiche da quarantamila passi siamo passati ai giretti intorno
all'isolato, piano piano, davvero, come i vecchietti. Ogni tanto sentiamo un
fischio. Sembra lui, dice Carla. Prova a fischiare, lei, ma non è capace.
Fischia tu, mi fa, magari ti risponde. Io fischio, e da un palazzo si sente un
fischio di risposta. È lui, dice lei. No che non è lui, dico io. Sì che è lui,
insiste. No, ma figurati, dico io, cantano tutti alla stessa maniera, 'sti
pennuti. A me sembra lui. A me no. Fischia! E io fischio, ubbidiente. L'ignoto
uccello risponde, in effetti sembra lui, ma non lo ammetterò mai. Carla non si
mette l'anima in pace e intraprende una strategia tradizionale che aveva finora
ignorato, preferendo la modernità dei social: prende una foto del pappagallo,
la stampa, sopra ci scrive che il pennuto è volato via, qualche mese fa, le
sembra di sentirlo, questo il mio numero di telefono, se potete chiamatemi,
anche solo per dirmi che non è lui. Il giorno dopo siamo in giro, le squilla il
telefono, Carla risponde, sì, sì, sgrana gli occhi, a maggio, è lui, sì, come
nella foto, quando possiamo venire a prenderlo?
CONCLUSIONE. Arriviamo a casa, prende una vecchia gabbietta dalla cantina ed esce,
rapida, veloce e scattante. Mezz’ora dopo torna, ecco il pappagallo, non era
morto, apre lo sportellino e il pennuto, come se non fossero passati quattro
mesi, svolazza un po’ e poi viene sulla mia spalla. Mi commuoverei, ma ho fatto
le scuole medie a Sinnai e da ragazzino leggevo Bukowski, certi sentimentalismi
non fanno per me. Il pappagallo ce l’avevano i turchi, una coppia che
conosciamo di vista, hanno figli dell’età delle nostre, non usano i social, o
non frequentano gruppi locali, l’ha trovato il turco il lunedì mattina, stava
salendo in macchina per andare al lavoro e il volatile gli è andato sulla
spalla. L’ha portato a casa, la turca si è affezionata e adesso piange, piange
anche Carla, piangono tutti in questa storia di pappagalli.
Adesso in casa abbiamo due pappagalli e a quanto pare sono maschio e
femmina e insomma, se tutto va come deve andare, entro breve diventeremo nonni
e saremo sommersi dai pappagalli.
MORALE. La leucemia è una malattia schifosa perché fa scappare i pappagalli e dopo
vengono i sensi di colpa e allora ne prendi un altro e poi salta fuori quello
che è scappato e dopo ti ritrovi con due pappagalli che sono maschio e femmina
e fanno altri pappagalli e insomma, queste cose i dottori non le dicono.
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