Fino a quando la Gran Bretagna e altri Stati
continueranno ad appoggiare un’infattibile soluzione a due Stati, Israele si
affermerà come uno Stato di apartheid in piena regola con la benedizione
internazionale.
La Gran
Bretagna oggi è un attore secondario sulla scena internazionale e la sua
capacità di influenzare il cosiddetto processo di pace in Israele e Palestina è
limitata. Non può essere considerato un contributo significativo agli sforzi
per trovare una soluzione alla continua colonizzazione e occupazione della
Palestina da parte di Israele.
Eppure
la Gran Bretagna ha un’enorme responsabilità storica per la situazione del
popolo palestinese e condivide l’intera colpa occidentale per l’attuale realtà
nei territori occupati.
Nel
1917, dopo la cosiddetta Dichiarazione Balfour, la Gran Bretagna permise al
movimento coloniale del sionismo di avviare un progetto di costruzione dello
Stato in Palestina. Durante il suo successivo governo come potenza
“mandataria”, il Regno Unito fornì assistenza alla piccola comunità di coloni
ebrei per costruire le infrastrutture del loro futuro Stato, pur essendo
consapevole che la popolazione nativa della Palestina, che nel 1917 era il 90%
del totale, respingeva questa prospettiva.
Il
sostegno venne dato mentre molti funzionari britannici sul campo erano
consapevoli del desiderio sionista di prendere quanta più Palestina possibile,
con il minor numero di palestinesi.
Poi
arrivò la Nakba (catastrofe), la pulizia etnica sionista della Palestina nel
1948, quando i funzionari e gli ufficiali britannici responsabili della legge e
dell’ordine guardarono passivamente mentre Israele espelleva metà della
popolazione palestinese, distruggeva metà dei suoi villaggi e demoliva la
maggior parte del suo spazio urbano.
Ciascuno
dei capitoli di questa storia avrebbe dovuto infondere dei sentimenti di colpa
e di responsabilità nell’istitutivo britannico, ma non è stato così.
Per
esempio, la politica vergognosa della Gran Bretagna non le ha impedito di
unirsi a Israele nel tentativo di rovesciare il leader arabo più
filo-palestinese, il Presidente egiziano Gamal Abdul Nasser, nel 1956.
E
mentre la Gran Bretagna era co-autrice della risoluzione 242 delle Nazioni
Unite, che avrebbe potuto portare a un completo ritiro israeliano dalla
Cisgiordania e dalla Striscia di Gaza nel 1967, come membro permanente del
Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha fatto ben poco per insistere sulla sua
attuazione
Abusi
quotidiani
Poi
arrivarono anni di abusi sistematici e quotidiani dei fondamentali diritti
civili e umani dei palestinesi. Il consolato britannico a Gerusalemme Est e la
legazione britannica a Ramallah in Cisgiordania, hanno ospitato nel corso degli
anni diplomatici rispettabili, alcuni dei quali ho conosciuto personalmente.
Ma i
loro rapporti sono stati scaricati e lasciati nei meandri della memoria
amnesica di Whitehall. Un giorno un ricercatore che indagherà su questi
rapporti dimenticati sarà in grado di compilare un diario rivelatore
dell’occupazione e dei suoi mali.
Mentre
era ancora membro dell’Unione Europea (UE), la Gran Bretagna seguì
diligentemente le politiche UE di non difendere seriamente i palestinesi e la
loro situazione.
Ci fu
una condanna britannica più forte durante i brutali attacchi israeliani alla
Striscia di Gaza nel 2012 e 2014, ma a queste proteste non seguirono
azioni significative.
Il
Regno Unito, insieme a Francia e Germania, ha condotto una politica dell’Unione
Europea che ha condannato qua e là le violazioni dei diritti umani israeliane
nei territori occupati. Più significativamente, si è mossa per contrassegnare
le merci come provenienti dagli insediamenti ebraici illegali, una politica che
ha permesso ai consumatori europei coscienziosi di boicottare i prodotti che i
loro governi rifiutavano.
