Il mito racconta di Teseo che abbandona Arianna dopo
che questa gli ha fornito il mezzo per uscire dal labirinto del Minotauro. Una
meschinità che mal si attaglia alla figura di un eroe; e mal si attaglia alla
logica della vicenda. Probabilmente, leggo, qualcosa del racconto originario è
andato perduto, da cui incompletezza e incoerenza della narrazione. O forse,
più probabilmente, dico io, coloro che ne hanno perpetuato le vicende non sono
andati per il sottile, contentandosi di esporre l’aspetto più significativo del
mito, che poi è la ragione per cui è stato creato: Teseo, simbolo del processo
(senza fine?) della civilizzazione umana; e posto poca attenzione alla
evoluzione del personaggio e alla congruenza degli esiti finali. È
significativa per altro la mancata correzione delle discrepanze nel corso dei
molti secoli che sono seguiti.
1
Teseo, a parte la adesione del personaggio con l’uomo
o gli uomini o gli avvenimenti che hanno fornito lo spunto per la narrazione, è
dato per far emergere alla coscienza dell’umanità (della grecità) la esigenza
di effettuare un passo in avanti nel processo di civilizzazione avviato. Teseo
è anche la premessa (una delle tante) alla invenzione della letteratura.
Il suo è un viaggio simbolico nella psiche, in
un’avventura che non è rivolta a edificare un determinato tipo umano, ma tutti
gli uomini. Cioè un messaggio all’Umanità. Esso pone la necessità che venga
posta una distanza maggiore tra gli individui e la loro parte istintuale.
L’orribile Minotauro (simbolo) occorre sia soppresso, affinché le
contraddizioni di una umanità appena uscita dallo “stato di natura”, non
distruggano il quanto di civiltà guadagnato.
Compito dell’intera umanità, dunque; all’interno della
divisione dei compiti stabilita; e dentro gli obblighi che donne e uomini
condividono e ai quali devono ottemperare in quanto se li sono dati.
L’azione di uccidere il Minotauro è affidato all’uomo
in quanto, per convenzione ammessa e praticata, l’uomo difende, la donna guida
e sostiene. Ma il ruolo di Arianna (prudenza, accortezza, preveggenza), parte
integrante del mito, è molto più ampio. Nei propri viaggi l’uomo è sempre in
procinto di perdersi. Per ideologia non tiene sufficientemente a bada i propri
“istinti”. Egli definisce tali “istinti”, le autoindulgenze che, in quanto
genere dominante, si è concesso il lusso di affermare. Nei viaggi per i mondi
della psiche, della realtà e dell’oggettività, su e giù per i deserti che
occorre attraversare e i pericoli in cui si imbatte – la vita è pericolosa,
affermava Guimaraes Rosa – il ritorno a casa (Ulisse) è l’elemento che permette
alle storie di essere, di coinvolgere le persone e avere cittadinanza nella
loro coscienza. Il ritorno a casa, al focolare, alla donna… ma come partire (e
riuscire a tornare) senza una guida, un indirizzo che determini la possibilità
del ritorno? La spada di Teseo, la forza, la determinazione, il trascinare sé
stesso (ed altri) oltre il limite (o anche solo di restare nel limite delle
enormi fatiche quotidiane), presuppone l’esistenza di un filo che gli permetta
di orientarsi nel labirinto della vita. L’uomo spacca, ruba, uccide, compie
grandi imprese, ma a quel filo è legato, pena la sopravvivenza. Permettetemi
allora di chiosare me stesso affermando che l’uomo può essere leader, la donna
è sempre dirigente.
Ho detto del ruolo di Teseo nell’invenzione della
letteratura. In particolare nell’invenzione di quella tendenza al fantastico,
prevalente nei suoi primi passi, la cui pratica nei tempi moderni diventerà
letteratura di fantascienza. Accanto a Teseo bisogna poi porre almeno un altro
mito, molto più noto e coerente: quello di Ulisse.
