Noam Chomsky: «L’America fondata sulla schiavitù, i neri repressi da 400 anni»
(Intervista di Valentina Nicolì)
Gli Stati uniti
bruciano. In diverse città viene imposto il coprifuoco, le rivolte per le
strade non accennano a diminuire, coinvolgendo sempre di più anche la
popolazione bianca, e l’esercito è pronto a intervenire. Intanto le parole e le
azioni del governo, e di Trump in particolare (la sua ultima uscita sui social
– «Law and Order» – sembra il titolo di un telefilm), non sembrano voler trovare
la conciliazione con una società già esasperata dall’emergenza sanitaria, da
disoccupazione e disuguaglianze.
Per capire quanto
siano antiche le radici delle rivolte che occupano oggi le pagine dei giornali
di tutto il mondo abbiamo fatto qualche domanda al professor Noam Chomsky, tra
i massimi esperti mondiali di politica e società americana.
Le proteste seguite
all’uccisione di George Floyd si sono trasformate in rivolte, propagate da
Minneapolis a tutti gli Usa. Nel frattempo, il Pentagono ha esortato la polizia
militare a tenersi pronta a intervenire. Professor Chomsky, che cosa sta
succedendo negli Stati uniti? C’è qualcosa di più profondo dietro le proteste
contro il razzismo e l’abuso di potere della polizia bianca?
Di più profondo ci
sono 400 anni di brutale repressione. Dapprima, il più violento sistema di
schiavismo della storia, che ha costituito la base della crescita economica e
della prosperità degli Stati uniti (e dell’Inghilterra). A questa fase sono
seguiti dieci anni di libertà in cui la popolazione nera ha potuto partecipare
a tutti gli effetti alla società e lo ha fatto con grande successo. Dopodiché è
nato un patto tra Nord e Sud che ha di fatto concesso agli Stati ex schiavisti
l’autorità di fare ciò che volevano. E ciò che hanno fatto è stato di
criminalizzare la vita dei neri, istituendo uno «schiavismo con un altro nome»,
come recita il titolo di uno dei libri più autorevoli in materia (Douglas A.
Blackmon, Slavery by other name. The Re-Enslavement of Black Americans
from the Civil War to World War II, Anchor Books, 2008). Questa fase è
durata all’incirca fino alla Seconda Guerra mondiale, quando poi è sorta la
necessità di reperire manodopera. È cominciato allora un periodo di relativa
libertà, per quanto ostacolato da leggi razziali così estremiste che persino i
nazisti in quel periodo non le presero in considerazione e leggi federali che
prescrivevano la segregazione nelle politiche abitative sussidiate dal governo
attuate dopo la guerra. In più, ovviamente, in quegli anni i neri (e le donne)
erano esclusi dall’istruzione universitaria gratuita garantita ai veterani.
Successivamente è sorta una nuova ondata di criminalizzazione della vita dei
neri, facilmente documentabile. Quanto al razzismo, persiste ancora oggi,
benché meno dilagante di prima. E quando si manifesta, come nel caso
dell’omicidio di Floyd, ecco che esplode la protesta, cui ha aderito in questo
caso anche buona parte dei bianchi. Ciò significa che in alcuni settori della
popolazione sono stati fatti seri passi avanti nel superamento di questa
terribile piaga.
Pensa che la pandemia
abbia avuto un ruolo nelle proteste? È servita a far venire ancora di più allo
scoperto le disuguaglianze e i problemi di giustizia sociale del paese? O ha
fatto esplodere una pentola che ribolliva da tempo?
Certamente la pandemia
ha evidenziato alcuni di questi problemi. Il tasso di mortalità per Covid-19
tra le persone nere, per esempio, è tre volte superiore a quello tra i bianchi.
Trump, la cui malignità non ha limiti, ha approfittato dell’emergenza sanitaria
per ridurre le norme volte a limitare l’inquinamento atmosferico, che ha
effetti devastanti sulle malattie respiratorie legate a questa pandemia. La
stessa stampa economica stima che a causa di queste scelte potrebbero morire
decine di migliaia di persone, per lo più tra le comunità nere, che possono
permettersi di vivere solo nelle aree più inquinate («How Trump’s EPA Is Making
Covid-19 More Deadly», Bloomberg, 4 maggio 2020). Il modo in
cui questi fatti influenzeranno l’opinione pubblica dipenderà da quanto essi
saranno occultati dall’apologetica razzista.
Professore, ci sono
circostanze, come quelle cui assistiamo in questi giorni negli Stati uniti, in
cui la violenza da parte di una popolazione esasperata può essere giustificata?
Di sicuro può essere
compresa. Più che altro, l’esperienza ci insegna che non è una scelta saggia:
di solito ha come unico risultato di incrementare il sostegno dell’opinione
pubblica verso una repressione ancora più dura.
Una delle prime
reazioni di Trump alle proteste è stato un tweet poi oscurato: «Quando comincia
il saccheggio, si comincia a sparare». Può spiegarci perché questa frase ha
avuto un impatto così forte sulla società americana? Ritiene che quel «peccato
originale che macchia ancora oggi la nostra nazione» (come ha detto Joe Biden)
sia oggi aggravato dalla presenza di Trump? La sua retorica infuocata serve a
farlo risalire nei sondaggi che, almeno a oggi, danno Biden in vantaggio?
In quel tweet Trump
stava citando la frase pronunciata cinquant’anni fa da un comandante della
polizia della Florida (Walter E. Headley, capo della polizia di Miami, ndr)
per spiegare come avrebbe reagito lui alle manifestazioni antirazziste. Il
senso della dichiarazione di Trump era chiaro ma, date le reazioni indignate,
ha mentito spiegando che voleva dire che sarebbero stati i «saccheggiatori» ad
aprire il fuoco. Di sicuro Trump ha fatto di tutto per ingrandire quella
«macchia», rivolgendosi a quei suprematisti bianchi che fanno parte della sua
base elettorale. Difficile prevedere però quanto sarà profondo l’impatto
popolare.
Che cosa ne pensa
della reazione dei liberal? Quello che sta accadendo in questi giorni ha
qualcosa da insegnare a loro e allo stesso Biden?
Di sicuro dovrebbe.
Resta da vedere se lo farà effettivamente.
Ha fatto riferimento
alla «criminalizzazione della vita dei neri», fenomeno di cui parla spesso nei
suoi libri. Ce ne spiega l’evoluzione e il modo in cui continua ad agire nella
società ed economia americane?
La paternità di
quell’espressione non è mia. Viene usata spesso negli studi sulla società
americana. Negli Stati ex schiavisti della fine del XIX secolo si trattava di
una politica premeditata. Se un nero se ne stava in piedi per la strada, poteva
essere fermato per vagabondaggio, gli poteva essere comminata una multa che non
avrebbe pagato e sarebbe così finito in prigione. Una volta lì, sarebbe stato
messo a disposizione delle aziende in quanto lavoratore ideale: disciplinato,
nessuna protesta, costi quasi pari a zero. Questa strategia ha contribuito
enormemente alla rivoluzione industriale dell’epoca, così come
all’agribusiness. La seconda ondata di criminalizzazione ha preso slancio con
Ronald Reagan. Nel 1980, quando si insediò alla presidenza, il tasso di
incarcerazione rientrava nella media europea. Da allora ha subito un’impennata,
attestandosi ben al di sopra dell’Europa. Le incarcerazioni coinvolgono in maniera
sproporzionata i neri. È in parte il risultato della guerra alla droga e in
parte è riconducibile a una maggiore criminalità tra le persone nere.
Quest’ultimo dato è spesso evidenziato dall’apologetica razzista, senza però
domandarsi perché tale criminalità sia maggiore tra i neri. In realtà, è tipico
delle comunità oppresse. Ma il caso delle persone di colore è indubbiamente il
più grave.
QUALE
IMMUNITA' QUALIFICATA? - DANILO
TOSARELLI
George Floyd
è rimasto 8 minuti e 46 secondi sotto il ginocchio assassino di Derek Chauvin.
Ammanettato,
costretto in quella maledetta posizione prona che stenta a farti respirare.
Con addosso
3 poliziotti che lo hanno soffocato.
La
ricostruzione fatta dal New York Times, dimostra che non c'è stata alcuna
resistenza.
Per fortuna
c'erano le telecamere ed i testimoni presenti confermano la volontà di
uccidere.
Il
Procuratore di Minneapolis ha contestato a Derek Chauvin il reato di omicidio
volontario.
Gli altri 3
poliziotti coinvolti, sono stati arrestati con l'accusa di complicità.
Derek
Chauvin è semplicemente un poliziotto anafettivo.
Indifferente
alle suppliche della vittima che chiedeva di poter respirare.
Alle spalle
ben 17 denunce per cattiva condotta e coinvolto in 3 sparatorie con un morto.
Eppure
ancora lì, in servizio, impunito, nonostante il suo oggettivo grado di
pericolosità sociale.
Le proteste
di massa sono esplose subito ed hanno fatto il giro del mondo.
Ancora tanta
rabbia, tanto dolore ed una incontenibile voglia di ribellarsi.
Per Trump,
un gruppo di anarchici della sinistra radicale che vanno adeguatamente
repressi....
immediate le
proteste dei candidati Democratici, ma anche fra i Repubblicani.
L'ex
Ministro della Difesa Jim Mattis, lo ha accusato di voler dividere il Paese.
Molti i
poliziotti in servizio che si sono inginocchiati per offrire solidarietà ai
manifestanti.
UN GESTO
NOBILE CHE MI HA COMMOSSO.
Nonostante
tutto ciò, Trump impugnando la Bibbia, ha minacciato di schierare l'esercito.
La tragica
morte di George Floyd ci obbliga a riflessioni serie.
E'
necessario comprendere il ruolo delle Forze dell'Ordine e la loro IMMUNITA'
QUALIFICATA.
E'
necessario comprendere come funziona l'APPARATO PENALE.
Le
situazioni tragiche nascono spesso per l'impostazione punitiva che da anni
nutre l'Apparato penale.
L'80% degli
arresti è legato ad infrazioni lievi come stare seduto sul marciapiede.
Oppure
guidare senza cinture o attraversare fuori dalle strisce pedonali.
Esiste una
anedottica che cita bambini arrestati a scuola perchè iperattivi.
Sceriffi che
organizzano retate di adolescenti accusati di nascondere una birra ed altro
ancora.
Immediatamente
scattano le manette.
In USA
avviene un arresto ogni 3 secondi.
Secondo FBI,
ogni anno vengono arrestati 10,3 milioni di cittadini.
Alte le
probabilità di condanna per ispanici ed afroamericani.
1 su 6 per
UOMO ISPANICO
1 su 3 per
UOMO DI COLORE
1 su 17 per
UOMO BIANCO
Il 40% dei
DETENUTI è AFROAMERICANO.
Giova
precisare che molti di essi sono costretti ad aspettare la sentenza in
carcere.
Per pagare
la cauzione ed uscire in attesa del Tribunale, occorrono 10 mila dollari e
quindi.....
Tutto ciò
contribuisce a gonfiare le percentuali.
Nel 2019
sono state uccise dalla polizia più di mille persone.
Il 24% era
di colore, benchè gli afroamericani rappresentino il 13% della
popolazione.
tra il 2013
ed il 2019 ben il 99% degli agenti coinvolti in operazioni con il morto, non
hanno avuto condanne.
Credo sia
necessario a questo punto, spiegare cosa è l'IMMUNITA' QUALIFICATA.
Nel 1967 la
corte Suprema creò la teoria giuridica dell'IMMUNITA' QUALIFICATA (qualified
Immunity).
La Polizia
non può essere perseguita, se dimostra "buona fede" nel violare un
diritto garantito.
15 anni
dopo, la Corte Suprema decise che spetta alla vittima dimostrare le violazioni
della polizia.
Dimostrare
che gli agenti hanno violato "un diritto chiaramente stabilito".
Quel
"diritto chiaramente stabilito" deve essere già stato oggetto di un
caso legale.
Inoltre deve
avere lo stesso "contesto specifico" e stessa "condotta
particolare".
In soldoni,
è difficilissimo per il cittadino ottenere giustizia in tribunale.
Difficile
dimostrare la colpevolezza dei poliziotti coinvolti in abusi e violenze.
in presenza
di avvenimenti tragici, l'IMMUNITA' QUALIFICATA è la più sicura delle
protezioni.
Troppe morti
gridano ancora vendetta per non aver avuto giustizia.
Troppe le
vittime di colore per non dubitare che questa norma favorisca e giustifichi
atti di razzismo.
La polizia
americana non può continuare a godere di una impunità che produce mostri.
Il sindaco
di Minneapolis Jacob Frey ha licenziato i 4 agenti coinvolti nella morte di
Floyd.
Con grande
onestà ha dichiarato che quanto visto in quel filmato è malvagio ed
inaccettabile.
Dopodichè si
è chiesto " ma se il video non ci fosse stato?".