Ma
tutto sommato, la politica ha continuato a fornire uno scudo di immunità per le
azioni commesse da Israele.
Un
momento potenzialmente simbolico è arrivato il 2 novembre 2017, nel centenario
della Dichiarazione Balfour. Poteva essere un momento per la Gran Bretagna di
fare ammenda, ma non lo fu.
Invece,
il governo di Theresa May celebrò con il Primo Ministro israeliano
Benjamin Netanyahu l’anniversario del giorno in cui il Regno Unito aveva dato
carta bianca al movimento sionista per colonizzare la Palestina.
C’è uno
schema della politica britannica che può essere identificato oggi come poteva
esserlo nel 1948: il personale sul campo osserva e segnala la distruzione
della vita palestinese e gli aspetti dell’apartheid di Israele mentre i
politici britannici rimangono fedeli alla descrizione di Israele come l’unica
democrazia del Medio Oriente.
Come i
precedenti governi del Regno Unito, la Gran Bretagna istituzionale si è
bloccata quando c’era bisogno che esprimesse posizioni chiare su questioni
chiave come il riconoscimento della Palestina e le indagini della Corte Penale
Internazionale (CPI) sui crimini commessi nei territori occupati.
Alla
richiesta di chiarimenti sulla questione dello Stato palestinese, nel febbraio
di quest’anno l’allora Ministro degli Esteri Dominic Raab ha inviato una
lettera al Progetto Balfour, che monitora la posizione passata e attuale della
Gran Bretagna nei confronti della Palestina. Ha ribadito una vecchia posizione:
“Il governo britannico riconoscerà uno Stato palestinese nel momento in cui
servirà al meglio l’obiettivo della pace”.
Non
credo che questo abbia bisogno di molte elaborazioni o interpretazioni. È una
rivisitazione di una vecchia posizione israeliana sostenente che le violazioni
israeliane dei diritti palestinesi cesseranno una volta raggiunta la “pace”,
mentre Israele non fa alcuno sforzo concreto per porre fine all’occupazione e
alla colonizzazione.
Realtà
dei fatti
Ma c’è
una questione più profonda presente. Come l’Unione Europea, la Gran Bretagna fa
parte di un consorzio occidentale che sostiene di aiutare i palestinesi a
costruire uno Stato proprio. Ciò deriva dal dichiarato sostegno britannico ed
europeo alla soluzione dei “due Stati”: uno Stato palestinese fianco a fianco
con Israele.
Ma il
governo britannico sa fin troppo bene che ogni giorno che passa la politica
unilaterale israeliana stabilisce una nuova realtà nei territori occupati, in
particolare, gli insediamenti, che rendono impossibile una Palestina
indipendente.
Tuttavia,
la Gran Bretagna utilizza ancora l’argomentazione della soluzione a due Stati,
nonostante il fatto che Israele abbia già ucciso l’idea e cerchi di creare di
fatto una Grande Israele.
Inoltre,
non si stanno facendo passi concreti contro le conseguenze più immediate di
questa politica unilaterale, che includono la pulizia etnica dei palestinesi
nell’Area C controllata da Israele in Cisgiordania (quasi il 60%) e nella
Grande Gerusalemme, così come il continuo e disumano assedio della Striscia di
Gaza.
La
stessa ipocrisia si rivela nella politica britannica nei confronti della CPI.
Boris Johnson ha recentemente confermato che il governo del Regno Unito si
oppone alle indagini della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra
israeliani nei territori occupati. Ha detto che il governo del Regno Unito “non
accetta che la CPI abbia giurisdizione in questo caso” in parte perché “la
Palestina non è uno Stato sovrano”.
Il
Ministro degli Esteri di Johnson, James Cleverly, ha confermato la posizione in
parlamento la scorsa settimana. Ha detto che il motivo per cui il Regno Unito
si oppone a un’indagine della CPI è perché “il Regno Unito attualmente non
riconosce lo Stato palestinese”.
