(a cura di Bruno
Patierno)
Continuiamo
la pubblicazione su People For Planet di contributi sul “dopo coronavirus”
inaugurata con “Aspettiamo il dopo, in agguato
come la tigre” e vi presentiamo alcuni stralci di un importante
contributo pubblicato dalla rivista Civiltà Cattolica a
firma di Gaël Giraud, economista francese specializzato in
economia matematica, gesuita, già capo economista dell’Agenzia francese per lo
sviluppo. Insegna teoria dei giochi ed economia matematica all’Università
di Parigi 1 Panthéon-Sorbonne, alla Facoltà di Economia e Management di
Strasburgo e all’Università di Hanoi in Vietnam.
Il sistema
sanitario occidentale e la pandemia
La posizione
di molti specialisti di salute pubblica è coerente su un punto: la pandemia
Covid-19 sarebbe dovuta rimanere una epidemia più virale e letale dell’influenza
stagionale, con effetti lievi sulla grande maggioranza della popolazione, e
molto seri solo su una piccola frazione di essa.
Invece – se
consideriamo in particolare alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti – lo smantellamento
del sistema sanitario pubblico ha trasformato questo virus in una
catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità e in una minaccia per
l’insieme dei nostri sistemi economici.
Prevenire eventi come una pandemia non è
redditizio a breve termine. Pertanto, non ci siamo premuniti né di mascherine
né di test da eseguire massicciamente. E abbiamo ridotto la nostra capacità
ospedaliera in nome dell’ideologia dello smantellamento del servizio
pubblico, che ora si mostra per quella che è: un’ideologia che uccide.
Non avendo mai aderito a tale ideologia, e forti dell’esperienza dell’epidemia
di Sars del 2002, Paesi come la Corea del Sud e Taiwan hanno
predisposto un sistema di prevenzione estremamente efficace: lo screening sistematico
e il tracciamento, puntando alla quarantena e alla collaborazione della
popolazione adeguatamente informata e istruita. Nessun confinamento. Il danno
economico risulta trascurabile.
Invece
dello screening sistematico, noi occidentali abbiamo adottato
una strategia antica, quella del confinamento, a fronte di una
frazione esigua di infetti, e di una parte ancora più piccola tra questi che
potrebbe avere gravi complicazioni.
Il ritorno
dello Stato sociale
La salute di
tutti dipende dalla salute di ciascuno. Siamo tutti connessi in
una relazione di interdipendenza. E questa pandemia non è affatto l’ultima, la
«grande peste» che non tornerà per un altro secolo, al contrario: il riscaldamento
globale promette la moltiplicazione delle pandemie tropicali,
come affermano la Banca Mondiale e l’Intergovernmental Panel on Climate
Change (Ipcc) da anni. E ci saranno altri coronavirus.
Senza
un efficiente servizio sanitario pubblico, che consenta di
selezionare e curare tutti, non esiste più alcun sistema produttivo praticabile
durante un’epidemia da coronavirus.
Come uscire
dall’isolamento?
Il
confinamento rallenta efficacemente la diffusione del virus e – ripetiamolo –,
in assenza di un sistema di screening, rimane la strategia
meno negativa a breve termine. Tuttavia, se ci fermiamo a esso,
diventa inutile: se usciamo dal confinamento, diciamo, tra un mese,
il virus sarà ancora in circolazione e causerà gli stessi decessi di
quelli che avrebbe causato oggi in assenza di contenimento.
Attendere,
attraverso l’isolamento, che la popolazione si immunizzi – più o meno, la
stessa strategia inizialmente proposta da Johnson, ma «a casa» – richiederebbe
mesi di confinamento. Tuttavia, affinché l’immunizzazione collettiva
porti R0 al di sotto di 1, è necessario immunizzare circa il 50% della
popolazione, cosa che – dato il tempo medio di incubazione (5 giorni) –
richiederebbe probabilmente più di 5 mesi di reclusione, se ipotizziamo
che ci sia oggi un milione di infetti. Un’opzione insostenibile in
termini economici, sociali e psicologici. È l’intero sistema di produzione dei
nostri Paesi che collasserebbe, a partire dal nostro sistema bancario, che è
estremamente fragile.
