sabato 16 ottobre 2021

Invertire la marcia verso l’auto-distruzione? - Howard Richards

 

Sì, è ancora possibile invertire la marcia verso l’auto-distruzione. Oggi non esistono più i conflitti d’interesse che hanno creato l’insostenibile mondo odierno.

Il sorgere d’istituzioni della modernità capitalista potrebbe essere considerato come il risultato di vittorie retoriche che abbiano convinto classi e masse sociali della validità delle argomentazioni dei loro promotori, riportate da Albert Hirschman e altri. Ma potrebbero anche viste come il trionfo di istituzioni e relative ideologie d’accompagnamento al servizio degli interessi dei più forti. Estendendo le conclusioni di La società dev’essere difesa di Michel Foucault

  • etica liberale, che prescrive che diritti fasulli prevalgano su beni di carne e sangue,
  • giurisprudenza che cristallizzi nella roccia i diritti di proprietà,
  • libertà irresponsabile ed
  • economia ortodossa;

tutt’e quattro basate concettualmente su mitologie esenti da revisioni alla luce dell’esperienza ed evidenza.

Sono divenute dominanti a causa di vittorie militari dei più forti. Per esempio, il Nuovo Esercito Modello di Oliver Cromwell, l’armata parlamentare guidata da Guglielmo d’Orange, e le tecnologie militari superiori schierate dalla Compagnia delle Indie Orientali in India, dai britannici e dai francesi nella guerre dell’oppio contro la Cina, dal commodoro americano Perry per aprire il Giappone al commercio estero, e generalmente dagli europei e nordamericani verso tutti i continenti).

Gandhi, ovviamente, e i filosofi della pace in generale, hanno una posizione diversa. Sostengono che il potere della forza militare sia stato molto sovrastimato, e il potere della verità molto sotto-stimato.   Oggi c’è una nuova ragione per credere che la verità abbia una chance e che la rotta fatale della storia possa essere invertita. L’economia mondiale esistente non serve più gli interessi di chicchessia. Continuare sulla via della disintegrazione sociale e dell’ecocidio non serve neppure gli interessi di un essere umano, non importa quanto ricco possa essere; proprio nessuno.

Adesso possiamo parlare di organizzazione sconfinata, allineata per settori per il bene comune, che fa quel che funziona per il bene di tutti senza parteggiare per una classe contro un’altra, eppure ottenendo quel che i partigiani della classe operaia hanno sempre voluto. Tutte le classi hanno lo stesso interesse — cioè la sopravvivenza in armonia con la natura in una società ad alto grado d’uguaglianza. Un’economia di dignità. Come secondo Martin Luther King Jr., una casa mondiale dove la famiglia umana vive in comunità benamate.  Oggi nulla servirebbe meglio i veri interessi dei ricchi che la fine della povertà.

La bruciante questione di ieri dello sfruttamento del sopravvalore prodotto dalla manodopera e appropriato dal capitale riguardava un problema che J.T. Kumarappa (“l’economista di Gandhi”) si prefisse di togliere di mezzo risolvendolo e includendolo in una sintesi superiore. Inquadrò progresso o regresso della scienza economica in termini di sviluppo o decadimento morale.

In tal modo trascese sia la critica di Marx dell’appropriazione privata del prodotto sociale sia le tappe di Rostow in Stages of Economic Growth. Ma oggi il furto alla manodopera di ciò che produce – un concetto in fin dei conti derivato dal concetto di proprietà di John Locke, a sua volta parte del rigetto da parte della modernità europea dei tradizionali ideali comunitari dell’Europa stessa – sta cessando di essere una questione. La manodopera sta cessando di essere il fattore principale della produzione. Oggi quando gli investitori vogliono aumentare la produttività e quindi la produzione, investono in tecnologia e licenziano i dipendenti ridondanti. Il fato dei minatory in Sud Africa è un esempio emblematico.

Adesso la domanda scottante è: chi avrà il beneficio della tecnologia avanzata? Un’etica di cura o di solidarietà risponde: tutti, comprese le altre specie che condividono con noi il pianeta. Psicologia, epidemiologia e altre scienze stanno imparando che le classi privilegiate sarebbero più sane e più sicure in un’economia più uguale e più sensibile al contesto. Sarebbero tutti più felici nella “buona società” come concepita da Abraham Maslow, dove la sicurezza fondamentale condurrebbe alla fiducia fondamentale di Erik Erikson per le persone di ogni età.

