Il reddito di cittadinanza è ormai un genere letterario, credo che dovrebbero istituire dei premi appositi. La prima cosa che si fa nei giornali quando c’è una notizia di reato (rapina in banca, furto con scasso, spaccio, sequestro di persona, furto di cavalli) è andare a controllare se il colpevole prende il reddito di cittadinanza, in modo da completare la facile equazione: delinquente uguale sussidiato. E’ solo la punta dell’iceberg, il resto è garrula narrazione diffusa: non hanno voglia di lavorare, meglio il divano, è diseducativo alla fatica (Renzi), è diseducativo alla fatica (Salvini, la ripetizione non è mia, ndr), eccetera eccetera. Come dicevo, un vero genere letterario. Lo dico subito a scanso di equivoci: chi prende il reddito di cittadinanza e non ne ha diritto va sanzionato, in primis perché magari lo toglie a chi ne ha più diritto e bisogno, e in secondo luogo perché ricorda le vecchie storie di quelli che congelano il cadavere della nonna per continuare a prendere la pensione (non è che per questo si chiede l’abolizione delle pensioni).
C’è però un
altro genere letterario che meriterebbe attenzione, e che riguarda sempre il
mondo del lavoro: quello delle offerte di impiego. Basta sfogliare uno dei
tanti portali di annunci per assaggiare meravigliosi stralci di prosa italiana
del XXI secolo, roba che dovrebbe entrare nelle antologie. Tipo il barista per
dieci ore al giorno, ma ve ne pagano quattro, il banconista a due euro l’ora,
la commessa “stagista con esperienza”, eccetera eccetera. Lettura ricca di
colpi di scena, per cui ognuno potrà farsi la sua top ten dell’annuncio più
spericolato. Il mio preferito – me l’ero segnato a suo tempo – era un’inserzione
per banconista in un negozio di autoricambi a Messina: dieci ore al giorno per
sei giorni alla settimana, più la mattina della domenica: totale 66 ore
settimanali per 400 euro al mese (ve lo faccio io, il conto: fa 1 euro e
cinquanta all’ora). Ma non voglio consigliarvi la mia playlist preferita,
fatevi la vostra, tra baristi, commessi, addetti alle pulizie, eterni stagisti,
avrete un campionario infinito, una specie di Spotify dello sfruttamento, un
pozzo senza fondo. Trattandosi di annunci di lavoro, c’è sempre un riferimento,
un contatto, un numero da chiamare o una mail a cui scrivere, e ci si chiede
come mai, ogni tanto, non risponda l’ispettorato del lavoro: è lei che cerca un
commesso a un euro e cinquanta l’ora? Venga con noi. Non sarebbero indagini
difficili, ma non le fa nessuno, peccato (lo dico anche per i giornali, sarebbe
una fonte inesauribile di spigolature divertenti).
Intanto, in
Europa, ventuno paesi su ventisette hanno un salario minimo garantito. Traduco:
se lavori non puoi prendere meno di una certa cifra. E sono, in certi casi,
cifre da capogiro 1.555 euro mensili in Francia, 1.626 in Belgio, 1.685 in
Olanda, per non dire del Lussemburgo, dove nessuno, per legge, può lavorare per
meno di 2.202 euro mensili. Per chi vuole guardare oltreoceano, negli Stati
Uniti siamo a 1.024 euro, niente male.
Qui no. Qui
il salario minimo era in una bozza del famoso Recovery plan, che sciccheria, ma
poi è sparito – puff! – quando il testo è arrivato in Parlamento. Mistero: chi
sarà stato? Come mai? Come si dice in questi casi, le indagini sono ferme, si
brancola nel buio, si seguono tutte le piste. C’è evidentemente un caso di
sordità selettiva, perché un salario minimo, a ben vedere “ce lo chiede
l’Europa”, ma da quell’orecchio, chissà perché, l’Italia non ci sente.
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