È quindi
necessario organizzare una «prima» liberazione dal
contenimento, al più tardi tra qualche settimana. Prendere questo rischio
collettivamente ha senso però solo a una condizione: applicare,
questa volta, la strategia adottata in Corea del Sud e a Taiwan con il massimo
rigore. Il tempo che stiamo guadagnando chiudendoci in casa dovrebbe servire
per:
- riportare R0 (che probabilmente
era circa 3 all’inizio del contagio) il più vicino possibile a 1;
- incoraggiare la riconversione di
alcuni settori economici, per produrre in serie i ventilatori polmonari di
cui ora hanno bisogno le terapie intensive per salvare vite umane;
- consentire ai laboratori
occidentali di produrre subito apparecchiature e materiali
di screening, mentre si organizzano per realizzare in
poche settimane il sistema necessario. Al momento ci sono due enzimi, in
particolare, le cui scorte sono molto insufficienti, e quindi limitano la
nostra capacità di effettuare screening;
- produrre le mascherine
di protezione, essenziali per frenare la diffusione del virus quando
lasciamo la nostra casa.
Se porremo
fine al nostro confinamento collettivo quando i nostri mezzi di rilevazione non
saranno pronti o mancheranno le mascherine, correremo nuovamente il rischio di
una tragedia. Sfortunatamente, oggi è impossibile misurare R0. Pertanto,
dobbiamo attendere fino a quando non saremo organizzati per lo screening e
pianificare l’uscita ordinata dalla quarantena il più rapidamente possibile.
Cosa
succederà a quel punto? Coloro che vengono «liberati» devono essere
sottoposti a screening sistematico e indossare le mascherine
per diverse settimane. Altrimenti, l’uscita dal confinamento avrà un esito
peggiore di quello dell’inizio della pandemia. Coloro che sono ancora positivi
verranno quindi messi in quarantena, insieme al loro entourage.
Altri possono andare a lavorare o riposare altrove. I test dovranno continuare
per tutta l’estate per essere sicuri che il virus è stato
sradicato all’arrivo dell’autunno.
La salute
come bene comune globale
Benvenuti in
un mondo limitato! Per anni, i miliardi spesi per il marketing ci
hanno fatto pensare al nostro pianeta come a un gigantesco supermercato,
in cui tutto è a nostra disposizione a tempo indeterminato. Ora proviamo
brutalmente il senso della privazione. È molto difficile per
alcuni, ma può essere un’occasione di risparmio.
D’altra
parte, anche un certo romanticismo «collapsologico» sarà rapidamente mitigato
dalla percezione concreta di cosa implichi, nell’attuale situazione, la brutale
difficoltà dell’economia: disoccupazione, bancarotta, esistenze spezzate,
morte.
Sulla scia
dell’enciclica Laudato si’ di papa Francesco, vogliamo sperare
che questa pandemia sia un’opportunità per indirizzare le nostre vite e le
nostre istituzioni verso una felice sobrietà e verso il rispetto per la
finitudine del nostro mondo. Il momento è decisivo: si può temere quella che
Naomi Klein ha definito la «strategia dello shock». Alcuni governi
non devono, con il pretesto di sostenere le imprese, indebolire ulteriormente
i diritti dei lavoratori; o, per rafforzare ulteriormente la
sorveglianza della polizia sulle popolazioni, ridurre
permanentemente le libertà personali.
Nel
frattempo, come si salva l’economia?