Nota: Pongo a tutti una domanda: Ulisse è
forte di suo, oppure è forte anche della forza morale presa in prestito da
Penelope? la quale, debole donna, tiene a bada per anni una turba di ambiziosi
che non hanno nemmeno iniziato a fare i conti con il proprio personale
Minotauro… È la sua resistenza che rende possibile il trionfo finale di
Odisseo.
Ambedue i miti essendo avventura, sogno, speculazione
e senso delle storie (del succedersi di eventi che sintetizzano sovrastano e spiegano la
quotidianità, attraverso l’espressione del senso ultimo delle cose). Ambedue
avviano una tradizione che continua nei millenni per arrivare all’oggi. A volte
rispettando i canoni dell’Accademia, a volte scendendo a livello delle osterie
(vedi fantascienza degli anni ’20) differenziandosi esclusivamente per il
linguaggio, o non differenziandosi (dall’Accademia) quando è un buon scrittore
a trattare l’argomento. L’esempio che più mi piace porgere è il Dante
della Commedia, che porta al livello più alto i racconti che sugli
inferni circolavano liberamente nel medioevo: prima, ma anche dopo la
condensazione del grande poema. Sul piano della fantascienza per chiarire
ulteriormente ritengo basterebbe il nome Dick. Non bastando (San Tommaso
essendo non unico nella storia) aggiungo quelli di Vonnegut, Orwell, Ballard,
Brunner, Lem, Sturgeon (e altri).
Per ottenere il risultato della nascita del letterario
– e per inciso: della nascita dello scientifico – occorre che il mito,
strumento esclusivo delle origini per mediare il rapporto uomo/natura, si
divida; si scinda e diventi scienza e diventi arte. Questa divisione, lo
sappiamo, ha avuto luogo; si è affermata ed è durata: ne siamo la prova, ha
prodotto tutti noi qui, quei pochi, che allegramente considerano; nonché tutti
coloro (i più) che non scrivono e non leggono e non considerano. Una divisione
la cui peculiarità è simile a quella dei “separati in casa”. Mito, scienze e
arti continuano, nel mentre cercano stabilire una lontananza, a procedere
nutrendosi reciprocamente, fino ai tempi moderni, quando la scienza ingaggerà
una lotta titanica con la Chiesa per emanciparsi radicalmente (ma non
definitivamente) dai residui mitici che la abitano (nella forma dell’ideologia
o di quella che alcuni, più colti di me, definiscono “metafisica influente”);
mentre le arti, attraverso l’evoluzione delle forme, stabiliscono regole
che dovrebbero difenderla dal mito (necessariamente lo
includono: lo includono a mezzo degli archetipi che continuano nell’Uomo); ma
che in realtà l’avvicinano alle scienze, quali forme di conoscenza del mondo;
dalle quali però si allontanano centrate come sono (sempre più) sulla
rappresentazione della condizione umana, la cui oggettività risiede nella
soggettività di una sfera del razionale che attiene all’intuizione, alla
percezione, al sentimento. Tale doppia tendenza è unificata dal cinema. Non
solo e non tanto perché usufruisce della tecnologia per farsi, ma in quanto,
uguale alla scienza, ritaglia dall’oggettività i dati utili ai propri fini,
fini che però mai esplicita. Non è arbitrio allora affermare che le arti
parlano a nuora affinché suocera intenda. Mentre la scienza, con sincera ed
inevitabile intenzione, parla direttamente sia all’una che all’altra.
2
Ma noi qui ci siamo distratti dallo scopo dichiarato.
Ci siamo distratti a causa della necessità dell’autore di spiegare e spiegarsi;
e per necessità del lettore di essere fornito di strumenti per intendere e
volere ben oltre i limiti ufficiali di quel che è ammesso egli sappia.
