«Stremato dall’ennesimo scempio argomentativo ascoltato nell’ennesima discussione su Green Pass e dintorni avevo pensato di provare a redigere (di nuovo) una sorta di vademecum con domande e risposte, magari solo per un senso di ordine mentale. Tuttavia ho l’impressione che siamo oramai andati oltre il livello in cui questo livello di ragioni poteva avere preminenza. Se non hanno attecchito a sufficienza da due mesi a questa parte, oramai siamo arrivati a un livello ulteriore.
Sul piano di merito al di là dei mille argomenti di dettaglio in cui ci si
può perdere, per stabilire l’illegittimità del Green Pass nella sua versione
italiana bastavano due argomenti, semplici, e che chiunque avesse fatto un
minimo sforzo di approfondimento poteva acquisire subito.
Per definire sul piano scientifico l’illegittimità del GP basta stabilire
che:
1) anche i vaccinati contagiano;[1]
2) nessuno è nella posizione di garantire la piena sicurezza dei preparati
da inoculare ora in uso.[2]
Non ci voleva assolutamente niente altro. Ed entrambi i punti sono
accertati al di là di ogni possibile dubbio (vedi un po’ di riferimenti in
nota).
Il primo punto elimina alla radice la presunzione di dover “tenere alla
larga” il non inoculato in quanto potenzialmente lesivo (in effetti non godendo
della protezione del farmaco il non inoculato è più facilmente la parte lesa.)
Il secondo punto fornisce ragioni per lasciare agli individui il compito di
soppesare pro e contro dell’inoculazione - per sé o per le persone su cui si
esercita la podestà - in quanto non ci sono da considerare solo benefici.
Sotto condizioni di ragionevolezza la discussione si sarebbe dovuta
concludere qua, anzi non sarebbe neanche dovuta nascere.
Ma la scelta fatta dal governo è stata diversa. Nella crescente
incredulità di chi ha seguito dall’inizio quella scelta all’opposizione, il
governo è andato avanti in perfetta impermeabilità come un rullo compressore.
Perché lo ha fatto? Due opzioni sembrano possibili.
A) Se l’idea era quella di creare un’astuta forma di obbligo mascherato a
vaccinarsi senza assumersene la responsabilità, in tal caso possiamo
pacificamente concludere che il governo ha fatto un disastro, irrigidendo le
posizioni di chi non voleva cedere a un ricatto, esasperando il clima sociale,
danneggiando l’economia, e riuscendo nel suo intento principalmente verso chi
era inutile vaccinare, cioè le fasce giovanili – desiderose di una qualche
normalità. Una catastrofe. Se questo era il governo dei competenti, la fantasia
non basta ad immaginare gli incompetenti.
B) In alternativa il Green Pass non sarebbe stato inteso mai con finalità
sanitarie ma principalmente come forma di controllo sociale destinata a durare;
esso opera già in effetti una selezione tra ‘concilianti’ e ‘contestatori’, e
con piccoli aggiornamenti funzionali può divenire uno strumento di sorveglianza
e condizionamento potentissimo (una volta introdotta la pratica sociale,
qualunque ‘buona ragione’ approvata dal governo può divenire criterio per
sospendere elementari diritti di vita associata, emarginando il dissenziente).
Questo scenario è più machiavellico, ma molto più coerente con il comportamento
effettivo del governo.
Quale sia lo scenario effettivo personalmente non lo so. Potrebbe di
principio anche essere una combinazione dei due (per alcuni, i più sprovveduti
tra i nostri governanti, varrebbe la prima motivazione, mentre altri, giovandosi
della loro dabbenaggine, starebbero mettendo in campo un’agenda di più ampio
respiro).
Ma questo quadro manca di un aspetto più radicale, profondo, e duraturo, un
aspetto che non è chiaro se sia stato previsto neppure sotto l’ipotesi più
malevola.
Che sia accaduto per caso o che sia stato preparato, di fatto questa
crisi ha portato in luce qualcosa che prima era inapparente: un allineamento di
tutti i ‘poteri’ nazionali, inquadrati a sostegno di un unico progetto, di cui
il GP è un tassello. Governo, Parlamento e Confindustria,
multinazionali farmaceutiche e multinazionali del digitale, sistema mediatico e
magistratura, tutti i poteri che contano si trovano in una sorta di armonioso
allineamento planetario, concorde nel rigettare ogni forma di resistenza
all’imposizione di questa “cittadinanza per i meritevoli”.
Certo, in ciascuno di questi ambiti ci sono singoli individui che sfuggono
dal flusso principale, ma il loro impatto è irrilevante.
