L’abbandono dello Yemen: perché il Consiglio sui Diritti Umani ONU zittisce
le vittime di diritti umani?
L’Arabia Saudita e il Bahrain, con la cooperazione U.S.A., sono riusciti
questa settimana a far fuori un’agenzia ONU poco nota che ha coraggiosamente
difeso per quasi quattro anni centinaia di migliaia di yemeniti sofferenti
immensamente per la guerra civile condotta dall’Arabia Saudita.
Lunedì 11 ottobre ha segnato la chiusura ufficiale del
rispettatissimo GEE – Gruppo di esperti eminenti – ONU (Group of Eminent Experts) sullo Yemen, che per
quasi quattro anni ha indagato . presunte orribili violazioni/abusi di diritti
umani essenziali – a cibo, riparo, sicurezza, sanità e istruzione – patite da
yemeniti perfino già maciullati da attacchi aerei sauditi e statunitensi. “Una
sconfita molto importante per tutte le vittime di gravi violazioni durante il
conflitto armato” ha scritto il GEE in una dichiarazione resa l’indomani del
rifiuto del Consiglio su Diritti Umani ONU di estendere il mandato per la
continuazione del loro lavoro. “Il Consiglio sembra abbandonare il popolo dello
Yemen” dice la dichiarazione, che aggiunge “Le vittime di questo tragico
conflitto armato non dovrebbero essere ridotte al silenzio per decisione di alcuni
stati”.
Prima del voto, c’erano state indicazioni che l’Arabia Saudita e i suoi
alleati, come il Bahrain che ha un seggio nel Consiglio ONU sui Diritti Umani,
aveva aumentato i propri sforzi di lobbying su scala mondiale
nel tentativo di far fuori il Gruppo di Esperti, che ha esaminato e riferito
sulle azioni della Coalizione bellica saudita contro lo Yemen. L’anno scorso un
tentativo saudita di ottenere un seggio nel Consiglio sui Diritti Umani fu
respinto, ma il Bahrain agisce su sua procura. Il Bahrain è un violatore
notorio di diritti umani nonché un Fedele membro della Coalizione a guida
saudita che acquista armamenti per miliardi di dollari dagli USA e da altri
paesi per bombardare le infrastrutture yemenite, uccidere civili e sfollare
milioni di persone.
Il Gruppo di Esperti aveva mandato d’indagare sulle violazioni commesse da
tutti i belligeranti, ed è perciò possibile che anche i dirigenti di Ansar
Allah, noti spesso come gli Huthi, volessero evitare l’esame minuzioso del
GEE.
La missione del GEE è quindi terminata, ma la paura e l’intimidazione in
fronte a vittime e testimoni yemeniti continua.
Mwatana for Human Rights, un’organizzazione
indipendente yemenita fondata nel 2007, patrocina i diritti umani fornendo
resoconti su problematiche come la tortura dei detenuti, processi smaccatamente
iniqui, schemi esemplari d’ingiustizia, e affamamento con guerra di distruzione
di fattorie e fonti d’acqua. Mwatana aveva sperato che il Consiglio ONU sui Diritti
Umani concedesse al Gruppo degli Esperti un’estensione pluriennale del mandato,
e ora suoi membri temono che la loro voce verrà zittita in àmbito ONU se la
decisione del Consiglio sui Diritti Umani è un indicatore di quanto ci tenga
agli yemeniti.
“Il GEE è l’unico meccanismo indipendente e imparziale all’opera per
scoraggiare i crimini di guerra e altre violazioni da parte di tutti i
belligeranti” ha detto Radhya Almutawakel, presidente di Mwatana per i diritti
umani. Eliminare questo ente, lei crede, darà luce verde per continuare
violazioni che condannano milioni di yemeniti a una “violenza
ininterrotta e paura costante”.
Lo Yemen Data Project, istituito nel 2016, è un’entità
indipendente mirante a raccogliere dati sulla condotta di guerra in Yemen. Il
suo rapporto mensile più recente ha contato una a una le
incursioni aeree di settembre, le più numerose da marzo. Sirwah, un distretto
nella provincia di Marib è stato per il nono mese consecutive il più martoriato
del paese, con 29 raid aerei nel mese. Proviamo a immaginare un’area vasta come
tre quartieri cittadini bombardata 29 volte in un mese!
I combattimenti intensificati hanno causato ampie ondate di sfollamento nel
governatorato, e i siti popolati da numeri crescenti di profughi vengono fatti
segno di routine dall’artiglieria e dagli attacchi aerei. I bisogni umanitari
pressanti comprendono alloggio, cibo, acqua, misure igienico-sanitarie e cure
mediche. Se non fosse per i rapporti coraggiosi dello Yemen Data
Project sull’andamento della Guerra, le cause delle condizioni
inhumane patite dalla gente nel Sirwah potrebbero essere avvolte nel segreto. È
tempo di aumentare, non mollare, l’attenzione agli yemeniti intrappolati nelle
zone di guerra.
Durante i primi mesi del 1995, ero in un Gruppo di attivisti che diedero
forma a una campagna chiamata Voci
nella Desolazione per sfidare pubblicamente le
sanzioni economiche contro l’Iraq. Alcuni di noi erano stati in Iraq durante
l’invasione del 1991 Desert Storm a guida USA. L’ONU riferì
che centinaia di migliaia di bambini sotto i cinque anni erano già morti e che
le sanzioni economiche avevano contribuito a quelle morti. Ci sentimmo
costretti a cercare almeno di interrompere le sanzioni economiche contro l’Iraq
dichiarando il nostro intento di portare medicine e materiale di soccorso
medico agli ospedali e alle famiglie irakeni.
