“Non si può lavorare con chi come Frontex respinge,
fomenta xenofobia, uccide”, denuncia il professor Michele Lancione. Una presa
di posizione pubblica che rompe il silenzio interno al Politecnico di Torino
dopo l’accordo con l’agenzia Frontex per la produzione di mappe e cartografie.
C’è un altro modo di pensare e vivere l’accademia
Con un’inchiesta pubblicata il 20 ottobre 2021
Altreconomia dava notizia della collaborazione tra il Politecnico
di Torino e Frontex. Un bando da quattro milioni di euro per la
produzione di mappe e infografiche necessarie “per supportare le attività”
dell’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Iniziative che,
spesso, si traducono nella violazione sistematica del diritto d’asilo.
Nonostante questo, fonti del Politecnico hanno dichiarato di “non essere a
conoscenza dell’utilizzo dei dati e dei servizi prodotti”. Pubblichiamo di
seguito una nota di risposta al nostro articolo inviata alla redazione da
Michele Lancione, professore ordinario di Geografia politico-economica (lr).
“Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era
pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.
Hannah Arendt
Sono un accademico del Dipartimento Interateneo di
Scienze, Progetto e Politiche del Territorio (DIST) del Politecnico e
dell’Università di Torino. Scrivo questo testo per dissociarmi pubblicamente
dall’accordo siglato tra il mio Dipartimento, il Politecnico di Torino, Ithaca
Srl e Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera.
Come evidenzia l’articolo pubblicato da Altreconomia,
l’accordo, che prevede la produzione di cartografia presso i laboratori del mio
dipartimento su commissione di Frontex, è stato annunciato il giorno 14 luglio
2021, con comunicato stampa. Nel comunicato, si afferma che DIST e
Ithaca saranno coinvolti nella “produzione di cartografia digitale,
mappe di infografica e map book utili all’attività dell’Agenzia”. A
livello intellettuale e umano, non mi sento rappresentato dalla posizione
dell’istituzione per cui lavoro, che ha scelto di definire l’accordo con
Frontex come un progetto che “si inquadra perfettamente nell’obiettivo
strategico del Dipartimento”. La questione non è solo personale, ma politica.
L’Agenzia europea della guardia di frontiera e
costiera è stata accusata a più riprese -da Ong, attivisti e agenzie
internazionali- di essere direttamente coinvolta nei violenti respingimenti di
migranti alle frontiere europee. Il più noto è il caso greco, ora discusso presso
la Corte europea di giustizia, dove non solo
si ha la certezza dell’illegalità dei respingimenti forzati operati
dell’Agenzia, ma anche del ruolo della stessa nel distruggere documenti che
evidenziano l’uso illegale della forza per respingere i rifugiati verso la
Turchia. Questo episodio è solo l’apice di una strategia operata dell’Unione
europea, attraverso Frontex, per la gestione dei confini comunitari attraverso
principi espulsivi, razzializzanti e letali per coloro che si spostano per
cercare protezione nel continente.
Come accademico critico e cittadino impegnato in primo
piano, attraverso il privilegio della mia posizione, nel comprendere e nel
combattere le violente politiche di creazione ed espulsione “dell’altro” che
governano l’approccio europeo nella gestione della “questione migrante”, ho
fatto tutto quello che era in mio potere per sottolineare la gravità di questo
accordo tra un’università pubblica -il mio dipartimento- e Frontex. Con alcuni
colleghi mi sono mobilitato, sin dal 14 luglio (giorno in cui sono venuto a
conoscenza dell’accordo) per questionare quanto deciso. Abbiamo preso voce nel
Consiglio di Dipartimento, in cui l’accordo è stato presentato, ponendo la
gravità della decisone presa. Abbiamo poi lavorato per comprendere se fosse
possibile annullare l’appalto. Abbiamo anche chiesto che tale attività non venisse
svolta in nome di tutto il dipartimento, ma che i singoli coinvolti se ne
prendessero il peso e la responsabilità. Su tutti i fronti, le risposte sono
state negative: se non offerte di dialogo, discussione, bilanciamenti. Ma
questo non basta.
Il problema qui non è solo nel tipo di dato che Ithaca
e il mio Dipartimento forniranno a Frontex. I ricercatori coinvolti nel
progetto dicono che si tratti di dati open source, innocui. Posto
che nessun dato è mai innocuo, la questione sta nel prestare il proprio nome
-individuale e istituzionale- alla legittimazione dell’operato di una agenzia
come Frontex. Perché quello si fa, quando si collabora: si aiuta l’apparato
violento e espulsivo dell’Unione europea a legittimarsi, a rivestirsi di
oggettività scientifica, a ridurre tutto a una questione tecnica che riproduce
il suo male riducendolo a un passaggio di carte tra mani. In Europa la storia
dovrebbe averci insegnato qualcosa in tal senso, ma chiaramente non abbiamo
imparato nulla.
Il dipartimento ha scelto di continuare l’accordo,
invitando il sottoscritto e alcun* collegh* che hanno espresso riserve a
contribuire al suo sviluppo evidenziando gli aspetti problematici dell’attività
di Frontex. Ha inoltre deciso di non rappresentare pubblicamente il nostro
dissenso, preferendo la linea del silenzio, che è anche quella del Politecnico.
Io credo però non sia possibile lavorare con chi come
Frontex respinge, fomenta xenofobia, uccide. Con questo testo mi dissocio
dall’accordo e rinnovo allo stesso momento il mio impegno verso i miei
student*, collegh* e partner che troveranno sempre, nel mio
dipartimento e al Politecnico di Torino, strumenti e spazi per la critica,
quella vera, che richiede un posizionamento chiaro: non a fianco di Frontex.
Michele Lancione, professore ordinario di Geografia
politico-economica (michele.lancione@polito.it)
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