Le
manifestazioni di questi giorni devono pretendere la messa in discussione della
QUALIFIED IMMUNITY.
La polizia
americana non può continuare a godere di una impunità che produce mostri.
Non rendiamo
vana la terribile morte del povero George Floyd.
Ogni
americano onesto lo sa e non può più nascondere la testa sotto la sabbia.
Come non può
farlo nessun sincero democratico che abbia a cuore la lotta contro ogni
razzismo.
Trump va
lasciato solo e questo è il momento per attaccare pesantemente la sua
tracotanza.
Quanti
ancora pensano agli USA come culla della democrazia?
Kevin J. Everson, l’America bianca continuerà a costruire nuovi muri
Giona A.Nazzaro intervista Kevin Jerome Everson
Kevin Jerome Everson è senza dubbio una delle voci più originali del cinema
statunitense contemporaneo. Nonostante dichiari di non saperne molto di cinema
(«Sono molto più interessato all’arte»), vanta una filmografia di quasi
duecento film di varia lunghezza e formati e numerosi riconoscimenti accademici
fra i quali una fellowship della Guggenheim. Scultore, fotografo, pittore oltre
che cineasta, l’anno scorso la Heinz Foundation gli ha conferito il suo
prestigioso riconoscimento per le scienze umanistiche.Docente presso
l’università della Virginia a Charlottesville, Everson e il suo lavoro sono
stati oggetto di numerose retrospettive, installazioni, esibizioni – al Centre
Pompidou di Parigi, al Museum of Contemporary Arts di Los Angeles, alla Tate
Modern di Londra al Carnegie Museum of Art di Pittsburgh.
EVERSON è appena rientrato a Charlottesville da Berlino, dove era ospite
dell’accademia Americana per una residenza artistica, e ha quasi completato
l’obbligatorio periodo di quarantena di due settimane: «Tutto quello che sta
succedendo e che a molti sembra nuovo non è nient’altro che la solita vecchia
storia», dichiara immediatamente. «L’America bianca è sempre stata irrispettosa
della tradizione orale afroamericana. Ogni volta che una persona afroamericana
dichiara qualcosa, l’America bianca non gli crede mai. Deve essere filmata per
essere creduta. L’America bianca non sopporta che qualcuno possa essere
testimone delle sue atrocità. Loro sono i primi a credere alle proprie menzogne
di essere sempre i buoni. Se tenti di contrastare questa visione attraverso una
narrazione orale, non ci credono. E quando finalmente lo vedono pensano sempre
che si tratti di un fatto isolato. Si rifiutano di accettare che sia sistemico
perché gli permette di conservare la loro presunta superiorità morale, di
restare aggrappati al potere. Se i bianchi commettono un crimine, si tratta sempre
di un ’individuo’. Se un afroamericano commette un crimine, allora è tutta la
comunità che lo commette. Un serial killer bianco è sempre un ’lupo solitario’.
O un pazzo. Perché i bianchi si ritengono essenzialmente ’buoni’. Per cui se un
bianco commette una strage, si tratta di un folle o di malato perché si
allontana dalla norma della supremazia bianca. Il sottotesto è: ’noi sempre
migliori di chiunque altro e quello è solo il crimine di un singolo individuo’.
Il sistema non è mai messo in discussione. Per cui l’Isis, Al Qaeda e tutte
queste organizzazioni sono riconducibili a interi gruppi etnici che vengono
criminalizzati. Persino Dylann Storm Roof che ha compiuto la strage della
Emanuel African Methodist Episcopal Church viene estrapolato dal suo contesto.
Il suo giubbotto, però, recava la scritta Rhodesia. Quindi qualcuno lo ha
indottrinato. Quello non è solo un ’lupo solitario’».
«PER I BIANCHI il problema non mai dei bianchi in generale. È questo è il problema
della supremazia bianca: ’Siamo superiori quindi non possiamo essere malvagi’.
Il sistema non è mai ritenuto responsabile perché loro ritengono che il sistema
sia infallibile. Sono una persona molto pessimista ma è interessante osservare
che molte di queste proteste non si sono verificate in quartieri neri. C’erano
tantissimi bianchi per strada Hanno dato alle fiamme macchine della polizia che
non stavano nei loro quartieri. Hanno messo a ferro e fuoco Santa Monica! E
Santa Monica è più bianca che non si può! Non ci vive nessuno di noi (ride, ndr).
Sono arrivati a Rodeo Drive (distretto dello shopping di lusso losangelino,
ndr)! Chi l’avrebbe mai detto? Quello sì che è un posto fuori mano (ride,
ndr.). Ci credo che hanno chiamato la Guardia Nazionale e volevano l’esercito
per strada! Sono entrati nei quartieri dei bianchi ricchi. Per questo motivo
stanno andando fuori di testa: mica bruciava South Central! Il fatto che la
protesta sia multiculturale la rende molto più minacciosa rispetto a quelle del
passato. Se si fosse trattato di soli afroamericani avrebbero usato senz’altro
pallottole vere per fermare le rivolte e tutto sarebbe stato molto più violento
e la repressione molto più sanguinosa».
Come considerare il fatto che molti bianchi si sono uniti alla protesta? «I
giovani oggi crescono in un ambiente multiculturale. Probabilmente non sono
così segregati come le generazioni che li hanno preceduti. E sono più
istruiti».
PARLANDO con Spike Lee, lui suggeriva che invece di limitarci a puntare il
dito sul razzismo degli Stati Uniti dovremmo pensare a come fermare la pandemia
del razzismo in casa nostra. «Spike ha ragione. In queste narrazioni si tratta
sempre degli ’altri’, mai di . ’noi’. Quando sono stato in Italia nel 2002
c’era questo ritornello ossessivo contro gli albanesi. Ogni cosa che accadeva
era colpa degli albanesi! Senza contare poi questa frattura regionalistica dove
ognuno pensa di essere più ’italiano’ degli altri. Poi basta guardare a come è
stata gestita la crisi dei rifugiati in Italia. Una cosa terribile. D’altronde
questa è la stessa cosa che accade negli Stati Uniti. I bianchi guardano sempre
da un’altra parte. ’Mio Dio, stanno opprimendo la gente in Tibet! Oddio
un’altra strage nel Darfur!’ A me verrebbe da dire: ’Hey! Siete mai stati a St.
Louis?’. Troppo facile: così non sei mai tu il responsabile. Quando i bianchi
fanno i film sulla schiavitù e lo schiavismo la buttano sempre sul razzismo e
mai sull’economia. In questo modo il padrone della piantagione ha sempre la
parlata sudista strascicata dall’accento pesantissimo. Ed è sempre
rappresentato come un bifolco. In questo modo uno come Tarantino può dire: ’Non
sono io, sono loro!’».
«DANNO sempre la colpa a qualcun altro, ma in fondo si tratta ogni volta del
medesimo privilegio bianco che ti permette di fare queste distinzioni. Oggi ho
come l’impressione che in Italia, per esempio, il discorso sia estremamente
frammentato, come se non ci fosse più spazio per l’idea di inclusività. Eppure
nel 40 a.c. nel senato romano c’erano senatori africani perché dovevano
trattare anche con altri popoli e tutti stavano sempre su delle navi in perenne
movimento a commerciare e a viaggiare».
GEORGE FLOYD è stato ucciso pochi giorni dopo Ahmaud Arbery. Gli afroamericani
sono più che mai esposti a una violenza impunita e continuata. «È sempre stato
così. Ricordo che quando andavo alle medie, negli anni 70, tiravano giù dai bus
scolastici ragazzi di appena 14 anni in manette. Avevo 12 anni quando osservai
il vicepreside della mia scuola ordinare a tre ragazzi bianchi di mettere in
riga tre miei coetanei. Quando trasmettevano Radici la mattina dopo a scuola ti
insultavano dandoti del negro e dovevi fare a botte ogni giorno. Si viveva in
un clima di violenza costante. Era normale».
Alcune persone in Europa sostengono ora che finalmente gli Stati Uniti hanno gettato la maschera. «Non c’è mai stata nessuna maschera! (ride di gusto, ndr). Quando i miei colleghi – che amo e ammiro – mi invitano a partecipare a seminari sul razzismo, l’integrazione, ecc. io rifiuto sempre. Mi limito a dire: ’Fatelo voi questo lavoro. Non ho nessuna intenzione di partecipare a tavole rotonde sull’inclusione e la diversità. L’America con tutte le sue risorse potrebbe cambiare lo stato delle cose se solo lo volesse e non lo fa perché a loro le cose vanno bene come stanno. Questo complesso di superiorità offre loro infiniti benefici e a loro fa piacere essere dove sono. Non hanno nessuna voglia di cambiare posto. Chris Rock una volta ha detto: ’Nessun bianco vorrebbe stare al mio posto. E io sono uno ricco!’. Le persone che si occupano di immobili dicono sempre: ’Quando nel tuo quartiere ti avvicini alla soglia dell’11% di residenti non bianchi quello è il momento in cui spuntano i cartelli Vendesi’. Temo che i bianchi siano perfettamente capaci di rivotarsi Trump per altri quattro anni anche se lui sta facendo un ottimo lavoro per non farsi rieleggere. Dopo la sua elezione, alcuni colleghi mi chiedevano: ’Ma che fine ha fatto il vostro voto?’. E io rispondevo: ’Che fine fatto ha fatto il vostro voto!’ Tocca ai bianchi fare la parte del sollevamento pesi. Noi siamo solo il 13-14%. E il nostro lavoro lo facciamo tutti i giorni. Facessero pulizia in casa loro e iniziassero a lavorare sul serio. I bianchi costruiranno sempre nuovi muri. Queste cose sono state ripetute all’infinito. La cultura, la musica, l’intrattenimento ha detto tutto quel che c’era da dire eppure i bianchi non vogliono ascoltare (ride ancora, ndr). Pensa a Redd Foxx, Richard Pryor, James Baldwin, Toni Morrison, Maya Angelou: che altro puoi fare? Aveva ragione Dick Gregory quando diceva: ’Siamo nei guai: i bianchi non sono molto svegli’. Gli ripeti le stesse cose mille volte e continuano a non crederti. Se devo essere sincero sino in fondo, stai facendo queste domande alla persona sbagliata. Queste domande dovresti farle a tutti i registi bianchi e vedere cosa ti rispondono».
Alcune persone in Europa sostengono ora che finalmente gli Stati Uniti hanno gettato la maschera. «Non c’è mai stata nessuna maschera! (ride di gusto, ndr). Quando i miei colleghi – che amo e ammiro – mi invitano a partecipare a seminari sul razzismo, l’integrazione, ecc. io rifiuto sempre. Mi limito a dire: ’Fatelo voi questo lavoro. Non ho nessuna intenzione di partecipare a tavole rotonde sull’inclusione e la diversità. L’America con tutte le sue risorse potrebbe cambiare lo stato delle cose se solo lo volesse e non lo fa perché a loro le cose vanno bene come stanno. Questo complesso di superiorità offre loro infiniti benefici e a loro fa piacere essere dove sono. Non hanno nessuna voglia di cambiare posto. Chris Rock una volta ha detto: ’Nessun bianco vorrebbe stare al mio posto. E io sono uno ricco!’. Le persone che si occupano di immobili dicono sempre: ’Quando nel tuo quartiere ti avvicini alla soglia dell’11% di residenti non bianchi quello è il momento in cui spuntano i cartelli Vendesi’. Temo che i bianchi siano perfettamente capaci di rivotarsi Trump per altri quattro anni anche se lui sta facendo un ottimo lavoro per non farsi rieleggere. Dopo la sua elezione, alcuni colleghi mi chiedevano: ’Ma che fine ha fatto il vostro voto?’. E io rispondevo: ’Che fine fatto ha fatto il vostro voto!’ Tocca ai bianchi fare la parte del sollevamento pesi. Noi siamo solo il 13-14%. E il nostro lavoro lo facciamo tutti i giorni. Facessero pulizia in casa loro e iniziassero a lavorare sul serio. I bianchi costruiranno sempre nuovi muri. Queste cose sono state ripetute all’infinito. La cultura, la musica, l’intrattenimento ha detto tutto quel che c’era da dire eppure i bianchi non vogliono ascoltare (ride ancora, ndr). Pensa a Redd Foxx, Richard Pryor, James Baldwin, Toni Morrison, Maya Angelou: che altro puoi fare? Aveva ragione Dick Gregory quando diceva: ’Siamo nei guai: i bianchi non sono molto svegli’. Gli ripeti le stesse cose mille volte e continuano a non crederti. Se devo essere sincero sino in fondo, stai facendo queste domande alla persona sbagliata. Queste domande dovresti farle a tutti i registi bianchi e vedere cosa ti rispondono».
Killer Mike dei Run the Jewels è stato al centro di forti polemiche per
delle affermazioni a favore dell’uso delle armi da fuoco. Qual è la tua
posizione? «Davanti alla mia finestra del mio ufficio quando c’è stata la
marcia per Unite the Right ho avuto nazisti armati fino ai denti per giorni
interi. Una donna aveva un AR-15 a tracolla. Un’altra aveva un lanciagranate».