Ma a chi avremmo consegnato queste forniture? I fondatori di Voci
nella Desolazione concordarono che avremmo cominciato col contattare
gli irakeni dei nostri quartieri e provato a connetterci con gruppi attivi per
la pace e la giustizia in Medio Oriente. E fu così che cominciai a chiedere
consigli ai bottegai irakeni nel mio quartiere di Chicago, che erano
comprensibilmente molto cauti. E un giorno, mentre me ne venivo via da un
negoziante che mi aveva dato un numero telefonico utilissimo di un parroco di
Baghdad, sentii un altro cliente chiedere di che si trattava, al che lui
rispose: “Oh, sono solo un gruppo che cerca di farsi un nome”. Mi sentii
mortificata. Adesso, 26 anni dopo, mi è facile capire la sua reazione.
Perché mai aver fiducia in persone strane come dovevamo sembrare?
Ma, senza sorprese, mi son sentita su riguardo al Gruppo degli Esperti ONU
i che sono andati a battersi per associazioni per i diritti umani in lotta per
un “credito di strada” a proposito dello Yemen. Quando i patrocinatori yemeniti
di diritti umani cercano a suonare l’allarme per terribili abusi, non devono
solo affrontare sensazioni che fanno star male nel confronto con l’antagonismo;
sono stati carcerati, torturati e fatti sparire. Gli attivisti della società
civile yemenita non hanno bisogno di farsi un nome.
Giovedì 7 ottobre, giorno in cui il Consiglio sui Diritti Umani ONU ha
votato di non continuare il ruolo del Gruppo degli Esperti a proposito dello
Yemen, l’ONU ha deciso d’istituire un gruppo investigativo per monitorare i
taliban. L’accordo tuttavia assicurava USA e NATO che gli abusi commessi sotto
il loro comando non sarebbero stati soggetti ad indagine. Enti e
procedure ONU che s’immischiano nella politica rendono ben più difficile a chi
conduce indagini stabilire rapporti fiduciosi con coloro i cui diritti
dovrebbero essere sostenuti dall’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani.
Quando accostavo i bottegai per suggerimenti sui nostri possibili contatti
in Iraq, stavo giusto cominciando a cimentarmi con i saggi del professor Noam
Chomsky sulle “vittime degne” e “vittime indegne”,
espressione, questa, che pareva un terribile ossimoro. Come poteva una vittima
di tortura, spoliazione, fame, sfollamento, o sparizione essere indegna?
Coi successivi quarant’anni arrivai a capire la crudele distinzione fra vittime
degne e indegne. Un paese o un gruppo potente può usare l’andazzo dolente di
“vittime degne” per costruire sostegno a una guerra o comunque un intervento
militare.
Le “vittime indegne” anch’esse soffrono, ma poiché le loro storie
potrebbero indurre la gente a mettere in discussione la saggezza degli attacchi
di un paese potente ai civili, le storie di quelle vittime probabilmente
svaniranno. Consideriamo, in Afghanistan, come se la passano i sopravvissuti a
un attacco di drone USA alla famiglia di Zamari Ahmadi il 29 agosto scorso, in
cui furono uccisi dieci suoi famigliari, sette dei quali bambini. Ancora al 30
settembre la famiglia non aveva ancora sentito alcunché dagli USA.
Spero tanto che Mwatana, lo Yemen Data Project, la Yemen Foundation, e
tutti quanti i giornalisti e attivisti dei diritti umani appassionatamente
coinvolti nell’opposizione alla guerra che infuria in Yemen diventino nomi che
suscitano rispetto, gratitudine e sostegno. Spero che continuino a documentare
le violazioni e gli abusi. Ma so che il loro lavoro sul terreno in Yemen adesso
sarà ancor più pericoloso.
Frattanto, i lobbyisti che hanno servito così bene il governo saudita si
sono di certo fatti un nome a Washington, D.C., e oltre.
Gli attivisti di base impegnati a por fine agli abusi nei diritti umani devono sorreggere la solidarietà con le associazioni della società civile che difendono i diritti umani in Yemen e Afghanistan. I governi che fanno la guerra e proteggono gli offensori dei diritti umani devono immediatamente por fine alle proprie pratiche perniciose. Negli Stati Uniti, i pacifisti devono dire agli appaltatori di materiale militare, ai lobbyisti e ai rappresentanti eletti “Non in nostro nome!” ed esigere dal governo USA una conversione a U, stendendo una mano amica “senza lacci attaccati” a chi ha bisogno e abolendo per sempre tutte le guerre. Un buon inizio sarebbe che gli USA smettessero di coprire le atrocità, come la guerra in Yemeni, in cui sono coinvolti.
Kathy Kelly fa parte della Rete
TRANSCEND per pace, Sviluppo Ambiente, pacifista e autrice
statunitense, è cofondatrice di Voices in the Wilderness (Voci nella
desolazione), e attualmente coordinatrice di Voices for Creative
Nonviolence. È stata nominate tre volte dal 2000 per il premio Nobel per la
Pace. Compartecipe di lavoro di squadra per la pace in vari paesi, è stata in
Iraq ventisei volte, restando specialmente in zone di combattimento durante i
primi giorni di ambo le guerre USA all’Iraq. Di recente si è concentrate su
visite in Afghanistan e a Gaza, oltre a proteste in patria contro la politica
aerea USA mediante droni. E’ stata arrestata oltre sessanta volte in patria e
al’’estero, e ha scritto delle sue esperienze fra sia i bersagli di
bombardamenti USA, sia i reclusi nelle prigioni USA. Vive a Chicago. Kathy@vcnv.org – info@vcnv.org
TRANSCEND MEMBERS, 18 Oct
2021 Kathy Kelly – TRANSCEND Media Service
Traduzione di Miki Lanza per il Centro Studi Sereno Regis
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