Perciò torniamo alla tesi con la quale è stata avviata
la riflessione: che Teseo è l’inizio (probabilmente un ennesimo inizio, il più
chiaro e incontrovertibile) della presa d’atto della necessità d’una rottura
(sempre più radicale) con il dominio della parte animalesca di sé stesso;
rottura che non può essere effetto di un atto o più atti di volontà, ma occorre
diventi una presa d’atto culturale che spinga incessantemente in direzione del
dominio dell’uomo sull’animale.
Ecco perché (un secondo perché) azzardo l’ipotesi che
Teseo rappresenti l’effettivo inizio della letteratura. La letteratura è
rappresentazione, indagine sullo stato profondo delle cose, sulle problematiche
umane e sull’uomo. Teseo è tutto questo, nella forma di un mito che inizia a
guardarsi per scoprirsi, scoprire in quale mondo vive, quali i pericoli, quali
i ritardi, quali le aspirazioni per il futuro. L’uccisione del Minotauro è
tutto questo e anche più: è la presa di distanza da un uomo ancora troppo poco
convinto dal suo voler essere Umano; inconsapevole del rapporto alienato con il
femminile, ma dalla cui alienazione avverte il disagio e che già comincia a
sospettare di doverci mettere le mani. È il plateale, quasi retorico,
riconoscimento del ruolo delle donne nella emancipazione del genere uomo e
nella emancipazione dell’insieme umano-sociale.
Il filo d’Arianna è molto più di un forte espediente
narrativo, una sorta di deus ex-machina cosmico per permettere la soluzione di
un evento altrimenti impossibile. È la rappresentazione del bisogno sociale,
promosso su iniziativa delle donne e non solo delle donne, di sottrarsi al
dispotismo del Minotauro, che muove gli uomini e ne è la giustificazione. Il
filo di Arianna implica qualcosa in più, qualcosa di non banale, del processo
di emancipazione dell’Umanità. È il nodo dei nodi: il rapporto tra maschile e
femminile, il rapporto dell’uomo con il mondo e il rapporto con sé stesso. Il
racconto dell’uccisione del Minotauro costituisce una specie di proposta di
svolta, o meglio la condizione necessaria affinché la svolta abbia luogo.
Seconda nota: Arianna fornisce all’eroe – che parte
alla caccia di sé stesso o del mammut o della tigre dai denti di sciabola
(smilodonte) – lo strumento che rende possibile il ritorno. Si tratta di un
“rifornimento” con il quale il femminile alimenta costantemente il maschile. La
donna è la meta e lo scopo (e viceversa). E però con una sostanziale
differenza. Che la donna lavora per migliorare l’ambiente umano sociale, lavora
per avere compagni migliori (lavora per gli uomini, dunque, mentre lavora per
sé stessa); e l’uomo (salvo numerose edificanti eccezioni) lavora per mantenere
la donna nella condizione in cui la trova e si trova.
Gli uomini si estrinsecano nel materiale o
nell’ideale, inventano, scoprono, compongono: cose mirabili sono state offerte
da loro in diecimila anni di evoluzione; ma è il sentire della madre e l’amore
della madre (per fortuna presente in piccola parte anche negli uomini) che
invita alla ricerca di mete più alte e convincenti. Che fornisce gli operatori
artistici il materiale sul quale lavorano. Teseo, in un certo senso, al netto
di tante sue contradizioni, non è altro che il prolungamento travestito della
sensibilità di Arianna, guida nei processi di liberazione dalle ristrettezze
materiali e dal peso di sé stessi, dall’ostacolo del buco nero interiore che
finora ci ha impedito di salire per “riveder le stelle”.
L’oppressione attuale del capitale può avere luogo in
quanto insiste questo buco nero (violenza, sopraffazione, ferocia, egoismo,
sottovalutazione del femminile ecc.); invisibile debolezza culturale concausa
del presente stato di universale oppressione.
Nessun commento:
Posta un commento