Sì, è ancora
possibile invertire la marcia verso l’auto-distruzione. Oggi non esistono più i
conflitti d’interesse che hanno creato l’insostenibile mondo odierno.
Il sorgere
d’istituzioni della modernità capitalista potrebbe essere
considerato come il risultato di vittorie retoriche che abbiano convinto classi
e masse sociali della validità delle argomentazioni dei loro promotori,
riportate da Albert Hirschman e altri. Ma potrebbero anche viste come il
trionfo di istituzioni e relative ideologie d’accompagnamento al servizio degli
interessi dei più forti. Estendendo le conclusioni di La società
dev’essere difesa di Michel Foucault,
- etica liberale, che prescrive
che diritti fasulli prevalgano su beni di carne e sangue,
- giurisprudenza che cristallizzi
nella roccia i diritti di proprietà,
- libertà irresponsabile ed
- economia ortodossa;
tutt’e
quattro basate concettualmente su mitologie esenti da revisioni alla luce
dell’esperienza ed evidenza.
Sono
divenute dominanti a causa di vittorie militari dei più forti. Per esempio, il
Nuovo Esercito Modello di Oliver Cromwell, l’armata parlamentare guidata da
Guglielmo d’Orange, e le tecnologie militari superiori schierate dalla
Compagnia delle Indie Orientali in India, dai britannici e dai francesi nella
guerre dell’oppio contro la Cina, dal commodoro americano Perry
per aprire il Giappone al commercio estero, e generalmente dagli europei e
nordamericani verso tutti i continenti).
Gandhi,
ovviamente, e i filosofi della pace in generale, hanno una posizione diversa.
Sostengono che il potere della forza militare sia stato molto sovrastimato, e
il potere della verità molto sotto-stimato. Oggi c’è una nuova
ragione per credere che la verità abbia una chance e che la
rotta fatale della storia possa essere invertita. L’economia mondiale esistente
non serve più gli interessi di chicchessia. Continuare sulla via della
disintegrazione sociale e dell’ecocidio non serve neppure gli interessi di un
essere umano, non importa quanto ricco possa essere; proprio nessuno.
Adesso
possiamo parlare di organizzazione sconfinata, allineata per settori per il
bene comune, che fa quel che funziona per il bene di tutti senza parteggiare
per una classe contro un’altra, eppure ottenendo quel che i partigiani della
classe operaia hanno sempre voluto. Tutte le classi hanno lo stesso interesse —
cioè la sopravvivenza in armonia con la natura in una società ad alto grado
d’uguaglianza. Un’economia di dignità. Come secondo Martin Luther King Jr., una
casa mondiale dove la famiglia umana vive in comunità benamate. Oggi
nulla servirebbe meglio i veri interessi dei ricchi che la fine della povertà.
La bruciante
questione di ieri dello sfruttamento del sopravvalore prodotto dalla manodopera
e appropriato dal capitale riguardava un problema che J.T. Kumarappa
(“l’economista di Gandhi”) si prefisse di togliere di mezzo risolvendolo e
includendolo in una sintesi superiore. Inquadrò progresso o regresso della
scienza economica in termini di sviluppo o decadimento morale.
In tal modo
trascese sia la critica di Marx dell’appropriazione privata del prodotto
sociale sia le tappe di Rostow in Stages of Economic Growth. Ma
oggi il furto alla manodopera di ciò che produce – un concetto in fin dei conti
derivato dal concetto di proprietà di John Locke, a sua volta parte del rigetto
da parte della modernità europea dei tradizionali ideali comunitari dell’Europa
stessa – sta cessando di essere una questione. La manodopera sta cessando di
essere il fattore principale della produzione. Oggi quando gli investitori
vogliono aumentare la produttività e quindi la produzione, investono in
tecnologia e licenziano i dipendenti ridondanti. Il fato dei
minatory in Sud Africa è un esempio emblematico.
Adesso la
domanda scottante è: chi avrà il beneficio della tecnologia avanzata? Un’etica
di cura o di solidarietà risponde: tutti, comprese le altre specie che
condividono con noi il pianeta. Psicologia, epidemiologia e altre scienze
stanno imparando che le classi privilegiate sarebbero più sane e più sicure in
un’economia più uguale e più sensibile al contesto. Sarebbero tutti più felici
nella “buona società” come concepita da Abraham Maslow, dove la sicurezza
fondamentale condurrebbe alla fiducia fondamentale di Erik Erikson per le
persone di ogni età.