Ora, è importante comprendere quale sia il quadro che viene percepito da
chi contesta il GP, perché esso è inedito e sconcertante, e si presenta con
questi tratti:
• Si assiste ad un governo che, nonostante (o forse proprio per) la
sempre minore rappresentatività democratica delle forze che lo compongono, si
accoda obbediente alle volontà di un “uomo della provvidenza”, un tecnico
sostenuto dai vertici UE, incoronato dai media come l’Ultima Spiaggia, l’ultima
occasione di redenzione di un paese immeritevole. Il governo procede per
decreti, senza nessuna opposizione degna di nota, attuando un programma
definito dalle condizionalità del PNRR che nessuno ha mai discusso o spiegato,
figuriamoci sottoposto al voto.
Simultaneamente Confindustria utilizza i sindacati nazionali come
stuoino, imponendosi come unico interlocutore effettivo del capo del governo.
• Il sistema sanitario, snodo fondamentale nella recente vicenda
pandemica, ne esce stremato e ulteriormente ridotto nella sua dimensione
pubblica. Dopo gli innumerevoli cicli di ‘razionalizzazione’ passata, ora
si trova di fronte ad una parziale privatizzazione di fatto, per manifesta
incapacità di far fronte alle liste d’attesa, mentre il problema pandemico
viene consegnato ad una soluzione ‘cost-effective’ come la vaccinazione di
massa, che non lascia tracce strutturali nel SSN. Il meccanismo della
vaccinazione di massa si presenta come un modo per rendere abile e arruolata
una parte maggioritaria della popolazione, costi quel che costi, attraverso
un’operazione che trasferisce risorse dallo stato alle case farmaceutiche, senza
rinforzare un sistema terapeutico pubblico.
In questo contesto si è ‘scoperta’ anche l’influenza straordinaria
dell’industria farmaceutica, da cui una medicina sempre più affidata a
finanziamenti privati, anche e soprattutto sul piano della ricerca, dipende
oramai in modo preponderante. In questo contesto si sono viste pressioni,
denunce, sanzioni mai viste prima, verso quella minoranza di medici che si è
opposto alla narrativa pandemica dominante e a protocolli di cura fallimentari (e
che siano fallimentari non è opinabile, avendo l’Italia i peggiori dati di
letalità Covid al mondo). Nonostante quasi due anni di balletti imbarazzanti,
di dichiarazioni e smentite e giravolte, gli organismi sanitari alle dipendenze
del governo esigono l’assoluta acquiescenza dell’intero comparto sanitario.
Questa obbedienza letteralmente perinde ac cadaver è stata
richiesta da chi nel corso di un anno ha sostenuto: immunità di gregge con il
70% di vaccinati, anzi no con l’80%, anzi no obiettivo impossibile; efficacia
dei vaccini al 97%, anzi al 67%; copertura dei medesimi di 6, anzi 9, anzi 12,
o forse 3-4 mesi; loro conservabilità a meno 80°, anzi no anche in un frigo
normale; loro scadenza estendibile di 3 mesi che manco lo yogurt; inoculazioni
di cocktail di vaccini diversi mai sperimentati insieme, che mia zia ha detto
che fan benissimo; protocolli sanitari congelati per mesi su ‘tachipirina e
vigile attesa’, senza considerare nessun trattamento con farmaci riconvertiti
(ampiamente usati all’estero); ecc. ecc. E sulla base di questa performance
cristallina poi li vediamo minacciare di radiazione, sanzioni o morte
professionale chiunque non si allinei con posizioni che - del tutto
incidentalmente ça va sans dire - sono le più gradite alle multinazionali del
farmaco.
• Nel frattempo, l’altro grande vincente del periodo Covid accanto
all’industria farmaceutica, cioè le multinazionali che manovrano le
reti di comunicazione telematica scatenano presunte “cacce alle fake news”
manipolando i motori di ricerca, bloccando siti sgraditi con la più completa
opacità sui criteri, reindirizzando ricerche di informazioni a fonti
governative, cambiando gli algoritmi di diffusione e condivisione in modo da
ridurre lo spazio a tesi ritenute improvvide, facendosi insomma garanti
privati della verità pubblica da loro insindacabilmente dichiarata tale.
Accadono così cose paradossali, come il fatto che la semplice menzione del sito
VAERS (Vaccine Adverse Event Reporting System: il sito americano ufficiale per
i rapporti sugli eventi avversi da vaccinazione) possa comportare la
sospensione di una pagina sui social. (E questo mentre, all’insegna della
massima trasparenza, l’Aifa decide di non fornire più i dati nazionali sugli
eventi avversi con cadenza mensile, ma solo trimestrale.)