«PERSONALMENTE ho un porto d’armi. In quei giorni avevo sempre la mia pistola con
me. Se invece di bianchi nazisti armati fino ai denti fossero stati egiziani,
cinesi, albanesi li avrebbero ammazzati uno per uno senza troppe storie.
Essendo bianchi ottengono un trattamento speciale. Ma i nazisti li conosciamo.
Sai chi sono e cosa vogliono fare. Il problema è la signora o l’impiegato
bianco che magari hanno votato due volte per Obama ma che se incontrano un
afroamericano nel loro quartiere chiamano immediatamente la polizia. Per questo
motivo ho voluto fare questa serie di film sui Bird Watcher (ornitologi
amatoriali). Quale attività più pacifica e tranquilla? Eppure se la gente si
ritrova di fronte un Bird Watcher afroamericano si spaventa e chiama la
polizia. Se ci pensi è la paura dell’interruzione della loro normalità, il
sottotesto base di tutti i film horror. Il mostro della laguna nera interrompe
i piani di relax dei bianchi, così come lo squalo interrompe le vacanze della
classe media. Ci trattano come alieni. Non a caso faccio vedere a miei studenti
E.T. di Spielberg. La cosa straordinaria di quel film non è l’alieno ma
l’assenza di tutti gli altri. In quella parte della California è impossibile
non incontrare cittadini messicani eppure nel film non ce ne è nemmeno uno.
Senza contare gli afroamericani anche se la maggior parte degli avvistamenti di
Ufo avviene nei quartieri neri (ride, ndr). È questa esclusione, quest’assenza
data per scontata che è problematica».
COSA pensi del cinema di John Ford e in particolare dei suoi film con
Stepin Fetchit? «Stepin Fetchit era un grande attore. I ruoli che gli offrivano
erano il problema. Sono convinto che Ford fosse una persona di grande talento
ma non riesco più a vedere Sentieri selvaggi. Da noi passa in tv in
continuazione. Ritengo che Howard Hawks un artista più moderno, dalla tavolozza
più ricca. Mi piace il suo senso dell’essenzialità. Billy Wilder è un altro
cineasta che mi interessa. Un film come L’appartamento mi
sembra davvero modernissimo. Non ho alcuna idea di cosa sia il ’cinema
afroamericano’, siamo appena agli inizi, ma ogni volta che mi invitano a
discutere Nascita di una nazione mi arrabbio. Dico sempre: ’Se vengo, vi prendo
a pedate bifolchi!’ (ride a lungo, ndr). Si continua a sostenere che sia un
lavoro geniale perché ha introdotto delle innovazioni formali ma quelle idee erano
già nell’aria. All’epoca c’era anche Oscar Micheaux che faceva i suoi film ma
lui è quasi dimenticato. Anche in questo caso si tratta di esclusione e di
assenza».
Una lettera
di Abdelmajid Daoudagh*
Caro
fratello George Floyd,
Noi che viviamo tranquilli e liberi in Europa non
potremo mai comprendere il significato di tre secoli di schiavitù e
sopraffazione, percepire sulla pelle. l'ingiustizia e la supremazia bianca
persino nei concetti della religione cristiana: Maria e Cristo sono raffigurati
biondi e chiari mentre i demoni con pelle e capelli scuri. Mohammed Ali affermò
in un' intervista: "gli angeli neri davvero non ci sono? ». Se
esistono, spero che ti accolgano loro in paradiso.
Ti scrive un
immigrato che si chiama Majid Daoudagh (Italo-marocchino) dall'Italia, una
terra dove da trent'anni scorre il sangue dei neri assassinati dall'ingiustizia
sociale e dall'indifferenza politica.
La prima
vittima fu Jerry un bracciante raccoglitore di pomodori nelle campagne di
Terni, assassinato nel 1989 dai mafiosi di un clan che voleva dominare il
territorio sottomettendo i disperati con la stessa violenza che utilizza il
regime americano per assoggettare l'intera popolazione nera.
Da anni qui
in Italia, il caporalato nelle campagne é al servizio della criminalità
schiavizzando e ricattando manodopera straniera di ogni colore fuggita dalla
povertà dei paesi di origine: africani, magrebini, cinesi, schiave dell'Est
Europa.
Caro George
la realtà spegne i sogni e la lotta per resistere si esprime con il rifiuto,
con la rabbia e talvolta con la rivolta. Il fuoco di questi fratelli sottomessi
brucia dentro di noi.
Dichiariamo
guerra alla menzogna, al terrorismo politico ed intellettuale che per anni ha
predicato una dottrina definita "legge" che inchioda le nostre
esistenze ad un permesso di soggiorno, ad una residenza, ad un contratto di
lavoro/schiavitù, che ha ucciso le illusioni di chi é fuggito alle difficoltà
di terre lontane per rinchiuderci in centri di accoglienza e tendopoli dove
nessun potere politico ci ha difesi, ma ci ha sfruttati come pedine elettorali.
Siamo stati
costretti a tacere dall'odio e dalle minacce razziste degli stessi mandanti
della tua uccisione che comandano imponendoci la schiavitù della loro fede,
cultura e modo di vivere senza considerare che l' immigrazione ha favorito la
crescita e lo sviluppo di nazioni come gli Stati Uniti e l' Europa.
Caro George,
anche noi siamo simbolicamente e materialmente assassinati ogni giorno come é
accaduto a coloro i quali hanno dato la vita per non perdere la propria dignità
in luoghi chiamati Rosarno e Castelvolturno, che hanno sfidato la mafia
piuttosto che continuare un' esistenza di stranieri in schiavitù sottoposti a
continui ricatti e vessazioni per un pezzo di pane.
Guardando la
terribile immagine della tua agonia riesco ad immaginare mentre ti passava
dinnanzi agli occhi la vita e la storia tragica dei tuoi antenati, la
sofferenza dei deportati in America.
Spero che la
tua morte non sia stata vana e che conduca ad un movimento di ribellione
globale contro la sopraffazione e le ingiustizie.
Sciascia in
un suo libro scriveva "Oggi siamo chiamati ad una riflessione profonda
oltre le dottrine, la religione ed ogni fanatismo basandoci esclusivamente
sulla ragione salvando quello che resta della nostra umanità".
Quando ti
accoglieranno gli angeli neri, chiedi a loro quante vittime sono sepolte nel
mar Mediterraneo senza una preghiera, una tomba, un fiore? Se li incontrerai
salutali dicendo loro che sulla terra ci sono persone che continuano a lottare
per la giustizia, per creare un mondo diverso dove l'unico colore sia quello
dell'umanità invece di bianco, nero o giallo, dove nessuno si senta in diritto
di sopraffare e schiavizzare.
Oggi, caro
George, voglio abbracciare la tua anima che resterà in eterno tra noi per
guidarci in un percorso verso la nostra umanità, verso una fratellanza in cui
non ci siano schiavi o stranieri. Vestiamoci di umanità invece che di razze, di
colore della pelle, di ideologie e pregiudizi.
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(*) Abdelmajid
Daoudagh (detto Majid) originario dal Marocco lavora come operaio
metalmeccanico in provincia di Brescia. attivista antirazzista e per i diritti
dei lavoratori si è candidato alle elezioni regionali Lombardia 2013 con la
lista “Etica”. Nome di Battaglia: “Majid l’operaio”.
19 FATTI RIGUARDO ALLA POLIZIA
STATUNITENSE - Lee Camp
Con tutte le proteste,
la rabbia e la violenza in tutto il paese, sulle nostre onde radio mediatiche
industriali è iniziata una legittima discussione riguardo alla polizia.
(Direi che la discussione è in ritardo, ma in realtà l’abbiamo avuta circa ogni
tre anni negli ultimi quaranta). Tuttavia, nonostante tutta la copertura un
dibattito più profondo permane ignorato: un dibattito sul perché il sistema di
polizia statunitense addirittura esista, su come operi (o non operi) e da dove
provenga.
I 19 fatti seguenti
riguardo alla polizia statunitense cambieranno tutto ciò che pensate di sapere.
Cominciamo dalla pura e semplice quantità degli assassinii.
1.
La polizia uccide circa mille statunitensi l’anno. Nel 2016 il The Guardian ha rilevato che la polizia statunitense ne
aveva uccisi 1.093. Sono tre vite estinte dalla polizia ogni giorno.
2.
Nel Regno Unito la media per anno è di tre assassinii della polizia. Non
trecento. Solo tre. Questo significa che la polizia statunitense in generale
uccide più cittadini in una settimana di quanti il Regno Unito ne uccida in un
anno. Nel 2018 la polizia danese e quella svizzera non hanno ucciso nessuno.
Zero. Hanno letteralmente lasciato vivere tutti. (Si penserebbe che avessero
ucciso almeno alcuni, tanto per restare allenate).
3.
La grande maggioranza degli statunitensi uccisi non è costituita da
criminali “induriti” (qualsiasi cosa ciò significhi). Il Treatment Advocacy Center rileva che uno
su quattro uccisi dalla polizia statunitense era gravemente malato di mente. Se
si aggiungono i semplicemente instabili mentalmente o cognitivamente
compromessi, il numero è molto più elevato. Probabilmente ben più del 50 delle
volte in cui la polizia uccide qualcuno, la vittima non è stabile o sana di
mente.
4.
L’anno scorso BBC News ha
scoperto che dal 2005 solo 35 agenti sono stati condannati per un qualsiasi reato
dopo aver tolto la vita a qualcuno. Se supponiamo che negli Stati Uniti siano
commessi ogni anno 900 omicidi da parte della polizia (una stima molto bassa) e
che solo un agente sia coinvolto in ciascuna uccisione (una stima ancor più bassa)
questo significa che i poliziotti sono condannato lo 0,28 per cento delle volte
dopo aver ucciso qualcuno. Meno dell’un per cento. Ma va ancora peggio.
5.
La NBC riferisce: “Solo tre agenti sono stati condannati per omicidio
durante questo periodo (dal 2005 al 2019) e hanno visto confermate le loro
condanne”. E’ una percentuale di condanne dello 0,024 per cento. A tutti gli
effetti gli agenti di polizia possono uccidere con impunità.
Ciò che i poliziotti fanno tutto il giorno
Ora prendiamoci un
momento per disilludersi dalle fantasie liberali circa la polizia. La grande
maggioranza di ciò che la polizia fa negli Stati Uniti non è andarsene
in giro a catturare malfattori come in un episodio di CSI o Law
& Order o Die Hard o Starsky & Hutch o
tutti gli altri programmi e film televisivi mai prodotti.
1.
Il professor Alex Vitale segnala in “The End of Policing” che la maggior parte dei poliziotti
conclude meno di un arresto per reato l’anno, il che significa che quasi
l’intera attività quotidiana di un agente di polizia consiste nello stare in
giro e occuparsi occasionalmente di piccoli reati o di nessuno. Questi “reati”,
quali vagabondaggio o “arrecare disturbo” sono progettati per semplicemente
“immettere persone nel sistema”. Le persone di colore hanno maggiori
probabilità di essere arrestate per questi tipi di reato. Una volta “nel
sistema” la sentenza per un futuro “reato di vagabondaggio” o per la
“nefandezza di suonare musica ad alto volume” può essere molto più lunga.
2.
Vitale continua: “Ogni investigatore (che costituisce solo circa il 15 per
cento delle forze di polizia) passa la maggior parte del proprio tempo a
ricevere notizie di reati che non risolverà mai, e in molti casi non saranno
mai indagati… La maggior parte dei reati indagati non è risolta”.
3.
Anziché lavorare più intensamente per risolvere reati maggiori, i nostri
dirigenti governativi hanno creato centinaia di “reati” minori a causa dei
quali la polizia inchiodi i cittadini. Negli scorsi due decenni c’è stata
un’impennata di cose quali dormire in pubblico, mendicare, regalare cibo,
“accamparsi” in pubblico e dormire nella propria auto. Leggi come queste
servono soltanto a rendere illegali i senzatetto (e illegale aiutarli) e a
consentire alla polizia di intervenire, spesso spegnendo vite. (Perché le
persone che mendicano spiccioli spesso se la passano troppo comoda).
4.
Uno studio di New York City ha rilevato che
più della metà di quelli che regolarmente passano attraverso il sistema
carcerario erano senzatetto. Qualcuno crede onestamente che agguantare
incessantemente senzatetto e accusarli per reati da niente faccia qualcosa per
aiutare la nostra società o le persone coinvolte? Il fatto che la maggior parte
degli agenti passi la propria giornata a far questo equivale a vigili del fuoco
che se ne vadano in giro a innaffiare di acqua sigarette delle persone mentre
gli edifici effettivamente in fiamme sono lasciati bruciare. (Altro al riguardo
tra un momento).
5.