Il
capitalismo, concepito come dominazione di un bisogno incontrastabile di creare
condizioni favorevoli all’accumulo di capitale a prescindere dai costi sociale
ed ecologici, non è nell’interesse di chicchessia. Un capitalismo concepito
come libertà di impegnarsi negli affari, dove la libertà stessa è concepita
come responsabilità e gli affari concepiti come istituzione sociale intesa a
servire la società, può essere nell’interesse di tutti.
Sicché
riformare il capitalismo ridefinendolo soddisferebbe l’obiezione fatta da
Gandhi facendo notare al suo caro amico Nehru che se siamo condannati a non
riuscire nella riforma morale delle persone in affari, saremmo con tutta
probabilità condannati a non riuscire nella riforma morale dei politici. E
riconoscerebbe le risultanze della ricerca dell’economista neoliberista Gary
Becker che mostrano come le persone del settore pubblico che in linea di
principio servono il pubblico non sono meno auto-interessate che le persone del
settore privato. E concorderebbe (con qualche riserva) con l’assunto
epistemologico di Friedrich von Hayek: il mondo è troppo complesso perché la
programmazione mondiale possa sostituire le innumerevoli decisioni quotidiane
degli attori nel gestire pezzi limitati dell’economia globale. Richiederebbe la
cooperazione di tutti i settori, privati, civici e pubblici per il bene comune.
A chi, come
Gandhi, preferisca la parola “socialismo” a “capitalismo” sarebbe permesso
chiamare socialismo il capitalismo ridefinito (per lodarlo, non condannarlo). Chi
trovi che sia capitalismo sia socialismo siano parole obsolete omissibili negli
odierni vocabolari, otterrebbe via libera. C’è un precedente per
permettere tale flessibilità linguistica — cioè che la stessa cosa si chiami
capitalismo o socialismo – nelle varie descrizioni del Modello Svedese,
risalenti a quando era un gran successo. Chi parteggiava per il capitalismo
prese la Svezia come prova che il capitalismo funziona, chiamandolo talora
“capitalismo maturo”. Chi parteggiava per il socialismo, come Gunnar ed Ava
Myrdal e i loro amici Jawaharlal e Kamala Nehru, vedeva la Svezia come
pioniera precoce della prosperità condivisa destinata al futuro
social-democratico dell’intera umanità.
Comunque lo
si chiami, c’è una pressante necessità di creare i surplus che
renderanno possibile arrivare a mezzi di sostentamento degni condivisi e
sostenibili per tutti, e poi trasferire i surplus da dove
generati – gli enormi surplus di Apple, Google, e Facebook sono esempi di altri
in arrivo — a dove servono. Il bene comune richiede l’integrazione sociale
degli esclusi, come prima priorità sociale inseparabile dalle prime priorità
ecologiche. Richiede di accogliere gli esclusi – quelli che camminano a piedi
nudi dall’Honduras al confine messicano e quelli che attraversano su barche non
stagne il Mediterraneo, esempi di altri casi in arrivo. Comunque lo si chiami,
organizzare la vita umana per renderla sostenibile richiederà di condividere la
prosperità con le maggioranze risultanti domani ridondanti nel mercato del lavoro. Ma
l’imperativo contemporaneo di produrre abbastanza per le necessità di tutti è
soggetto ai condizionamenti contemporanei.
Uno chiave
fra essi è che la high tech non debba escludere nessuno per
indisponibilità di posti. Deve piuttosto essere di supplemento a un’agricoltura
e un’industria a scala umana: per esempio, a un’ agricoltura urbana su
appezzamenti cittadini e tetti vacanti, alla permacoltura, alla frutta e
verdura coltivati a casa, ai risicoltori di Bali.
Lo scopo è
alimentare tutti, sì, ma nutrendo anche l’anima oltre al corpo. La biofilia
(“l’impulso irrefrenabile ad aggregarsi ad altre forme di vita” – E.O. Wilson)
è parte della natura umana che non verrà soddisfatta da una dieta
nutrizionalmente adeguata prodotta da processi industriali distanti in
sostituzione dell’agricoltura convenzionale. Un’altra coercizione è un sine
qua non: le istituzioni umane sostenibili del futuro dovranno risolvere il
conflitto letale fra la necessità economica della crescita e la necessità
ecologica d’invertire il consumo anno dopo anno di più risorse di quante la
terra possa rinnovare. Posso osare dire che ciò richiede di
stabilizzare o invertire la tendenza già solo del numero di persone sul
pianeta?