Proviamo a
ipotizzare in questa situazione alcune possibili scelte di politica economica:
- Iniettare liquidità
nell’economia reale. Alcuni economisti tedeschi prevedono un calo
del Pil in Germania del 9% nel 2020. Il dato è ragionevole e ci
sono pochi motivi per cui le cose possano andare diversamente in Francia
e, anche peggio, in Italia, Inghilterra, Svizzera e Paesi Bassi. Ciò
dovrebbe indurre Germania e Olanda – i fautori della convinzione secondo
la quale una maggiore austerità di bilancio aggiusta l’economia, mentre la
macroeconomia più elementare dimostra il contrario – a rivedere i loro
dogmi, se ancora l’escalation di vittime nei rispettivi Paesi
non bastasse a far loro aprire gli occhi.
Negli Stati Uniti, Donald Trump e il suo segretario al Tesoro Steven Mnuchin propongono al Congresso di distribuire un assegno di 1.200 dollari a ciascun cittadino statunitense. Possiamo anche vedere nell’iniziativa dell’amministrazione Trump l’abbozzo di un reddito minimo universale per tutti. Una proposta che è stata avanzata da molti per lungo tempo. - Creare posti di lavoro. Tuttavia, le iniziative appena
menzionate sono insufficienti. È necessario comprendere che il sistema di
produzione occidentale è, o sarà, parzialmente bloccato. Solo lo Stato può creare nuovi
posti di lavoro capaci di assorbire la massa di dipendenti che,
quando usciranno finalmente di casa, scopriranno di aver perso il lavoro.
Naturalmente, affinché ciò abbia un senso, dobbiamo seriamente pensare al
tipo di settori industriali per i quali vogliamo favorire l’uscita dal
tunnel. Questo discernimento dev’essere fatto in ciascun Paese, alla luce
delle caratteristiche specifiche di ciascun tessuto economico.
È quindi legittimo e indispensabile che gli Stati occidentali utilizzino una spesa in deficit per finanziare lo sforzo di ricostruzione del sistema produttivo che sarà necessario alla fine di questo lungo parto. Ovviamente, il loro debito pubblico aumenterà. Ricordiamo che, durante la Seconda guerra mondiale, il deficit pubblico degli Stati Uniti raggiunse il 20% del Pil per diversi anni consecutivi. Ma il deficit sarebbe molto più grande in assenza di ingenti spese da parte dello Stato per salvare l’economia.
Possiamo anche notare che il piano di aggiustamento strutturale imposto alla Grecia alcuni anni orsono è stato assolutamente inutile: il rapporto debito pubblico/Pil di Atene ha raggiunto nel 2019 gli stessi livelli del 2010. In altre parole, l’austerità uccide – lo vediamo bene coi nostri occhi in questo momento, nei nostri reparti di rianimazione –, ma non risolve alcun problema macroeconomico.
Ricostruire
e salvare la democrazia
È urgente
capire che la pandemia Covid-19 è una delle inevitabili conseguenze
dell’Antropocene. La distruzione dell’ambiente che la nostra
economia estrattiva ha esercitato per oltre un secolo ha una radice comune con
questa pandemia: siamo diventati la specie dominante sulla Terra, e quindi
siamo in grado di spezzare le catene alimentari di tutti gli altri animali, ma
siamo anche il miglior veicolo per gli elementi patogeni.
In termini
di evoluzione biologica, per un virus è molto più «efficace» infettare
gli esseri umani che la renna artica, già in pericolo a causa del
riscaldamento globale. È soprattutto la distruzione della biodiversità, in cui
siamo da tempo impegnati, a favorire la diffusione dei virus. Oggi molti ne
sono consapevoli: la crisi ecologica ci garantisce pandemie ricorrenti.
Accontentarsi di dotarsi di mascherine ed enzimi per il prossimo futuro
equivarrebbe a trattare solo il sintomo. Il male è molto più profondo, ed è la
sua radice che dev’essere medicata. La ricostruzione economica che dovremo
realizzare dopo essere usciti dal tunnel sarà l’occasione inaspettata per
attuare le trasformazioni che, anche ieri, sembravano inconcepibili a coloro
che continuano a guardare al futuro attraverso lo specchietto retrovisore della
globalizzazione finanziaria. Abbiamo bisogno di una reindustrializzazione
verde, accompagnata da una rilocalizzazione di tutte
le nostre attività umane.
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