Quando ricchi o persino membri della classe media sono colti a commettere
la maggior parte di questi piccoli reati sono ignorati dalla polizia o lasciati
andare con un ammonimento. Se un operatore di Wall Street in giacca e cravatta
fa un pisolo su una panchina, la polizia lo rinchiude? Se un medico o un
dentista o un immobiliarista è “colto” a dormire nella sua auto, è portato alla
stazione di polizia? No. Questi cosiddetti “reati” servono solo a imporre la
struttura di classe e a dare alla polizia un motivo per arrestare i poveri e in
non bianchi.
6.
Nel frattempo i reati veri non ricevono nemmeno un’occhiata. I maggiori
reati nella nazione e nel mondo sono spesso legali o, anche se non lo sono, non
hanno nulla a che vedere con la polizia. Dirigenti industriali decidono
incessantemente di scaricare sostanze tossiche nella nostra acqua o di mantenere
sugli scaffali talco per bambini quando sanno che contiene amianto o di continuare
a vendere un erbicida quando sanno che causa il cancro o di ammannire
oppiacei a statunitensi agitati persino mentre i cadaveri si accumulano. In generale, in tali
casi nessuno finisce in carcere, nessuno compirà un percorso da delinquente con
le manette addosso. E nel caso incredibilmente raro in cui un dirigente di
vertice sia rinchiuso, ciò non ha nulla a che fare con il vostro agente medio
di polizia.
Progettato per creare reati
Come ha scritto
Michelle Alexander, autrice di The
New Jim Crow: “Abbiamo bisogno di un sistema efficace di prevenzione e controllo dei
reati nelle nostre comunità, ma non è così che funziona il nostro sistema
attuale. Questo sistema è meglio progettato per creare reati e una perpetua
classe di persone definite criminali”.
1.
Gli Stati Uniti hanno la più vasta popolazione carceraria del mondo. E se riformuliamo leggermente la frase
otteniamo: “Gli Stati Uniti sono il più vasto stato-prigione del mondo”. Ma ai
media convenzionali non piace sentire questo e dunque non lo dicono.
2.
La polizia per certi versi commette più reati dei cittadini medi. La
polizia oggi sequestra oggi ai cittadini, via confisca civile di beni, più della quantità
di proprietà rubata da criminali di strada in furti d’appartamento.
3.
I poliziotti spesso proteggono più oggetti inanimati contro i cittadini
disarmati che hanno giurato di servire e proteggere. Ad esempio, a Standing Rock le forze dell’ordine hanno fatto
saldamente la guardia a un oleodotto contro le persone che di fatto erano
proprietarie delle terre che tagliava e bevevano l’acqua che alla fine avrebbe
contaminato.
Dunque abbiamo
stabilito che la polizia non sta facendo il lavoro che molti pensano che faccia
e che uccide una quantità di innocenti agendo contemporaneamente come ronde
militari nelle strade della “Terra dei liberi”. Ora passiamo a cosa sia
scarsamente addestrata per compiere effettivamente il lavoro che dovrebbe
compiere.
1.
Le accademie di polizia dedicano [in media] 110 ore alle
armi da fuoco e alla difesa personale, tuttavia solo otto ore alla gestione dei
conflitti. Questo significa, parlando in generale, che la polizia trascorre
dodici volte più ore a imparare come sparare e uccidere le persone che non a
imparare come NON sparare e uccidere.
2.
Nella maggior parte degli stati ai parrucchieri è richiesto di avere un
addestramento superiore a quello degli agenti di polizia. Persino la CNN ha
riferito: “La richiesta minima di addestramento degli agenti di polizia del
Michigan è 594 ore. Per lavorare con i segnali elettrici
sono necessarie 000 ore di esperienza”.
3.
L’ex capitano della polizia di Filadelfia Ray Lawis ha detto che i
dipartimenti di polizia non voglio assumere agenti che siano empatici. E il
sito favorevole alla polizia com ha
pubblicato articoli che affermano che l’empatia potrebbe essere pericolosa per
l’attività di polizia.
4.
Alcune città non vogliono neppure poliziotti in gamba. In effetti un
tribunale nel 2000 ha confermato il diritto dei dipartimenti di polizia
di evitare di assumere poliziotti intelligenti… Dunque sì, in alcune
città degli Stati Uniti le autorità riempiono attivamente i ranghi dei dipartimenti
di persone ottuse che non sono in grado di relazionarsi con la vostra
situazione. Ciò suona certamente come l’opposto di quanto si vorrebbe per la
disponibilità di una posizione di lavoro che includa l’espressione “armi
incluse”.
Radici oscure
E infine dobbiamo
chiedere: “Se il nostro sistema di polizia è un modello draconiano, in stile
militare, orwelliano usato per consolidare una radicata gerarchia di classe,
allora da dove viene fuori? Come siamo arrivati qui?”
1.
Come dettagliato in “Our Enemies in
Blue” [I nostri nemici in (uniforme) blu] il sistema poliziesco
statunitense ha avuto origine nelle ronde degli schiavi, che trasformavano le
strade delle cittadine in percorsi di pattuglia di quella che è era una forza
semi-militare. Dai suoi primi giorni il modello statunitense è stato una
tattica razzista per proteggere quelli della classe più elevata dai destituiti
e oppressi. I numeri non mentono. Il sistema non è cambiato molto dai quei
primi giorni.
Il professor Vitale scrive: “La realtà è che la
polizia esiste principalmente come sistema per gestire e persino produrre la
disuguaglianza reprimendo i movimenti sociali e gestendo rigidamente i
comportamenti dei poveri e non bianchi: quelli dalla parte perdente della
composizione economica e politica”.
Questi 19 fatti
dovrebbero capovolgere interamente il copione su come vediamo la polizia negli
Stati Uniti. Abbiamo bisogno di un modello totalmente nuovo/diverso/più
contenuto/meno violento. E ne abbiamo bisogno a partire da 400 anni fa.
da Znetitaly – Lo
spirito della resistenza è vivo
Originale: Consortium News
Traduzione di Giuseppe
Volpe
Traduzione © 2020 ZNET
Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3
GLI STATI UNITI, COME ISRAELE, ESERCITANO LA VIOLENZA
DI UNA POTENZA OCCUPANTE - Mairav
Zonszein
(tratto da: rete Italiana ISM)
Un altro poliziotto bianco ha ucciso un uomo di colore negli Stati Uniti.
Dopo oltre due mesi in cui gli spazi pubblici sono stati svuotati dalla
pandemia di coronavirus – una malattia che a sua volta ha sproporzionatamente
ucciso neri e mulatti nel paese – le strade sono ora piene di persone che
rischiano la vita e la sicurezza per chiedere giustizia per George Floyd e
tutta la vita nera.
L’uccisione di Floyd a Minneapolis una settimana fa è dolorosamente
familiare. Arriva solo due mesi dopo l’omicidio di Breonna Taylor a Louisville.
Solo poche settimane dopo la comparsa delle riprese dell’omicidio di Ahmaud
Arbery in Georgia. Dopo Eric Garner, Michael Brown, Philando Castille e Tamir
Rice. L’elenco continua.
Eppure, questa volta, sembra un momento di resa dei conti. Proteste di
massa, sirene, incendi, fumogeni, antisommossa, gas lacrimogeni e coprifuoco
riempiono le strade di città come Minneapolis, New York, Oakland, Atlanta,
Portland, Louisville e Washington DC. La polizia ha arrestato almeno 1.400
persone in 17 città e le autorità hanno ordinato il coprifuoco in 39 città in
21 stati. Sembra e forse è un’Intifada americana.
Mentre guardo tutto svolgersi, non posso fare a meno di notare i
sorprendenti parallelismi tra l’omicidio di George Floyd e gli innumerevoli
palestinesi uccisi per mano delle forze israeliane. Scrivo questo come qualcuno
che non è né palestinese né nero, ma come giornalista e attivista solidale con
entrambe le comunità, che ha assistito a eventi del genere sia negli Stati
Uniti che in Israele-Palestina.
Sebbene esistano differenze sostanziali tra i due paesi e le loro
circostanze, i meccanismi di violenza e repressione statali alla fine
funzionano allo stesso modo. C’è un chiaro “noi” e “loro”. La sensazione che ci
sia l’occupante e l’occupato. Se sei palestinese sotto il controllo israeliano,
sei un bersaglio. Se sei nero in America, sei un bersaglio. E quando prendi
posizione, sei picchiato o eliminato.
In entrambi i paesi, come in molti altri, lo stato esercita una brutale
violenza per preservare le disuguaglianze strutturali su cui si regge. Coloro
che difendono la dignità delle vite nere negli Stati Uniti, come quelli che
stanno con i palestinesi contro le autorità israeliane, si trovano faccia a
faccia con le forze armate che svolgono il ruolo di una potenza occupante
ostile.
I parallelismi sono diventati ancora più risonanti la settimana scorsa
quando, pochi giorni dopo l’omicidio di Floyd, un palestinese di 32 anni con
autismo, Iyad al-Hallaq, è stato ucciso dalla polizia di frontiera israeliana
nella Città Vecchia di Gerusalemme. Gli ufficiali hanno affermato di credere
che avesse in mano una pistola, ma non ce n’era. Quando gli hanno ordinato di
bloccarsi, al-Hallaq, per paura, ha corso e si è nascosto dietro un cassonetto.
Uno degli ufficiali gli ha sparato più volte, a quanto pare anche dopo che il
suo comandante gli ha detto di fermarsi.
Gli omicidi della scorsa settimana, insieme a molti altri, illustrano come
nei due paesi si rispecchiano a vicenda le esperienze di discriminazione e
brutalità. Ecco solo alcuni di questi punti in comune.
Il potere delle telecamere
L’omicidio di George Floyd è stato ripreso in video da più angolazioni. È il motivo principale per cui le notizie si sono diffuse così in fretta e perché quelli che hanno cercato di spiegare l’incidente hanno fallito. Anche i palestinesi documentano da anni violazioni dei diritti umani da parte degli israeliani, con riprese delle violenze che sono spesso uno dei soli strumenti che possono usare per chiedere giustizia e attirare l’attenzione sulla loro situazione.
L’omicidio di George Floyd è stato ripreso in video da più angolazioni. È il motivo principale per cui le notizie si sono diffuse così in fretta e perché quelli che hanno cercato di spiegare l’incidente hanno fallito. Anche i palestinesi documentano da anni violazioni dei diritti umani da parte degli israeliani, con riprese delle violenze che sono spesso uno dei soli strumenti che possono usare per chiedere giustizia e attirare l’attenzione sulla loro situazione.
L’omicidio di Floyd mi ha ricordato in particolare quando il soldato
israeliano Elor Azaria ha ucciso Abdel Fattah al-Sharif, un residente
palestinese di Hebron occupato, nel marzo 2016. Sebbene le circostanze fossero
diverse, Al-Sharif aveva tentato di pugnalare un soldato – come Floyd, Al-
Sharif giaceva inerme sul terreno, non rappresentando alcuna minaccia, quando
Azaria lo uccise fatalmente in un omicidio extragiudiziale.
Azaria è stato considerato una mela cattiva da alcuni in Israele, ma è
stato difeso da altri della destra. Dopo aver scontato nove mesi di prigione,
Azaria è stato liberato e accolto come un eroe da molti israeliani. Nonostante
l’enorme tumulto, l’IDF non ha cambiato nulla nella loro condotta in Cisgiordania
più di quanto la polizia americana non abbia cambiato nella loro.
Tuttavia, se tali filmati non fossero stati ripresi, molte indagini su
agenti di polizia e soldati (non importa quanto futili) non sarebbero state
aperte e portate alla conoscenza del pubblico. È per questo che Christian
Cooper, un uomo di colore e attento osservatore di uccelli, ha istintivamente
tirato fuori la sua macchina fotografica a Central Park a New York la scorsa
settimana quando Amy Cooper, una donna bianca, ha chiamato la polizia
dopo lui le aveva chiesto di mettere il suo cane al guinzaglio, sostenendo che
stava minacciando la sua vita. È per questo che molti palestinesi in
Cisgiordania iniziano allo stesso modo le riprese quando affrontano ufficiali
israeliani o coloni ebrei, attraverso i loro telefoni personali o telecamere
professionali distribuite da gruppi per i diritti umani.
La narrativa sulla violenza
Se non fosse per le proteste scoppiate a Minneapolis, che hanno visto la terza stazione di polizia della città distrutta dalle fiamme, David Chauvin, l’ufficiale di polizia che ha ucciso Floyd, probabilmente non sarebbe stato in custodia in questo momento e accusato di omicidio di terzo grado.
Se non fosse per le proteste scoppiate a Minneapolis, che hanno visto la terza stazione di polizia della città distrutta dalle fiamme, David Chauvin, l’ufficiale di polizia che ha ucciso Floyd, probabilmente non sarebbe stato in custodia in questo momento e accusato di omicidio di terzo grado.