Il capitalismo, concepito come dominazione di un bisogno incontrastabile di creare condizioni favorevoli all’accumulo di capitale a prescindere dai costi sociale ed ecologici, non è nell’interesse di chicchessia. Un capitalismo concepito come libertà di impegnarsi negli affari, dove la libertà stessa è concepita come responsabilità e gli affari concepiti come istituzione sociale intesa a servire la società, può essere nell’interesse di tutti.

Sicché riformare il capitalismo ridefinendolo soddisferebbe l’obiezione fatta da Gandhi facendo notare al suo caro amico Nehru che se siamo condannati a non riuscire nella riforma morale delle persone in affari, saremmo con tutta probabilità condannati a non riuscire nella riforma morale dei politici. E riconoscerebbe le risultanze della ricerca dell’economista neoliberista Gary Becker che mostrano come le persone del settore pubblico che in linea di principio servono il pubblico non sono meno auto-interessate che le persone del settore privato. E concorderebbe (con qualche riserva) con l’assunto epistemologico di Friedrich von Hayek: il mondo è troppo complesso perché la programmazione mondiale possa sostituire le innumerevoli decisioni quotidiane degli attori nel gestire pezzi limitati dell’economia globale. Richiederebbe la cooperazione di tutti i settori, privati, civici e pubblici per il bene comune.

A chi, come Gandhi, preferisca la parola “socialismo” a “capitalismo” sarebbe permesso chiamare socialismo il capitalismo ridefinito (per lodarlo, non condannarlo). Chi trovi che sia capitalismo sia socialismo siano parole obsolete omissibili negli odierni vocabolari, otterrebbe via libera.  C’è un precedente per permettere tale flessibilità linguistica — cioè che la stessa cosa si chiami capitalismo o socialismo – nelle varie descrizioni del Modello Svedese, risalenti a quando era un gran successo. Chi parteggiava per il capitalismo prese la Svezia come prova che il capitalismo funziona, chiamandolo talora “capitalismo maturo”. Chi parteggiava per il socialismo, come Gunnar ed Ava Myrdal e i loro amici Jawaharlal e Kamala Nehru, vedeva la Svezia  come pioniera precoce della prosperità condivisa destinata al futuro social-democratico dell’intera umanità.

Comunque lo si chiami, c’è una pressante necessità di creare i surplus che renderanno possibile arrivare a mezzi di sostentamento degni condivisi e sostenibili per tutti, e poi trasferire i surplus da dove generati – gli enormi surplus di Apple, Google, e Facebook sono esempi di altri in arrivo — a dove servono. Il bene comune richiede l’integrazione sociale degli esclusi, come prima priorità sociale inseparabile dalle prime priorità ecologiche. Richiede di accogliere gli esclusi – quelli che camminano a piedi nudi dall’Honduras al confine messicano e quelli che attraversano su barche non stagne il Mediterraneo, esempi di altri casi in arrivo. Comunque lo si chiami, organizzare la vita umana per renderla sostenibile richiederà di condividere la prosperità con le maggioranze risultanti domani ridondanti nel mercato del lavoro. Ma l’imperativo contemporaneo di produrre abbastanza per le necessità di tutti è soggetto ai condizionamenti contemporanei.

Uno chiave fra essi è che la high tech non debba escludere nessuno per indisponibilità di posti. Deve piuttosto essere di supplemento a un’agricoltura e un’industria a scala umana: per esempio, a un’ agricoltura urbana su appezzamenti cittadini e tetti vacanti, alla permacoltura, alla frutta e verdura coltivati a casa, ai risicoltori di Bali.

Lo scopo è alimentare tutti, sì, ma nutrendo anche l’anima oltre al corpo. La biofilia (“l’impulso irrefrenabile ad aggregarsi ad altre forme di vita” – E.O. Wilson) è parte della natura umana che non verrà soddisfatta da una dieta nutrizionalmente adeguata prodotta da processi industriali distanti in sostituzione dell’agricoltura convenzionale. Un’altra coercizione è un sine qua non: le istituzioni umane sostenibili del futuro dovranno risolvere il conflitto letale fra la necessità economica della crescita e la necessità ecologica d’invertire il consumo anno dopo anno di più risorse di quante la terra possa rinnovare.   Posso osare dire che ciò richiede di stabilizzare o invertire la tendenza già solo del numero di persone sul pianeta?

