dopo mesi
di clausura stretta
per assediante pandemia,
m’avventuro a caccia
di pagine nuove:
con le sue
copertine, i risvolti
e le rilegature.
disposto anche a pagare,
s’intende.
lo faccio con assurdo ritardo.
avendo
rimandato & rimandato.
ma rimandato
perché? per cosa?
per paura:
del là fuori, delle strade,
del cielo, dei marciapiedi,
della luce, degli alberi,
del non so cosa,
del cosa dico a chi incontro?
e del come si fa
a uscire per tornare?
così oggi mi son deciso
e ho deciso d’andare,
con la mia bella,
in libreria:
abbiamo scelto
tra tutte, forse,
la più piccina che ci sia.
però, arrivati lì, ci son rimasto
troppo male:
se chiedi, puoi comprare
ma non puoi entrare
a curiosare, a sfogliare
o anche solo
a inspirare odor di negozio
tanto per farti… ispirare.
mentre consegnavamo
la lista dei libri desiderati
mi sembrava d’essere davanti
a una farmacia notturna:
di quelle tutte chiuse, blindate,
col campanello
e con aperta soltanto
una feritoia
da cui scambiare prodotti e soldi
per la paura delle rapine
dei drogati.
tornato a casa –
dove un libro vecchissimo,
un grande classico bellissimo
(forse anche un po’ geloso)
attende d’esser fatto fuori, finito –
lavate le mani, tolta la mascherina,
piagnucolo:
come uno sboccato moccioso:
andare avanti così, andare fuori così:
insomma… io non posso.
cioè… (belin) potrei anche, ma proprio
non voglio.
quando cazzo
ci leveremo ‘sta merda
di dosso?
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