Tuttavia, mentre i luoghi vengono saccheggiati e vandalizzati, la narrativa
dei media mainstream si è rivolta contro i manifestanti, sostenendo che sono
“criminali” che minano la loro stessa causa. Un New York Times pubblicato da
Ross Douthat, ad esempio, ha scoraggiato le rivolte sostenendo che “ciò che la
protesta non violenta ottiene, la protesta violenta lo perde”.
Tamika Mallory, un’importante attivista nera che è stata anche
profondamente impegnata nel movimento di solidarietà nero per la Palestina, ha
dato una commovente risposta a queste narrazioni: “Non parlarci del saccheggio.
Siete tutti voi i saccheggiatori … L’America ha saccheggiato i neri. L’America
ha saccheggiato i nativi americani quando sono venuti qui per la prima volta.
Quindi il saccheggio è ciò che fai, l’abbiamo imparato da te. Abbiamo imparato
la violenza da te … Quindi se vuoi che facciamo meglio, dannazione, fai di
meglio prima tu. ”
Questa stessa dinamica mediatica esiste in Israele-Palestina. Per decenni
Israele ha saccheggiato vite e proprietà palestinesi, privandole dei loro
diritti, incarcerandole, razziando le loro città, demolendo le loro case –
un’intera infrastruttura di violenza e saccheggio dello stato. Ma quando i
palestinesi protestano e reagiscono, vengono accusati di violenti; sono i
“terroristi”. Improvvisamente, la violenza di stato diventa invisibile.
Nel frattempo, la stragrande maggioranza dei palestinesi ha continuato a
manifestare in modo non violento, anche attraverso il movimento per il
boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni. Lo stesso tipo di dimostrazioni
sono state condotte da gruppi come Black Lives Matter da Ferguson nel 2014,
mentre atleti neri come Colin Kaepernick si sono inginocchiati durante l’inno
nazionale contro il razzismo e la brutalità della polizia, un semplice gesto
che è stato ancora affrontato con punizione e cdisprezzo. Nessuna forma di
protesta è mai abbastanza buona.
Doppio standard verso le proteste
Il doppio standard nel modo in cui le proteste statunitensi vengono trattate dalla polizia americana è sorprendente. Quando lo scorso mese si sono tenute dimostrazioni bianche, di estrema destra e anti-blocco – come quando centinaia di manifestanti armati nel Michigan hanno preso d’assalto un municipio – la polizia non ha sparato gas lacrimogeni o fatto arresti; non hanno nemmeno tirato fuori i loro manganelli.
Il doppio standard nel modo in cui le proteste statunitensi vengono trattate dalla polizia americana è sorprendente. Quando lo scorso mese si sono tenute dimostrazioni bianche, di estrema destra e anti-blocco – come quando centinaia di manifestanti armati nel Michigan hanno preso d’assalto un municipio – la polizia non ha sparato gas lacrimogeni o fatto arresti; non hanno nemmeno tirato fuori i loro manganelli.
Al contrario, sulla scia delle proteste della scorsa settimana, i sindaci
hanno imposto il coprifuoco e i governatori di diversi stati hanno chiamato la
Guardia Nazionale. Mentre i blindati vagano nei quartieri, la polizia ha
sparato granate stordenti, gas lacrimogeni e proiettili rivestiti di gomma a
Minneapolis e in altre città. I giornalisti hanno anche riferito che almeno 60
incidenti da venerdì sono stati presi di mira dalla polizia, anche se erano
identificabili dal casco, dal giubbotto e dal pass per la stampa; una
fotografa, Linda Tirado, è stata accecata nell’occhio sinistro da un proiettile
di gomma a Minneapolis.
Tutte queste pratiche sono un pilastro dell’occupazione israeliana,
tattiche prese dal libro di istruzioni israeliano. L’ordine del coprifuoco di
Los Angeles si legge come un ordine di zona militare chiusa dell’IDF. Gli
arresti e gli attacchi ai giornalisti per aver svolto il loro lavoro, cosa che
accade raramente negli Stati Uniti, è frequente in Palestina.
La risposta contraddittoria dello stato è palese anche in
Israele-Palestina. Quando i palestinesi protestano, vengono spesso picchiati,
arrestati o colpiti con armi da fuoco, e quelli arrestati lanciando pietre
possono essere inviati in prigione per anni. Gli ebrei israeliani, nel
frattempo, di solito possono protestare in modo relativamente libero, raramente
devono temere l’arresto o la repressione – la principale eccezione sono gli
ebrei etiopi, che sono stati ripetutamente brutalizzati dalla polizia per aver
protestato contro la discriminazione e la violenza dello stato.
Gli Stati Uniti certamente non hanno imparato tutti i propri metodi
repressivi da Israele, ma ci sono molte connessioni dirette. Negli ultimi anni,
le forze dell’ordine americane a livello federale, statale e locale hanno tenuto
corsi di formazione in Israele su programmi di scambio sponsorizzati da gruppi
come la Anti-Defamation League, molti dei quali incentrati sulle tattiche
antiterrorismo usate dai militari israeliani. Gruppi come Jewish Voice for
Peace hanno fatto una campagna per porre fine a questi programmi di scambio
proprio perché rafforzano i metodi e la mentalità di una forza occupante.
Anche l’ipocrisia dei gruppi che sponsorizzano questi scambi di polizia è
sorprendente. Il CEO di ADL Jonathan Greenblatt, ad esempio, ha rilasciato una
dichiarazione di solidarietà con la comunità nera in seguito all’assassinio di
Floyd, riconoscendo che sono soggetti a un “sistema razzista e ingiusto”.
Greenblatt, che frequentemente commenta gli affari israeliani, deve ancora condannare
l’uccisione di al-Hallaq o fare un’analoga osservazione sul “sistema razzista e
ingiusto” di Israele.
Impunità di polizia e dei militari
La polizia di Minneapolis è nota per aver rifiutato di rimuovere i cattivi ufficiali o di adottare riforme; l’ufficiale che ha ucciso Floyd, David Chauvin, aveva ricevuto 18 precedenti denunce contro di lui. A New York City – dove i poliziotti hanno aggredito i neri per allontanamento sociale durante la pandemia – negli ultimi quattro anni sono state presentate circa 2.500 denunce di parzialità contro gli agenti del NYPD; la polizia ha ritenuto ogni caso non valido.
La polizia di Minneapolis è nota per aver rifiutato di rimuovere i cattivi ufficiali o di adottare riforme; l’ufficiale che ha ucciso Floyd, David Chauvin, aveva ricevuto 18 precedenti denunce contro di lui. A New York City – dove i poliziotti hanno aggredito i neri per allontanamento sociale durante la pandemia – negli ultimi quattro anni sono state presentate circa 2.500 denunce di parzialità contro gli agenti del NYPD; la polizia ha ritenuto ogni caso non valido.
Allo stesso modo, i soldati e la polizia israeliani vengono raramente
consegnati alla giustizia per aver ucciso o danneggiato i manifestanti
palestinesi. Ad esempio, durante la Grande Marcia del Ritorno di Gaza, iniziata
nel marzo 2018, solo un soldato israeliano è stato processato per aver sparato
e ucciso un bambino palestinese chiaramente disarmato durante le proteste di
massa ed è stato condannato a un solo mese di prigione.
Altri soldati che hanno sparato gas lacrimogeni e proiettili letali
alle proteste in Cisgiordania raramente vengono processati. Il soldato che ha
ucciso l’attivista palestinese Bassem Abu Rahmeh, sparando un candelotto di gas
lacrimogeno al petto durante una protesta a Bil’in nel 2009, non è mai stato
accusato. Oltre un decennio dopo, nessuno è stato ritenuto responsabile della
sua morte.
Per ora, George Floyd sembra aver evitato il destino di Abu Rahmeh, dato
che il suo assassino Chauvin sembra destinato a subire un processo per il suo
crimine. Ma non c’è ancora nulla che garantisca che Chauvin dovrà affrontare
una giustizia significativa, né che altri violenti agenti di polizia debbano
affrontare le stesse conseguenze. Fino ad allora, l’America continuerà a vedere
molte rivolte simili.
CONTRASTO AL RAZZISMO
ISTITUZIONALE - Jack Rasmus
Una settimana fa a Minneapolis, davanti agli occhi di tutti, un nero,
George Floyd, è stato assassinato da un poliziotto, Derek Chauvin. Proteste
sono esplose in quasi cento città statunitensi e anche nel mondo e proseguono
ormai da più di una settimana.
Assassinii di neri da parte della polizia non sono una novità. Sono
endemici. Dunque perché le intense, diffuse e sostenute proteste questa volta?
Certamente la natura di questo particolare omicidio spiega in larga parte
le proteste e le reazioni particolarmente rabbiose. Ma non è l’intera
spiegazione. Giovani di ogni colore, razza ed etnia sono guidando le
dimostrazioni.
Un’uccisione sadica, spietata e intenzionale
L’uccisione di George Floyd è stata un assassinio poliziesco
particolarmente abominevole. E’ stato chiaramente intenzionale. E’ stato
spietato. E’ stato sadico. Mentre il mondo guardava, Floyd è stato ammanettato,
faccia a terra sulla strada, implorante per la sua vita. E più implorava, più
Derek Chauvin, il poliziotto, pareva determinato e accanito, intento a
mantenere il suo ginocchio sul collo di Floyd. Nei primi sei minuti, Floyd
implorava per la sua vita, persino pietosamente chiamando sua madre alla fine,
una chiara indicazione che sentiva avvicinarsi gli ultimi momenti della sua
vita. Ma per quasi altri tre minuti il ginocchio di Chauvin è rimasto dopo che
Floyd aveva già perso conoscenza.
Ciò che infuria coloro che hanno osservato di più l’assassinio è stata la
mancanza di pietà mostrata da Chauvin e dai suoi tre colleghi agenti complici. Quella
che hanno mostrato è stata chiaramente un’intenzione di uccidere. Chauvin è
sembrato quasi provare piacere nel mantenere il suo ginocchio sul collo di
Floyd per altri tre minuti dopo che questi giaceva immobile. Ciò lo ha reso un
assassinio particolarmente sadico.
Ha suggerito a chi ha visto il video, specialmente ai neri, che la polizia
nel 2020 non mostrerà alcuna pietà. Implorate quanto volete per la vostra vita
una volta ammanettati, inermi, faccia a terra nella polvere. Vi uccideranno
comunque. E apparentemente godranno nel farlo!
L’atto dell’omicidio è stato seguito da un’altra tipica serie di eventi,
anch’essi che si verificano troppo spesso oggi negli Stati Uniti: la polizia di
Minneapolis e l’ufficio del procuratore distrettuale (DA) della città hanno
tergiversato ed esitato nell’agire, reagendo soltanto quando sono scoppiate le
proteste. Tale ritardo ha suggerito che era in corso un tipico insabbiamento,
quale è tanto spesso la reazione delle autorità locali in casi simili.
C’è un grosso problema oggi negli Stati Uniti: le profonde relazioni che
esistono tra la polizia e gli uffici dei DA. Entrambi ‘si grattano la schiena a
vicenda’, come dice il motto: il DA dipende dalla testimonianza della polizia
per ottenere condanne in tribunale; a loro volta i DA ci vanno leggeri e
aiutano a proteggere la polizia in cambio delle sue testimonianze favorevoli.
Sindacati della polizia forniscono frequentemente considerevoli donazioni ai
candidati a Procuratore Distrettuale che li favoriscono, creando una specie di
‘conflitto d’interessi’ politico da parte dei DA. Gli uffici dei medici legali
svolgono un ruolo di contributo, fornendo qualsiasi risultato di autopsia
necessario per sostenere il DA. Gran Giurì attentamente selezionati, nel caso
le contestazioni legali di un omicidio arrivino fino a loro, avallano poi le
loro congiunte, mutue coperture. E’ un’intesa istituzionale che troppo spesso
distorce la procedura del giudice.
Dunque non si tratta solo di un occasionale poliziotto razzista. Si tratta
di razzismo istituzionalizzato. Uno schema che si ripete in continuazione. E’
anche di questo che i contestatori dell’omicidio di Floyd si rendono conto e
contro cui dimostrano. Lo hanno visto in precedenza. Ripetutamente.
I neri sanno oggi che implorare per la propria vita quando prossimi a
essere assassinati – come chiedere giustizia dopo il fatto – più spesso che no
incontrerà orecchie istituzionali sorde quando si tratta di brutalità della
polizia. Nessuna pietà e nessuna giustizia fanno parte dello stesso pacchetto
razzista istituzionalizzato.
Proteste come atti di solidarietà
Le immediate e sempre più rabbiose proteste che sono seguite all’assassinio
di George Floyd non sono dovute unicamente all’omicidio poliziesco di Floyd. I
media vorrebbero che lo pensaste. Si tratta solo dell’omicidio di Floyd e della
brutalità della polizia. I politici vorrebbero che lo pensaste. Tutti quei
leader che sollecitano alla calma e al dialogo vogliono che lo pensiate.