La
posizione della Gran Bretagna sulla soluzione a due Stati non è interamente
colpa sua. Finché l’Autorità Palestinese stessa non la sostiene, non ci si può
aspettare che la Gran Bretagna la sostenga.
Ma è
importante riconoscere che il corpo di questa “soluzione” è rimasto
all’obitorio per un bel po’ di tempo, ma nessuno osa fare un funerale.
La sua
morte significa che mentre paesi come la Gran Bretagna continuano ad appoggiare
apparentemente la soluzione a due Stati, Israele si sta affermando come uno
Stato di apartheid in piena regola, con la benedizione internazionale.
Politica
interna ed estera
Implicitamente,
l’assistenza del Regno Unito a Israele nel continuare la sua politica di
espropriazione è assicurata attraverso la politica interna in cui la lobby
israeliana ha lanciato con successo un assalto alla libertà di pensiero sulla
questione. La demonizzazione dell’ex leader laburista Jeremy Corbyn e la falsa
accusa di antisemitismo istituzionale nel Partito Laburista, ne facevano parte.
L’adozione
da parte del governo del Regno Unito della controversa definizione di
antisemitismo dell’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto
(International Holocaust Remembrance Alliance – IHRA) indica che le politiche
nazionali britanniche non possono essere dissociate dalla politica estera nei
confronti di Israele e della Palestina.
Nella
sua forma attuale, questa definizione non consente alcuna critica seria allo
Stato di Israele e alle sue politiche nei confronti dei palestinesi. Impedisce
alla società civile di svolgere un ruolo significativo nella definizione della
politica estera del Regno Unito sulla questione.
Sia il
segretario della Comunità Robert Jenrick che il segretario all’Istruzione Gavin
Williamson,hanno minacciato lo scorso anno di ritirare i finanziamenti
governativi dalle università che non adottavano la definizione dell’IHRA.
Questa
strumentalizzazione della questione mira a mettere a tacere la discussione
aperta sulla Palestina nelle università e deve essere vista come parte della
politica generale britannica nei confronti di Israele e Palestina.
Un
sostegno più diretto a Israele passa attraverso l’esercito britannico. Lo
scorso dicembre, Gran Bretagna e Israele hanno firmato un accordo di
cooperazione militare. Dal 2018 il Ministero della Difesa del Regno Unito ha
acquistato attrezzature militari per un valore di 46 milioni di sterline (54
milioni di euro) dalla società di armi israeliana Elbit.
Anche
le truppe britanniche sono presenti in Israele, certamente in numero ridotto,
ma offrono servizi di addestramento alle Forze di Difesa Israeliane.
La Gran
Bretagna ha svolto un ruolo cruciale nella catastrofe che ha colpito il popolo
palestinese nel 1948, e in seguito ha continuato le politiche che ignoravano i
diritti dei palestinesi e le aspirazioni fondamentali per una vita normale
nella loro patria.
In
questo secolo, la Gran Bretagna ha fatto parte di una costante politica europea
che garantisce l’immunità per le azioni compiute da Israele. Questa posizione
non riflette il senso di responsabilità della società civile britannica nei
confronti del passato e la preoccupazione per la violazione sistematica da
parte di Israele dei diritti civili e umani dei palestinesi. Il governo del
Regno Unito ha urgente bisogno di riorientare una politica vecchia, faziosa e
immorale verso un popolo e una terra che stanno vivendo una “nuova Nakba”.
lan Pappé è professore di storia e direttore del Centro
Europeo per gli Studi Sulla Palestina presso l’Università di Exeter nel Regno
Unito. È autore di numerosi libri e articoli su Israele e Palestina, tra cui
“The Ethnic Cleansing of Palestine” (La Pulizia Etnica Della Palestina 2006).
Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org
Nessun commento:
Posta un commento