• Infine, ma più importante di tutti, il ruolo dei media di portata
nazionale, giornali e televisioni, che hanno fatto a gara nell’omettere,
distorcere e manipolare ogni informazione che potesse in qualche modo
minacciare la narrazione governativa. Nella quasi totalità i giornali, che
hanno perso negli ultimi quindici anni due terzi dei lettori, oramai fanno da
mera cassa di risonanza retorica delle opinioni di direttori che sono
emanazioni dirette del grande capitale. Non parliamo delle televisioni di
portata nazionale. Chi si è ritrovato in questo periodo dalla parte “sbagliata”
della barricata ha visto continuamente, ogni giorno, sistematicamente distorte
od omesse tutte le informazioni rilevanti per capire qualcosa della protesta
nel paese e delle sue motivazioni. Mentre si potevano vedere trasmesse (su
canali alternativi e privati) manifestazioni estese, partecipate, reiterate, in
tutte le città italiane, queste venivano trasformate televisivamente in nulla,
salvo quando occasionalmente c’era un tafferuglio da stigmatizzare. Si è
assistito a ondate martellanti di trasmissioni di “approfondimento” (Dio li
perdoni) dove una vittima sacrificale (eterodossa) era chiamata a fare da
bersaglio per le tirate bullistiche e ignoranti di veri e propri plotoni di
esecuzione mediatica. E quando non si poteva tacere si è proceduto con metodici
atti di character assassination nei confronti dei dissenzienti più autorevoli.
Ecco, il risultato di questo processo, per la parte di popolazione, non
piccola, che l’ha vissuto è molto semplice.
Si è compreso, si è capito nel modo più diretto ed intuitivo che la propria
collocazione di liberi cittadini in una democrazia è oggi sostanzialmente
illusoria.
Se e nella misura in cui le nostre azioni e opinioni sono funzionali a
specifici interessi (nella fattispecie gli interessi di autoriproduzione del
capitale implementati dallo stato neoliberale) possiamo avere una qualche
voce, ma nella misura in cui ciò non accada possiamo essere ridotti in un
istante alla più perfetta impotenza politica, sociale e culturale.
La rappresentanza democratica è inesistente, giacché le opzioni
politiche tra cui possiamo effettivamente scegliere sono solo varianti
cromatiche del Partito Unico Neoliberale.
Tutti i diritti acquisiti, tutte le pretese costituzionali ci possono
essere sottratti in un momento senza colpo ferire. Le nostre ragioni
possono essere silenziate e spezzate.
Per fare tutto ciò non c’è nessun bisogno di modificare formalmente il
funzionamento dello Stato e delle istituzioni, non c’è bisogno di sospendere le
elezioni, né di chiudere i sindacati o i giornali, non c’è bisogno di inviare
squadracce punitive. Niente di tutto questo. Tutto è già predisposto a poter
produrre gli stessi effetti di quegli interventi roboanti e onerosi con
modalità quiete e pressoché inavvertite ai più.
Ecco, ed è a questo punto che - nella mia esperienza per la prima volta -
l’invocazione di piazza alla “libertà” acquista un senso chiaro e
condivisibile. “Libertà” è di per sé termine generico e ambiguo come pochi, e
la sua invocazione in forma di slogan, come ogni slogan, è affetto da una
costitutiva astrattezza che lo può rendere buono per mille usi, anche
discutibili. È discutibile l’idea di libertà come arbitrio (“faccio quel che mi
pare”), è assai discutibile l’idea di libertà liberale (“faccio gli affari
miei, non interferite cascasse il mondo”), ma nessuno di questi significati è
qui in discussione.
In questo momento, in questo contesto, l’appello puro e semplice
alla “Libertà” acquista un significato potente e indispensabile: è sia la
libertà personale di autodeterminazione, sia la libertà come partecipazione
democratica, entrambe ora calpestate e obliterate.
L’appello elementare alla “libertà” ora appare come qualcosa di eloquente,
non perché abbia dietro una chiara elaborazione, ma perché il contesto ne
chiarifica il senso: in una situazione che mostra la possibilità già in atto di
mettere a tacere ogni istanza pubblica sgradita, in una realtà che evidenzia la
capacità di un blocco di interessi consolidati di plasmare il giudizio pubblico
e di guidare questo simulacro di democrazia in qualunque direzione desideri, in
questo contesto chiedere “libertà” significa dare voce a una richiesta di senso
che è innanzitutto umana, necessaria e preliminare ad ogni altra.
QUI per consultare la bibliografia
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