Floyd può essere stato ucciso in nove minuti. Ma molti giovani negli Stati
Uniti oggi, specialmente ma non solo giovani di colore, sentono che le loro
vite sono lentamente e costantemente prosciugate quotidianamente, risucchiate
dall’iniquità e dall’ingiustizia del “sistema”. Sentono che il sistema – un
sistema capitalista che premia sempre più i ricchi e ignora il resto come mai
prima nella storia – ha il ginocchio anche sui loro colli. E tale sistema, quel
ginocchio, non è meno implacabile, non mostra nessuna pietà, e non ha
intenzione di allentare la pressione.
Giovani lavoratori di ogni colore sanno oggi che le loro vite sono
distrutte più insidiosamente, passo dopo passo, anno dopo anno, mentre lottano
per sopravvivere: licenziati e passando da un lavoro sottopagato all’altro,
accumulando un debito schiacciante su altro debito, privi di minimi benefici
sanitari, trasferiti da un appartamento all’altro mentre gli affitti sono
continuamente aumentati, senza speranza di avere una normale vita familiare, di
rimborsare mai i debiti per gli studi, in effetti dovendo vivere una forma di
apprendistato economico del ventunesimo secolo, una cittadinanza di seconda o
persino terza classe, mentre vedono multimilionari e miliardari aumentare quasi
esponenzialmente la loro ricchezza.
In solo gli ultimi tre anni sotto Trump le imprese hanno registrato
profitti record, a ricchi investitori e all’un per cento sono stati concessi
tagli fiscali per 4,9 trilioni di dollari e 3,4 trilioni di dollari in
riacquisti di azioni e distribuzioni di dividendi. Mentre i ricchi e le loro imprese
diventano più ricchi, il resto deve arrangiarsi con salari stagnanti o in calo,
facendo due o tre lavori e con una costante perdita di lavoro e di ricambio.
Tutti quei manifestanti nelle strade la scorsa settimana – virtualmente
tutti giovani – non stanno dimostrando solo contro l’assassinio di Floyd e il
razzismo istituzionalizzato. Quella è la punta dell’asta della protesta. Ma è
più di questo. E’ più profondo di così. Ci sono una frustrazione e una
disperazione più grave dietro a tutto questo, che colpiscono specialmente
decine di milioni di statunitensi giovani.
I giovani dimostranti hanno guardato Floyd e hanno visto sé stessi. Le
proteste sono dunque un’eruzione di solidarietà sociale tra vasti segmenti
della gioventù statunitense! Non solo tra giovani neri e di minoranze ma di
giovani statunitensi in generale. Guardate la composizione dei dimostranti una
città dopo l’altra. Sono prevalentemente millennials e Generazione Zeta di ogni razza,
etnia e genere che sentono di essere stati lasciati indietro dal “sistema”.
Esclusi e dichiarati sacrificabili. Sono virtualmente tutti giovani della
classe lavoratrice. Quello che le proteste dimostrano è che Classe e Razza si
stanno unendo! Specialmente tra i giovani.
Temono la brutalità della polizia, specialmente i neri e i giovani di
colore. Ma temono anche di essere condannati a una vita di lavoro a tempo
parziale e determinato sottopagato, senza indennità, insicuro e senza futuro.
Facendo due e persino tre lavori raffazzonati solo per tirare avanti.
E oggi, con l’avvento della pandemia del coronavirus, persino quei lavori
nei servizi, prevalentemente sottopagati, sono stati spazzati via dal virus e
dal recente crollo economico, molti dei quali, sentono non torneranno presto o
addirittura per nulla. L’Ufficio del Bilancio del Congresso oggi, 2 giugno
2020, ha annunciato che probabilmente ci vorranno dieci anni perché tornino i
posti di lavoro ora persi e molti non torneranno per nulla! Non ci sarà alcuna
rapida ripresa a V. La forma sarà a W, estesa su un decennio o più, con
periodiche brevi e deboli riprese, seguite da ripetute ricadute e recessioni,
che ci siano o no successive ondate del virus. Il dado economico è gettato.
L’economia statunitense (e quella globale) è entrata in una fase di lungo,
cronico declino.
Ciò di cui i dimostranti non si rendono ancora conto, ma presto lo faranno,
è che altri dei loro lavori sottopagati senza futuro stanno per essere spazzati
via dalla rivoluzione in arrivo dell’Intelligenza Artificiale (AI) e
dall’automazione ora rampante. Secondo McKinsey Consulting la AI eliminerà il
30 per cento di tutte le occupazioni nei prossimi da cinque a dieci anni.
Persino i loro lavori sottopagati, senza futuro nei servizi saranno eliminati.
Si aggiungano a tutto quanto precede le paure per la crisi climatica in
peggioramento che i giovani dimostranti sanno che dovranno attraversare. E a
ciò la crescente consapevolezza pubblica di una crisi politica in aggravamento
negli Stati Uniti, mentre la nazione scivola nella tirannia spinta dall’ala
trumpiana dell’élite politica statunitense.
Gli USA sono entrati in una “crisi tripla”: assistenza sanitaria &
ambiente; occupazione ed economia; e una crescente crisi politica di democrazia
negli stessi Stati Uniti. I dimostranti lo sanno. Lo avvertono e lo sentono e
sono sempre più frustrati, arrabbiati e disperati. La gioventù negli Stati
Uniti sta diventando sempre più disperata. Tutto quell’”innesco di una crisi
sociale” sta alimentando le proteste. La brutalità della polizia, il razzismo
istituzionale e l’omicidio sono solo le scintille che hanno incendiato il
tutto. Non si tratta più di George Floyd.
CHE COSA FARE? ALCUNE PROPOSTE
Dunque quali le soluzioni? All’aggravamento degli assassinii polizieschi;
ai provocatori suprematisti bianchi che sono intenti a scatenare una guerra
razziale (come dicono nelle loro stesse parole; ai saccheggiatori delle sottoclassi
che predano approfittando delle proteste e delle dimostrazioni; al razzismo
istituzionalizzato locale? Che cosa si può fare?
Non è più accettabile dire, come dichiarano quotidianamente le élite di
entrambi i partiti e i loro media, che i dimostranti dovrebbero restare calmi,
andarsene a casa, e dialoghiamo riguardo a come riformare la polizia. Ciò è già
stato fatto in passato. Molte volte. Con scarsi risultati. E’ ora che neri,
dimostrati e contestatori nelle strade oggi sviluppino proprie soluzioni indipendenti
al problema della brutalità della polizia.
Ci sono tre iniziative generali che potrebbero essere intraprese
immediatamente per contrastare il razzismo istituzionale negli Stati Uniti che
ci dà quotidianamente assassinii di George Floyd:
1.
Spezzare il legame di ferro tra i Dipartimenti di Polizia e gli Uffici dei
Procuratori Distrettuali.
2.
Lanciare un movimento nazionale di “Polizia della Polizia”.
3.
Creare “Comitati di Sicurezza” comunitari locali.
Al centro del razzismo istituzionale c’è la relazione tra i dipartimenti
locali di polizia e i Procuratori Distrettuali. La polizia fa affidamento sui
DA per soffocare, ritardare e disinnescare indagini e azioni penali contro
poliziotti che hanno attuato brutalità e omicidi contro neri e altre
minoranze. I DA, a loro volta, dipendono dalle testimonianze della polizia in
cause giudiziarie per essere in grado di vincere i loro casi e promuovere le
proprie carriere personali. In cambio dell’assistenza della polizia i DA vanno
leggeri con i poliziotti accusati di brutalità. Sapendo di essere coperti, i
poliziotti si sentono più inclini a sparare per primi e a non preoccuparsi
delle conseguenze. E’ una mentalità da “gratta la mia schiena, che io gratto la
tua” che permea entrambe le istituzioni – dipartimenti di polizia e uffici dei
DA – quasi dovunque oggi negli Stati Uniti.
Gli uffici dei medici legali svolgono un ruolo secondario ma importante nel
processo quando c’è di mezzo un omicidio. Assistono il DA rappresentando una
decisione sulla causa della morte che convenientemente distragga dall’azione
poliziesca in questione. Il defunto è morto di un attacco cardiaco e aveva
problemi di cuore antecedenti è spesso la causa ufficiale di morte. Non si è
trattato di soffocamento dell’imputato da parte della polizia. E’ stato un
attacco di cuore che si sarebbe verificato indipendentemente dalla presa
soffocante. Il tizio aveva un cuore malato o qualche altra condizione
sottostante è stata la causa della morte, non la tattica impiegata dalla
polizia.
Un altro protagonista istituzionale nella farsa è spesso un Gran Giurì
locale. Questa istituzione arcaica non è nulla di simile a una “giuria” reale,
anche chiamata così. E’ un gruppo selezionato spesso favorevole alla polizia e
di cosiddetti “cittadini onesti”, intendendo più spesso che no conservatori
bianchi orientati agli affari. Gran Giurì spesso decidono di rigettare accuse,
dando al DA la copertura per non procedere all’azione penale. Se il DA dovesse
procedere comunque, le accuse sarebbero ridotte da omicidio a qualcosa di meno
in base alle raccomandazioni inferiori del Gran Giurì. Se condannato, la pena
del poliziotto in questione è spesso ridotta al solo licenziamento. Ma poi ha
titolo a trasferirsi a un altro dipartimento di polizia e a essere riassunto. I
dipartimenti di polizia hanno spesso un’intesa tacita di riassumere le “mele
marce” gli uni degli altri. Così un poliziotto con una lunga storia di violenze
contro neri e minoranze continua a lavorare da qualche parte “più avanti”. Non
è diverso dalla chiesa cattolica che si limita a trasferire qualche prete
pedofilo in un’altra parrocchia.
Spezzare il legame di copertura tra polizia e procuratore distrettuale
§
A DA locali deve essere vietato di procedere penalmente contro poliziotti
locali in casi di brutalità e omicidi collegati al razzismo. La responsabilità
dell’azione penale deve essere trasferita a una fonte indipendente esterna alla
contea o alla città.
§
Ai sindacati e alle organizzazioni della polizia deve essere vietato di
contribuire alle campagne elettorali dei DA.
§
I medici legali dovrebbero essere scelti dalle famiglie della parte uccisa
per garantire imparzialità.
§
I Gran Giurì dovrebbero essere aboliti, specialmente e cominciando dai casi
che implicano brutalità e uccisioni da parte della polizia.
§
A un poliziotto licenziato per una causa relativa a brutalità razziste
dovrebbe essere impedito di essere riassunto da un altro dipartimento di
polizia altrove.
Lancio di un movimento nazionale di “Controllo della polizia”
§
Dovrebbe essere lanciato un movimento di “Controllo della polizia”. Ogni
volta che un poliziotto affronti e fermi qualcuno, il pubblico dovrebbe usare
cellulari o altri mezzi fotografici per registrare l’interazione. Questo è oggi
fatto per caso e occasionalmente. Dovrebbe esserci uno sforzo generale di
educazione a livello nazionale di coinvolgere tutti nella pratica di registrare
in video poliziotti ogni volta che assistono a un’interazione della polizia con
qualsiasi cittadino.
§
Dovrebbe essere creato un archivio nazionale indipendente di fotografie e
registrazioni video di scontri.
§
Dovrebbe essere avviata anche una campagna di istruzione pubblica che
incoraggi il pubblico a inviare immediatamente tutti i video all’archivio
nazionale indipendente.
§
L’archivio pubblico dovrebbe essere accessibile a tutti in rete.
Creazione di ‘Comitati di Sicurezza’ comunitari locali
§
Tutte le città dovrebbero creare ‘Comitati di Sicurezza’ comunitari locali
per controllare la polizia, raccogliere informazioni su sconti e rendere le
informazioni disponibili al pubblico generale.
§
I Comitati dovrebbero organizzare proteste e dimostrazioni e coordinarsi
con altri Comitati esterni all’area locale per organizzare proteste e
dimostrazioni più vaste.
§
Durante le proteste e le dimostrazioni i membri del Comitato dovrebbero
occuparsi del compito di identificare, contrastare e sradicare i provocatori. E
distribuire volantini fotografici di suprematisti bianchi e provocatori noti ai
partecipanti alle proteste e dimostrazioni.
§
I Comitati di Sicurezza dovrebbero pubblicizzare alla comunità in generale
gli identificati come saccheggiatori durante proteste e dimostrazioni.
§
I Comitati dovrebbero sostenere e far correre candidati a consigli
comunali, amministratori cittadini, DA e giudici eletti localmente che siano
impegnati e sostenitori di Black Lives Matter e di altri gruppi di minoranza
per i diritti civili.
§
Comitati dovrebbero avanzare richieste di modifiche di ordinanze locali e
di leggi statali per proteggere i diritti dei dimostranti e organizzare
votazioni di revoca di politici che non lo facciano.
§
I comitati dovrebbero avviare altre misure secondo necessità per garantire
la sicurezza dei dimostranti da provocatori, violenze di suprematisti bianchi e
altri fautori della violenza contro persone o proprietà durante manifestazioni.