A questo
punto, citando la necessità di liberarsi dal “bisogno economico di crescita” al
fine di “invertire il consumo anno dopo anno di più risorse di quanto la terra
possa rinnovare”, sono tentato di cambiare risposta alla mia domanda iniziale
da sì a non “è ancora possibile invertire la marcia
dell’umanità verso l’autodistruzione”. Perché? Perché mentre parliamo quasi
tutti i governi stanno combattendo l’impatto economico del Covid promuovendo la
crescita; cercando di mantenere in moto/crescita l’economia finanziando il
consumo, mantenendo solventi le banche e sovvenzionando la vita aziendale.
Tutto si fa, apparentemente almeno, per far tornare al più presto al lavoro.
Dopo la crisi si impiegherà lo stesso modello mentale per cercare di aumentare
i tassi di crescita che in gran parte del mondo erano già pigri prima del
Covid, tentando di ridurre il numero di quelli che erano stati espulsi anche
allora dal mercato del lavoro.
Perché le
risposte politiche dei governi alle crisi mi tentano a cambiare la mia risposta
da sì a no? Perché non c’è modo possibile di creare sufficiente domanda al
consumo per incentivare datori di lavoro a considerare conveniente assumere
chiunque sia disoccupato pagandogli/le un buon salario con il ricavo derivato
dalla vendita dei prodotti che la nuova assunzione contribuisce a fare. Semplificando,
i fondi salariali prodotti dalla vendita dei prodotti fatti dai salariati non
riescono a finanziare mezzi di sostentamento degni per tutti. Se ci avvieremo
mai a essere una famiglia umana che vive in una casa mondiale, qualcuno dei
fratelli e sorelle impegnati in lavoro utile dovranno essere pagati spillando a
profitti e rendite.
Madre Teresa
diceva la verità letteralmente dicendo: “La povertà finirà quando impareremo a
condividere con i poveri”. Ma poiché (secondo le testimonianze) se ne scappava
dalla stanza appena le altre monache cominciavano a parlare di struttura
sociale, sembrerebbe che non capiva il significato pieno delle sue stesse
parole; che implicano che, qualora i poveri diventino non poveri, sarà per la
stessa ragione per cui i ricchi non sono poveri adesso. Sarà perché dei
sopravvalori saranno incanalati dalla loro parte.
Il loro
lavoro può essere finanziato da flussi di reddito derivati da attivi come un
patrimonio immobiliare e azioni societarie, per citare solo due esempi. E non è
necessario che i poveri di domani imitino i ricchi indolenti di ieri vivendo
pure essi senza lavorare, campando di elemosine. Gli ex-poveri possono godere
della dignità e dell’auto-rispetto di coloro che fanno lavori utili e
intrinsecamente di valore. La loro dignità può provenire dal fare contributi al
bene comune che i mercati lasciati a sé stessi non compensano con salari. Ad
esempio il lavoro per riportare in salute la nostra biosfera avvelenata e
bolsa; e, come suggeriva King, lavoro per fornire di accudimento affettuoso
persone che ne hanno bisogno, per qualunque ragione, e non l’ottengono.
Vorrei non
dover dire quanto segue e sarò lieto di correggermi se mi sarò sbagliato. Per
invertire la marcia dell’umanità verso l’autodistruzione, dobbiamo fare tutto
quello che Greta Thunberg dice che dobbiamo fare, e dobbiamo farlo in modi che
evitino il tracollo a breve termine quando cesserà di esistere la vecchia
modalità e la nuova non esista ancora. L’imperativo categorico d’Immanuel
Kant: ‘Agisci così che ognuno che agisca come te sia una possibilità
logica’ (e non un’impossibilità logica, come – esempio preferito di
Kant – un mondo dove ci sono debiti che però nessuno paga mai) dev’essere
sostituito, da un nuovo imperativo categorico: Agisci così che se
ognuno agisse come te, la vita sulla terra diventi sostenibile.
Salvo Greta, c’è qualcuno che consideri seriamente di fare così?
Nulla di
tutto ciò è impossibile da un punto di vista tecnico. L’asserzione di Gandhi
che ce n’è abbastanza per i bisogni di tutti ma non per l’avidità di tutti è
quanto mai vera oggi. Abbiamo ancora una chance. Quanto più si
capisce perché le probabilità ci sono averse, tanto più migliorano le
nostre chance. A questo punto della storia, nonostante
le probabilità, abbiamo una chance di metter in pratica ideali
di verità e solidarietà alla svelta su scala massiccia. Perché viviamo una
mega-crisi così intensa e terrificante che anche i ciechi possono vedere che il
sistema non funziona. E perché onestà e accudimento sì che funzionano. Perché
in linea di principio non abbiamo nessuno contro. Ci si oppongono solo persone
che non capiscono. Ancora.
Nessun commento:
Posta un commento