Sto leggendo (rileggendo) “Se questo è un uomo”- di Primo Levi. Non riesco
a considerarlo un libro. Per me è una specie di Bibbia. Cioè ci sono i libri e
poi c’è “Se questo è un uomo”. Un libro che parla dell’ “arte” della
deumanizzazione. Un pugno nello stomaco a cui non possiamo sottrarci. Non c’è scampo,
quelli siamo noi. Siamo noi, appartenenti al genere umano, che abbiamo
studiato a tavolino tutti i percorsi più cinici per arrivare al risultato
finale che non è la morte ma la deumanizzazione. Dalle parole di Levi:
“Distruggere l’uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non
è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri
sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non
parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.” “L’ultima traccia di civiltà era
sparita intorno a noi e dentro di noi. L’opera di bestializzazione…era stata
portata a compimento…”. Il successo del progetto antisemita.
Ogni anno l’uomo cerca di ricordare perché queste cose non abbiano più ad
accadere. Ed ogni anno cerco di vedere se in qualche angolo del pianeta ci sono
situazioni che possono avvicinarsi alle atrocità di quel periodo storico. Penso
ai Rohingya, ai margini della società in tutti i paesi in cui si sono rifugiati
costretti in campi profughi deumanizzanti. Penso ai mussulmani in India
cacciati e bastonati per le strade contro i quali si fanno leggi che li
costringono a vivere sempre più in uno stato di marginalizzazione. Penso
ai nostri migranti che lavorano per noi, super sfruttati e che vivono in campi
fatiscenti e deumanizzanti e che non possono neanche avere lo stato giuridico
di profughi a causa di una legge fatta da un governo italiano presieduto
da Giuseppe Conte e sostenuto da Matteo Salvini e Luigi di Maio. Penso alle
decine e decine di campi profughi dove i Palestinesi sono costretti a vivere in
condizioni di assoluta precarietà. Penso alla disumanizzazione scientifica
perpetrata dagli occupanti israeliani che si manifesta nelle forme più
svariate: dall’incursione notturna dei terroristi dell’esercito israeliano
nelle case palestinesi , svegliando di soprassalto tutti, e terrorizzando
i bambini con il solo scopo di incutere paura e di deumanizzare (qui in italiano) (qui in inglese). Penso alle attese di ore nei check
point disseminati in tutta la Palestina occupata. Attese di ambulanze con
feriti, di ambulanze con donne gravide che costringono la giovane donna e
suo marito ad implorare di farli passare. Penso all’insegnante palestinese che
con la scusa della perquisizione è costretto a denudarsi davanti ai suoi alunni.
Penso a tutte queste situazioni deumanizzanti ed ad altre simili, ma non riesco
ad avvicinargli il termine antisemita. E non perché non siano altrettanto
drammatiche o perché il termine non sia corretto da un punto di vista
linguistico (nel caso dei Palestinesi tra l’altro lo sarebbe anche essendo un
popolo semita) ma perché quella parola ha assunto per me un significato sacro e
credo vada utilizzata con molto rispetto e prudenza. Rispetto per il
ricordo del sangue e dell’abbruttimento spirituale che per moltissime persone
ha rappresentato. Prudenza perchè la forza che si porta appresso non deve
essere sminuita da un uso superficiale e propagandistico. Chi è invece che usa
con molta disinvoltura quella parola? Sono proprio gli israeliani e gli ebrei
che fanno gli interessi degli israeliani in occidente. C’è un disegno
propagandistico che mira ad etichettare tutto quello che è antisraeliano come
antisemita.
Qualche mese fa con cinismo ed in spregio al suo sacro significato, sono
riusciti, utilizzando questa parola a decretare la fine di Corbyn, il leader
laburista in UK, ed a fare eleggere un nuovo segretario, sionista dichiarato.
Se volete approfondire come vengono artatamente e scientificamente portate
avanti queste accuse di antisemitismo vi consiglio questo bell’articolo di Miko
Peled (in inglese qui). Un’altra interessante fonte su
come venga utilizzata a sproposito dai sionisti la parola antisemita è in questa
bellissima inchiesta di Al Jazeera (qui).
La Hasbara, l’istituto di propaganda israeliana, ha tra i suoi scopi quello
di cercare di influenzare l’opinione pubblica mondiale sulla percezione che
questa ha di israele. Uno dei sistemi che utilizza è cercare di occupare quante
più testate giornalistiche per ammorbidire molte notizie su israele a danno dei
palestinesi. Gli ebrei sono una minoranza nel pianeta, però sono presenti in
percentuale elevatissima nei media. Dire questo, secondo gli israeliani e gli
ebrei filo israeliani significa dire una cosa antisemita. Cioè dire che dei
signori super potenti e super pagati indirizzano artatamente l’informazione su
israele, è antisemita. Ma che cosa c’entra? Cosa c’entra questo con
l’antisemitismo? Solo una persona cinica e bara può usare con sfrontatezza
questo termine alto e grondante di sangue ad uso propagandistico. Se dici che
per cercare di interrompere l’occupazione della Palestina e le angherie che i
Palestinesi sono costretti a subire, è meglio il boicottaggio di israele
piuttosto che la lotta armata, allora sei antisemita. Cioè se boicotti uno dei
paesi più potenti del pianeta, sorretto dalla quasi totalità dei governi
del pianeta, prevalentemente di destra, sei un antisemita. Ma come può anche
solo minimamente essere accostabile la parola antisemita ad una iniziativa di
lotta pacifica? Come possono molti paesi produrre leggi contro il BDS (Boycott,
Disinvestment and Santions) tacciandolo di antisemitismo? La risposta è solo
una : propaganda. Qui non c’è solo un utilizzo improprio di una parola ma lo
svillaneggiamento della parola che condensa in se il significato più
atroce per l’essere umano: la sua “bestializzazione”.
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