Molte di queste proposte non sono nuove. Altre sono avanzate oggi dai
dimostranti. Ma il punto è che le proteste e dimostrazioni dovrebbe essere
portate al livello organizzativo successivo. Non possono proseguire come
semplici eventi spontanei. Senza organizzazione alla fine evaporeranno. O
saranno preda di provocatori e saccheggiatori. O manipolate da politici a fini
di elezione o carriera personale. O tutto questo.
Senza organizzazione il movimento “I Can’t Breathe’ [Non riesco a
respirare] antirazzista e contro la brutalità della polizia che ha spazzato il
paese corre il rischio di svanire alla fine, proprio è successo ad altri
promettenti movimenti popolari come ‘Occupy’ nel 2011 e i ‘Gilet Gialli’ in
Francia di qualche anno fa. Senza organizzazione i provocatori e saccheggiatori
allontaneranno i dimostranti dai media offrendo copertura alla reazione “legge
e ordine” della destra che userà la violenza per reprimere le dimostrazioni
introducendo ancora altre restrizioni ai diritti civili di libertà di assemblea
ed espressione. Né la polizia e i politici libereranno le proteste da
provocatori e saccheggiatori. I dimostranti devono farlo da sé. Ma ciò non può
essere fatto senza organizzazione.
L’altro rischio, persino maggiore, in assenza di organizzazione, è che
politici convenzionali dirotteranno l’energia e la rabbia dei dimostranti in
canali per farsi eleggere.
L’organizzazione è necessaria anche semplicemente per ampliare e costruire
proteste e dimostrazioni e per assicurare che proseguano con un’affluenza
sempre più vasta.
Creare ‘Comitati di Sicurezza’ comunitari locali è l’elemento organizzativo
chiave necessario per costruire il potere organizzativo delle proteste e
dimostrazioni. Avviare un movimento di ‘controllo della polizia’ è un modo per
collegare i ranghi generali dei dimostranti – e il pubblico in generale – al
lavoro di Comitati di Sicurezza. E i Comitati e il movimento pubblico di
Controllo della Polizia sono insieme i mezzi mediante i quali attaccare in modo
politicamente indipendente il razzismo istituzionalizzato radicato oggi nelle
relazioni tra dipartimenti di polizia, procuratori distrettuale, medici legali
e Gran Giurì.
Abbattere il razzismo istituzionale richiede un movimento politico
indipendente, con una struttura organizzativa radicata nella base. Tale
movimento indipendente è oggi nelle strade degli Stati Uniti. Porterà il
movimento al livello successivo, un livello necessario per abbattere le
radicate istituzioni locali del razzismo?
da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo
Traduzione di Giuseppe Volpe
Traduzione © 2020 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3
Il diritto di respirare. Nel nome di George Floyd - Marie Moïse
George Floyd è morto soffocato ieri
a Minneapolis sotto al ginocchio di un poliziotto che lo teneva fermo mentre l’uomo
in arresto con il poco fiato rimasto ha provato a chiedergli di lasciarlo
respirare: «I can’t breathe».
Floyd è stato fermato per un controllo mentre era alla guida, ma era nero e
tanto basta per trasformare un contatto con la polizia in una condanna a morte.
Anche questo ennesimo omicidio poliziesco a sfondo razziale sarà derubricato a
«incidente» a opera di una mela marcia. E ogni reazione allo stato di cose
verrà punita come «violenza».
Lo abbiamo visto con Michael Brown a Ferguson, Trayvon Martin a Sanford,
Eric Garner a New York, il cui ultimo appello al respiro ha rimbalzato sui
social network, gli striscioni e le manifestazioni oceaniche affianco alle
parole d’ordine che hanno dato corpo al movimento di #BlackLivesMatter. Ma lo abbiamo visto
anche in Francia con Adama Traoré morto asfissiato poche ore dopo il suo
arresto (per aver rifiutato di mostrare i documenti), seguito dalla
carcerazione dei suoi fratelli per aver animato la protesta. E ancora, con l’affaire Théo,
stuprato con un manganello durante un controllo di polizia nelle periferie di
Parigi, passato in giudicato come uso legittimo e proporzionato della forza. E
lo abbiamo visto anche in Italia, con Vakhtang Enukidze, morto durante un
pestaggio della polizia mentre era rinchiuso dentro al Cpr di Gradisca lo
scorso gennaio. Dei 14 morti nelle rivolte
in carcere all’inizio della pandemia, quasi tutti stranieri, ancora non ci è dato
sapere, ma a quanto pare ci dobbiamo accontentare della versione di un’overdose
di massa o di un disegno di stampo mafioso.
Il razzismo filtra ogni percezione umana, a partire dal nostro presunto
automatismo a distinguere tra una persona nera e una bianca, facendo di ogni
Nero un pericolo e di ogni gesto del Bianco verso di lui un atto di «legittima»
difesa. Come scrive Colette Guillaumin ne L’idéologie raciste, è la costruzione della
differenza razziale a plasmare ogni nostra percezione, visiva in particolare, e
che ci permette di fare distinzioni «fisiche» (chiamiamole più precisamente
«razziali») e di porle come oggettive, immediate, autoevidenti. Ed è sulla base
di questa immediata «schematizzazione razziale delle percezioni» – per dirla
con Judith Butler e Elsa Dorlin – che si definisce
allo stesso tempo la produzione di ciò che viene percepito e ciò che significa
percepire.
Il corpo di Floyd, nel momento in cui è percepito come nero è già
pericoloso, già da disarmare, già aggredibile per diritto. E ogni gesto di
autodifesa del Nero, non può che essere percepito come riprova della sua natura
violenta e aggressiva, da cui «legittimamente» difendersi. Ogni suo appello
alla vita è inascoltato per definizione – Floyd non respirava, ma il poliziotto
non si è preoccupato nemmeno per un attimo che potesse davvero morire – perchè
dai tempi della schiavitù la vita – e la morte – del Nero dura solo fino a che
non può essere rimpiazzata con la successiva. È in particolare il corpo del
nero uomo che ricade in questo schema percettivo, quello di una maschilità
bruta e bestiale, antitetica all’unica riconosciuta, ovvero quella che crea
l’associazione immediata tra maschio bianco e essere umano e che fa del nero un
non-maschio e quindi non-umano. Un processo di deumanizzazione per
devirilizzazione, o meglio ipervirilizzazione.
Ieri a Minneapolis, nel giro di poche ore una massa di persone si è riversata
in strada a chiedere giustizia. C’è una risposta spontanea dal basso che non
sta ferma a guardare, ma prende immediatamente posizione, di fronte all’abuso e
si stringe attorno alla famiglia di Floyd, o meglio alle donne della famiglia
di Floyd che piangono l’ennesimo uomo della comunità nera rimasto letteralmente
schiacciato sotto al peso del suprematismo bianco. Come scrive l’attivista e
docente Keeanga-Yamahtta Taylor le donne nere
sono al cuore dei movimenti antirazzisti e contro la violenza della polizia
negli Stati uniti dai tempi del movimento contro il linciaggio promosso dalla
tenacia di Ida B.Wells. Questo non solo perché
vittime esse stesse della violenza suprematista, ma anche in virtù dell’effetto
devastatore che la violenza della polizia, colpendo gli uomini in particolare,
riversa sulle loro vite, sulle famiglie e comunità nere di cui si trovano a
essere le responsabili.
Ma c’è qualcosa che allo stesso tempo mi solleva e mi turba nelle immagini
di protesta di ieri. È stata una presa di posizione, politica e fisica, che si
afferma nello spazio pubblico a cui la pandemia ci ha costretto per diverso
tempo a rinunciare. Quella folla mi solleva ma mi turba, perchè quelle
mascherine a coprire naso e bocca di ogni manifestante rendono ancora più sordo
il grido di Floyd, morto soffocato, mentre il mondo si fermava per sconfiggere
il virus che ha generato una crisi respiratoria globale.
In un poetico pezzo del mese scorso il
filosofo Achille Mbembe scriveva di come il Covid-19 abbia fatto emergere un
elemento inquantificabile e che travalica ogni presupposto confine tra le forme
del vivente: la centralità del respiro. Un gesto originario, l’atto vitale per
eccellenza, che immette in una relazione primaria il corpo con il suo essere
nel mondo che la stessa attività umana, distorta e deviata dall’oppressione
sociale e dallo sfruttamento delle risorse in tutte le sue forme, ha distrutto,
inquinato, strozzato. Con le scorie della produzione inquinante e intensiva,
con il disboscamento, con le epidemie che hanno devastato il Sud del mondo
negli scorsi decenni, con le carenze dei sistemi sanitari. «Prima di questo
virus l’umanità era già minacciata di soffocamento», scrive Mbembe. E come
abbiamo visto in questi mesi sono state proprio le categorie sociali più
fragili ad aver esposto maggiormente la vita a questa pandemia, i Neri negli
Stati uniti in primis.
«Se guerra ci deve essere – scrive sempre Mbembe – dev’essere non contro un
virus in particolare ma contro tutto ciò che condanna la maggior parte
dell’umanità all’arresto prematuro del respiro, contro tutto ciò che attacca le
vie respiratorie, contro tutto ciò che nella lunga durata del capitalismo avrà
confinato ampi segmenti della popolazione e razze intere a una respirazione
difficile, affannata, a una vita pesante. Ma per uscirne bisognerà iniziare a
comprendere la respirazione al di là dei suoi aspetti biologici, come ciò che
ci accomuna e, che per definizione, sfugge a ogni calcolo. In tal modo stiamo
evocando un diritto universale al respiro».
La storia della conquista dei diritti è una storia di conflitti, vinta da
chi fino al giorno prima veniva fatto passare per violento o per minaccia
dell’equilibrio sociale. Frantz Fanon scriveva che i dannati della terra non si
sono ribellati perché hanno fatto un salto di coscienza intellettuale, ma
«perché “semplicemente” gli era diventato impossibile respirare». Forse, per
questo diritto all’aria che ci tiene in vita, è giunto il momento di entrare in
conflitto. Nel nome di tutti i George Floyd che lo hanno rivendicato fino
all’ultimo respiro.
Floyd, Minneapolis e noi. I
numeri di una sconfitta collettiva
Analisi di Yeshimabeit Milner,
direttrice esecutiva di Data for Black Lives
Noi di Data
for Black Lives siamo infuriati per l’omicidio di George Floyd da
parte della polizia a Minneapolis. Ci uniamo ad altre organizzazioni nel
sollecitare il procuratore distrettuale di Hennepin affinché accusi
immediatamente gli ufficiali che hanno ucciso George Floyd. Riteniamo che sia
necessario sostenere le richieste di rimuoverne i fondi e abolire la polizia
per come è. Ma non ci si può fermare qui. Dobbiamo riconoscere che l’omicidio
per mano delle forze dell’ordine è solo una delle forme di violenza tollerate
dallo stato.
La polizia è
un sottoprodotto di sistemi più grandi, più insidiosi, ma spesso meno visibili.
La polizia esiste per proteggere il capitale bianco e rafforzare le condizioni
economiche e politiche già esistenti. Sappiamo che quando vediamo pratiche
aggressive da parte della polizia, dietro ci sono forme più brutali di
disuguaglianza economica e sociale.
Dal 2000, la
a polizia di Minneapolis – St Paul ha ucciso 49 persone. Di queste, il 25% era
nero. Onoriamo i ricordi di tutti coloro la cui vita è stata interrotta a causa
di un omicidio compiuto dallo stato. Ecco alcuni dei loro volti. Per rispetto
dei morti e delle loro famiglie, non abbiamo incluso le immagini di molte
persone che erano state uccise, poiché le uniche foto disponibili nel database
sono foto segnaletiche.
Non
aspetteremo un’altra tragedia per essere solidali con le comunità nere di
Minneapolis, delle Twin Cities e dello stato del Minnesota. Perché per i neri
di tutta l’America, la recente tragedia di Minneapolis e le ingiustizie che i
neri del Minnesota affrontano da anni sono una metafora del nostro mondo.
Data for
Black Lives è un movimento di scienziati e attivisti che lavorano per rendere i
dati uno strumento di cambiamento sociale, anziché un’arma di oppressione
politica. Sin dall’inizio di Data for Black Lives, uno dei principali obiettivi
del mio lavoro come direttrice esecutiva è stato quello di imparare dai leader
delle città di questo paese che lavorano nelle trincee delle condizioni più
opprimenti. Attraverso il nostro programma di hub, conferenze e altre attività
trovo il modo per sostenere e amplificare la loro leadership a livello
nazionale e globale.
Ho avuto
l’opportunità di viaggiare verso le Twin Cities – scoprendo cosa significasse
vivervi da neri, latini o nativi – dopo che i funzionari eletti della Contea di
Ramsey hanno annunciato un accordo sulla condivisione dei dati sui poteri
congiunti che avrebbe aggregato i dati tra le diverse agenzie per creare
“rapporti di rischio” che sarebbero stati usati sugli studenti.