A questo punto, citando la necessità di liberarsi dal “bisogno economico di crescita” al fine di “invertire il consumo anno dopo anno di più risorse di quanto la terra possa rinnovare”, sono tentato di cambiare risposta alla mia domanda iniziale da sì a non “è ancora possibile invertire la marcia dell’umanità verso l’autodistruzione”. Perché? Perché mentre parliamo quasi tutti i governi stanno combattendo l’impatto economico del Covid promuovendo la crescita; cercando di mantenere in moto/crescita l’economia finanziando il consumo, mantenendo solventi le banche e sovvenzionando la vita aziendale. Tutto si fa, apparentemente almeno, per far tornare al più presto al lavoro. Dopo la crisi si impiegherà lo stesso modello mentale per cercare di aumentare i tassi di crescita che in gran parte del mondo erano già pigri prima del Covid, tentando di ridurre il numero di quelli che erano stati espulsi anche allora dal mercato del lavoro.

Perché le risposte politiche dei governi alle crisi mi tentano a cambiare la mia risposta da sì a no? Perché non c’è modo possibile di creare sufficiente domanda al consumo per incentivare datori di lavoro a considerare conveniente assumere chiunque sia disoccupato pagandogli/le un buon salario con il ricavo derivato dalla vendita dei prodotti che la nuova assunzione contribuisce a fare. Semplificando, i fondi salariali prodotti dalla vendita dei prodotti fatti dai salariati non riescono a finanziare mezzi di sostentamento degni per tutti. Se ci avvieremo mai a essere una famiglia umana che vive in una casa mondiale, qualcuno dei fratelli e sorelle impegnati in lavoro utile dovranno essere pagati spillando a profitti e rendite.

Madre Teresa diceva la verità letteralmente dicendo: “La povertà finirà quando impareremo a condividere con i poveri”. Ma poiché (secondo le testimonianze) se ne scappava dalla stanza appena le altre monache cominciavano a parlare di struttura sociale, sembrerebbe che non capiva il significato pieno delle sue stesse parole; che implicano che, qualora i poveri diventino non poveri, sarà per la stessa ragione per cui i ricchi non sono poveri adesso. Sarà perché dei sopravvalori saranno incanalati dalla loro parte.

Il loro lavoro può essere finanziato da flussi di reddito derivati da attivi come un patrimonio immobiliare e azioni societarie, per citare solo due esempi. E non è necessario che i poveri di domani imitino i ricchi indolenti di ieri vivendo pure essi senza lavorare, campando di elemosine. Gli ex-poveri possono godere della dignità e dell’auto-rispetto di coloro che fanno lavori utili e intrinsecamente di valore. La loro dignità può provenire dal fare contributi al bene comune che i mercati lasciati a sé stessi non compensano con salari. Ad esempio il lavoro per riportare in salute la nostra biosfera avvelenata e bolsa; e, come suggeriva King, lavoro per fornire di accudimento affettuoso persone che ne hanno bisogno, per qualunque ragione, e non l’ottengono.

Vorrei non dover dire quanto segue e sarò lieto di correggermi se mi sarò sbagliato. Per invertire la marcia dell’umanità verso l’autodistruzione, dobbiamo fare tutto quello che Greta Thunberg dice che dobbiamo fare, e dobbiamo farlo in modi che evitino il tracollo a breve termine quando cesserà di esistere la vecchia modalità e la nuova non esista ancora. L’imperativo categorico d’Immanuel Kant: ‘Agisci così che ognuno che agisca come te sia una possibilità logica’ (e non un’impossibilità logica, come – esempio preferito di Kant – un mondo dove ci sono debiti che però nessuno paga mai) dev’essere sostituito, da un nuovo imperativo categorico: Agisci così che se ognuno agisse come te, la vita sulla terra diventi sostenibile. Salvo Greta, c’è qualcuno che consideri seriamente di fare così?

Nulla di tutto ciò è impossibile da un punto di vista tecnico. L’asserzione di Gandhi che ce n’è abbastanza per i bisogni di tutti ma non per l’avidità di tutti è quanto mai vera oggi. Abbiamo ancora una chance. Quanto più si capisce perché le probabilità ci sono averse, tanto più migliorano le nostre chance.   A questo punto della storia, nonostante le probabilità, abbiamo una chance di metter in pratica ideali di verità e solidarietà alla svelta su scala massiccia. Perché viviamo una mega-crisi così intensa e terrificante che anche i ciechi possono vedere che il sistema non funziona. E perché onestà e accudimento sì che funzionano. Perché in linea di principio non abbiamo nessuno contro. Ci si oppongono solo persone che non capiscono. Ancora.

da qui

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