Una delle maggiori evidenze emerse durante la fase critica dell’epidemia da
Covid-19 è stata il collasso del sistema sanitario in tutte le regioni
maggiormente colpite, con l’(ex) eccellenza lombarda ritrovatasi con il primato
mondiale negativo in termini di malati e di morti.
Abbiamo drammaticamente sperimentato cosa hanno significato due decenni di
progressiva trasformazione della salute da diritto a merce: drastici tagli alla
spesa e al personale, ingresso ed espansione dei privati, torsione
aziendalistica anche della gestione pubblica.
Ciò che è stata quotidiana esperienza di ogni lavoratore del servizio
sanitario e di ogni cittadino alle prese con le proprie necessità di cura, è
oggi certificato dall’ultimo “Rapporto sul coordinamento della Finanza
pubblica”, recentemente redatto dalla Corte dei Conti.
Secondo l’analisi, “il successo registrato in questi anni nel
riassorbimento di squilibri nell’utilizzo delle risorse non ha sempre impedito
il manifestarsi di criticità che oggi è necessario superare: si tratta delle
differenze inaccettabili nella qualità dei servizi offerti nelle diverse aree
del Paese; delle carenze di personale dovute ai vincoli posti nella fase di
risanamento, dei limiti nella programmazione delle risorse professionali
necessarie ma, anche, di una fuga progressiva dal sistema pubblico; delle
insufficienze della assistenza territoriale a fronte del crescente fenomeno
delle non autosufficienze e delle cronicità; del lento procedere degli
investimenti sacrificati a fronte delle necessità correnti”.
Linguaggio felpato per dire una verità ineluttabile: l’ossessione
del riequilibrio finanziario, dettato dai vincoli di Maastricht e dal pareggio
di bilancio, ha di fatto smantellato il servizio sanitario pubblico e i
risultati sono quelli che tutti abbiamo visto e sperimentato.
Rileva il rapporto di come, tra il 2009 e il 2018, si sia
verificata una riduzione particolarmente consistente delle risorse destinate
alla sanità, con una spesa pro capite diminuita di 8 decimi di punto ogni anno.
In Europa, solo la Grecia ha tagliato la spesa sanitaria più dell’Italia,
mentre alcuni paesi l’hanno costantemente aumentata (+2% Francia, +2,2%
Germania), con un rapporto di spesa pro capite che oggi vede la Germania
spendere il doppio e la Francia il 60% in più delle risorse messe a
disposizione di ogni cittadino italiano.
Inutile dire come, a questo progressivo depauperamento della spesa pubblica
sanitaria, abbia corrisposto un ampliamento dei costi a carico delle famiglie,
con un aumento del 14% negli ultimi sei anni.
La Corte non può, evidentemente, esplicitare critiche ai processi di
privatizzazione avvenuti, con la conseguente centratura della sanità sulle
strutture ospedaliere -la prevenzione costa, la terapia remunera- ma chiunque
può capire cosa sottenda il passaggio: “un’adeguata rete di assistenza sul
territorio non è solo una questione di civiltà a fronte delle difficoltà del
singolo e delle persone con disabilità e cronicità, ma rappresenta l’unico
strumento di difesa per affrontare e contenere con rapidità fenomeni come
quello che stiamo combattendo. L’insufficienza delle risorse destinate al
territorio ha reso più tardivo e ha fatto trovare disarmato il primo fronte che
doveva potersi opporre al dilagare della malattia e che si è trovato esso stesso
coinvolto nelle difficoltà della popolazione, pagando un prezzo in termini di
vite molto alto”.
D’altronde, se a livello europeo si è sospeso il patto di stabilità
per poter avere le risorse per salvare vite e curare persone, non serve
Aristotele per concludere che il patto di stabilità è contro la vita e la cura.
Tocca tenerlo a mente, ora che la faglia sulla narrazione liberista, aperta
dalla pandemia, sta per essere richiusa dal rinnovato feticismo per la cultura
dell’impresa.
*articolo pubblicato su il manifesto
Nessun commento:
Posta un commento