Gli
attivisti temevano che sarebbe diventato l’algoritmo che avrebbe portato le
persone dalla culla alla prigione. I leader della comunità sapevano che i
rapporti di rischio avrebbero solo rafforzato la disuguaglianza razziale
esistente da molto tempo, in una città che si colloca tra le prime del paese
per disparità razziali. La campagna ha portato a una vittoria: la coalizione,
ora conosciuta come l’organizzazione Data for Public Good, ha costretto il
sindaco e altre agenzie a sciogliere l’accordo.
Ora il mondo
intero è testimone delle condizioni materiali affrontate dai neri del
Minnesota. Una confluenza di fattori sociali, politici ed economici: politiche
messe in atto molto tempo fa hanno minato l’umanità e negato la dignità dei
neri, relegando intere comunità allo status di casta inferiore.
Ho appreso
dai leader neri del “Minnesota Nice”, un termine che descrive la cordialità e
l’avversione allo scontro che molti Minnesotani sostengono, una gentilezza che
è stata anche efficace nel mascherare l’ostilità dei sentimenti razziali e nel
negare l’esistenza del razzismo strutturale.
Molte
persone in tutti gli Stati Uniti vedono Minneapolis e St. Paul come liberal e
slegate dalla storia di razzismo che caratterizza il sud. Ma i dati raccontano
una storia diversa¹:
- I neri di Minneapolis hanno
quattro volte più probabilità dei bianchi di vivere al di sotto della
soglia di povertà
- Le famiglie nere a Minneapolis
guadagnano 34.174 dollari all’anno, il 43,4% della media di una famiglia
bianca e 4.000 dollari in meno rispetto alla media delle famiglie nere a
livello nazionale
- Le persone nere hanno maggiori
probabilità di essere incarcerate e hanno probabilità sproporzionate di
subire brutalità da parte della polizia.
- Solo il 24% dei neri è
proprietario delle proprie case a Minneapolis, rispetto al 74% dei bianchi
- Il tasso di disoccupazione dei
neri è quasi quattro volte superiore al tasso di disoccupazione dello
stato.
Mentre i
neri di Minneapolis sono stati ridotti allo status di casta inferiore, le
comunità bianche hanno prosperato. Mentre i residenti bianchi dell’area
metropolitana delle Twin Cities stanno meglio degli americani bianchi a livello
nazionale in una serie di valutazioni, la popolazione nera della zona è messa
peggio in parecchi parametri rispetto alla popolazione nera a livello
nazionale. La tipica famiglia bianca a Minneapolis guadagna 78.706 dollari
all’anno, oltre 17.000 dollari in più rispetto alla cifra nazionale, mentre i
neri in Minnesota guadagnano 4.000 dollari in meno rispetto ai neri negli altri
stati.
Ciò è
inaccettabile considerando la ricchezza dello stato e l’abbondanza di
opportunità disponibili nelle città gemellate, opportunità che sono state
abitualmente negate ai neri.
Lo stato del
Minnesota è il decimo stato più ricco dell’intera nazione (ospita 6 miliardari
e la regione metropolitana Minneapolis St. Paul è la tredicesima economia del
paese in base al PIL³). Il Minnesota è anche uno degli stati con il maggior
numero di sedi principali di aziende elencate tra le 500 più ricche della
rivista Fortune. Tra queste Target, Best Buy, Cargill, General Mills e United
Health⁴.
Nel
frattempo, un abitante nero del Minnesota su tre ha presentato domanda di
disoccupazione dall’inizio della crisi COVID-19⁵, mentre un numero
relativamente basso di lavoratori bianchi ne ha fatto richiesta, rivelando
quali comunità stanno vivendo peggio la crisi economia da pandemia.
Jim Crow del
Nord
Come è
potuto accadere che i neri di Minneapolis abbiano dovuto affrontare alcune
delle situazioni economiche più violente mentre i bianchi hanno costruito una
ricchezza sostanziale, superando quella di molti altri stati?
Come abbiamo
anche appreso dalla crisi COVID-19 nelle comunità nere, la causa principale di
queste disparità è fondata su vecchie storie di politiche pubbliche aggressive
che hanno stabilito con successo un sistema di razzismo strutturale
profondamente radicato, con la conseguenza di aver portato non solo al degrado
delle comunità nere, ma anche una mobilità verso l’alto dei bianchi.
Mentre
esattamente in questo momento le comunità nere di Minneapolis vengono
demonizzate per le rivolte in risposta alla morte di George Floyd, gli scontri
come tattica della violenza della “folla” bianca sono endemiche nella storia
del Minnesota. In effetti, il Minnesota all’inizio del XX secolo fu segnato da
un livello di violenza razziale e di terrore che oggi lo ha reso noto come
il Jim Crow del
Nord. Il 15 giugno di quest’anno ricorre il 100esimo anniversario dei linciaggi
di Duluth: l’omicidio dei tre lavoratori neri Elias Clayton, Elmer Jackson e
Isaac McGhie⁶. Dopo che una donna bianca mentendo li accusò di stuprò, sei
uomini neri furono arrestati e detenuti nella prigione della città di Duluth.
Mentre la
notizia si diffondeva, e sebbene ci fossero prove evidenti del fatto che lo
stupro non fosse accaduto, ne seguì una rivolta: una folla arrabbiata di 10.000
persone armate con mazze e altre armi irruppe nella prigione con l’aiuto del
commissario di polizia e trascinò fuori dalle loro celle Clayton, Jackson e
McGhie. Infine le fece linciare su un palo della luce. Una grande giuria
incriminò trentasette persone per rivolta, mentre nessuno venne condannato per
omicidio. Nessuno andò in prigione.
Il terrore
assunse forme esplicite e violente ma anche sottili e istituzionali. La
violenza razziale fu stata scritta attraverso la pubblicazione di atti e
contratti di case sotto forma di alleanze razziali. Applicate dalla violenza
della folla bianca e dai legislatori locali (gruppi che non si escludevano a
vicenda) queste alleanze tenevano i neri fuori dalla maggior parte dei
quartieri delle Twin Cities e venivano usate per negare l’accesso alla
proprietà della casa, sequestrando intere comunità in quartieri che venivano
svalutati, controllati e segregati.
Le alleanze
razziali iniziarono nel 1910 e, nel 1940 i neri furono confinati in tre piccoli
quartieri tra cui North e South Minneapolis. E anche se i tribunali federali
hanno dichiarato illegali le alleanze razziali nel 1948, l’impatto è ancora
sentito oggi.⁷
Secondo uno
studio condotto dall’Università del Minnesota, il Powderhorn Park è uno dei
quartieri che gentrificano più rapidamente e mentre i residenti bianchi si
spostano nel quartiere di South Minneapolis, gli affitti sono aumentati¹⁰.
Mentre i bianchi sono in grado di tornare in città dalla periferia e altri
gruppi potrebbero essere in grado di trarre vantaggio dai cambiamenti del
quartiere, i dati del 2016 hanno rivelato che non c’era un solo quartiere nella
città di Minneapolis in cui una famiglia nera con reddito medio potrebbe
permettersi di vivere¹¹ (vedi tabella sotto).
Un grafico
dello studio The Diversity of Gentrification: Multiple Forms of Gentrification
in Minneapolis and St. Paul di Edward G. Goetz, Brittany Lewis, Anthony Damiano
e Molly Calhoun. Lo studio utilizza un approccio a metodi misti che combina
un’analisi statistica dei dati a livello di quartiere con un’analisi
qualitativa approfondita delle interviste con funzionari pubblici, leader della
comunità e residenti del quartiere. Lo studio ha trovato prove significative
sulla gentrificazione nelle due città.
L’altra
America
In questo
preciso momento in tutto il paese sorgono proteste in risposta non solo
all’omicidio di George Floyd, ma a Breonna Taylor e alle altre vittime della
violenza della polizia. I social media e i lanci di agenzia sono pieni di
immagini di scontri, negozi saccheggiati e recinti della polizia che bruciano.
Ma la nostra domanda rimane: chi ha appiccato il fuoco?
Crediamo che
condannare le azioni dei manifestanti ma al contempo rifiutare di condannare le
condizioni che hanno creato questa crisi di disperazione, assenza di speranza e
rabbia, è irresponsabile, crudele e immorale. Il 14 marzo 1968 Martin Luther
King tenne il discorso “L’altra America”, e dal discorso emerge una frase
necessaria per definire le proteste del passato, presente e futuro: la rivolta
è il linguaggio dei non ascoltati.
Dobbiamo
continuare a condividere questa frase e portarla al cuore del discorso. Ma
dobbiamo anche leggerla nel contesto. Nel discorso tenuto alla Gross Point High
School di Detroit, il dr. King descrisse due Americhe:
“Ci sono due
Americhe. Un’America con una bella situazione. In questa America milioni di
persone hanno il latte della prosperità e il miele dell’uguaglianza che scorre
davanti a loro. Questa America è l’habitat di milioni di persone che hanno
necessità alimentari e materiali per i loro corpi, cultura ed educazione per le
loro menti, libertà e dignità per i loro spiriti […] Ma poi c’è un’altra
America. Quest’altra America ha una bruttezza quotidiana che trasforma
l’assetto della speranza nella fatica della disperazione. In questa America, gli
uomini camminano per le strade alla ricerca di posti di lavoro che non esistono
[…] E così in quest’altra America la disoccupazione è una realtà […] Quindi la
stragrande maggioranza dei neri in America si ritrova a morire su un’isola
solitaria di povertà, nel mezzo di un vasto oceano di prosperità materiale […]”
Continua
ancora oggi a riferirsi all’amarezza, al dolore e all’angoscia che noi, come
neri, abbiamo provato ogni singolo giorno, mentre affrontiamo condizioni che
negano la nostra umanità, rendendoci impossibile prosperare, sopravvivere,
respirare. Più di cinquant’anni dopo, questo discorso suona vero: queste sono
le condizioni che fanno sì che le persone sentano di non avere altra
alternativa che impegnarsi in violente ribellioni per attirare l’attenzione. La
domanda che risuona è: se la rivolta è la lingua degli inascoltati, qual è il
messaggio che l’America non è riuscita a cogliere?
Ho iniziato
Data for Black Lives tre anni fa per disperazione. Ero disperata perché volevo
vedere che le cose che amavo di più – i dati e la tecnologia – venissero usati
per quella che credevo fosse la loro vera promessa: essere uno strumento per il
cambiamento sociale. Ero alla disperata ricerca di una nuova forma di attivismo
che potesse davvero cambiare le condizioni e dare potere alle persone. Quando
abbiamo tenuto la prima conferenza di Data for Black Lives a novembre del 2017,
sapevo che questa idea sarebbe andata oltre i dati e gli algoritmi: avrebbe
avuto a che fare con le persone e l’affermazione della vita.
Data for
Black Lives riguarda l’uso della datafication della nostra
società affinché si possano fare richieste audaci per la giustizia. Si tratta
di costruire la leadership di scienziati e attivisti e di potenziarli con le
competenze, gli strumenti e l’empatia per creare un nuovo progetto per il
futuro.
Ma alla
base, Data for Black Lives riguarda la vita e la santità della vita. Si tratta
di affermare la vita in un sistema che richiede la morte, i corpi umani come
tributo. Affermare la vita per noi significa esporre e smantellare tutte le
condizioni che hanno lasciato i neri in uno stato di perpetua disuguaglianza.
Ma soprattutto significa risorgere la speranza, le possibilità che abbiamo
seppellito con i nostri cari morti.
E non
perdiamo la speranza, guadagniamo solo potere. Ci impegniamo a fare in modo che
se qualcosa dovesse uscire da questo momento, vada oltre una riforma temporanea
e diventi cambiamento strutturale a lungo termine.
Spero che tu
possa far parte di ciò che stiamo costruendo.
Note:
- Per capire di più sulla
metodologia di questi calcoli si legga qui.
- https://247wallst.com/special-report/2019/11/05/the-worst-cities-for-black-americans-5/5/
- https://www.bea.gov/data/gdp/gdp-county-metro-and-other-areas
- https://www.startribune.com/why-do-so-many-fortune-500-companies-call-minnesota-home/561251031/?refresh=true
- https://www.southernminn.com/faribault_daily_news/news/state/article_8f0d35bb-7b04-5174-a3c1-584a8535b59d.html
- https://www.mnopedia.org/event/duluth-lynchings
- https://www.mnopedia.org/place/southside-african-american-community-minneapolis
- https://www.citylab.com/equity/2020/01/minneapolis-history-housing-discrimination-mapping-prejudice/604105/
- https://www.mprnews.org/story/2019/06/17/south-minneapolis-gentrification-marlas-caribbean
- http://gentrification.umn.edu/sites/gentrification.dl.umn.edu/files/media/diversity-of-gentrification-012519.pdf
- http://gentrification.umn.edu/sites/gentrification.dl.umn.edu/files/media/diversity-of-gentrification-012519.pdf
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