In
un mondo in cui le crisi si sovrappongono: quella ambientale, quella sanitaria,
quella economica e quella sociale. Chiamano queste crisi cigni neri: eventi
giudicati imprevedibili che hanno conseguenze catastrofiche. Ma in realtà
questi eventi sono tutti strettamente correlati, tutti frutti di un'unica
matrice, quella del capitalismo.
In
questi giorni fumo e fiamme avvolgono il cuore di questo modello di sviluppo
ingiusto e assassino. Uno degli elementari meccanismi di sussistenza del
capitalismo, il razzismo, ha scatenato una reazione di massa mai vista prima,
una reazione che trova il suo contesto anche nella gestione scellerata della
crisi sanitaria e sociale da parte del governo Trump. Nella scelta di
sacrificare centinaia di migliaia di vite umane per il profitto.
E
così il fuoco sta lambendo la Casa Bianca, la prima "democrazia" del
mondo moderno, costruita sul sangue degli schiavi e degli indigeni, posa ancora
una volta la maschera e mostra il suo volto guerrafondaio, distruttivo,
ipocrita, suprematista.
Che
il sistema sia rotto, che stia mettendo a rischio la sopravvivenza della specie
e del pianeta, che stia rendendo invivibili intere zone della Terra e che in
esso siano strutturali sfruttamento e devastazione, depressione e malattia,
disoccupazione e solitudine, questo è chiaro a tutti. Tutti ne parlano, tutti
lo dicono. Lo ammettono con finta mestizia e finto pentimento anche quelli che
in questo sistema diseguale hanno raccolto (o meglio rubato) i frutti del
lavoro e della fatica di tutti gli altri. Lo dicono, lo nominano, ma sono
pronti a difendere i loro privilegi, il loro dominio chiusi in un bunker con
schiere di sottoposti a difenderli. Sono pronti ad inaugurare nuove avventure
spaziali mentre qui sulla terra si muore ancora perché non ci si può permettere
un'assicurazione sanitaria.
E
quindi siamo così, stretti in questa forbice, tra un capitalismo necrotico e un
orizzonte confuso. Tra l'individualismo sociale al suo apice e nuove esperienze
di solidarietà di massa. Tra le narrazioni apocalittiche e i gesti concreti di
contrapposizione, tra un pianeta che si ribella e una nuova, confusa
consapevolezza che non si può andare avanti così. Tra la guerra ai poveri e nuovi
e inediti (ma inconsapevolmente carichi di tutto il loro portato storico)
conflitti sociali che si presentano nelle strade.
Perché
in fondo più si deteriora questo mondo e più si pone la questione della
sopravvivenza, e questo può essere tanto un bene, quanto un male. Se a
prevalere sarà la sopravvivenza del più forte a scapito dell'umano e della
natura, o se a prevalere saranno nuovi orizzonti, nuovi itinerari in
contrapposizione con ciò che esiste, per una cooperazione tra gli uomini e la
natura senza sfruttamento, dominio e devastazione: questa è la forbice in cui
ci muoviamo. Queste le contraddizioni in cui dobbiamo calarci per comprendere
qual è il "nostro" mondo da conquistare.
Per
intanto ammettere, riconoscersi nel fatto che "non si riesce a respirare"
è già liberatorio, già traccia dei confini di campo, già chiarisce che per
tornare a respirare, per sopravvivere bisogna prendere parte, contrapporsi, con
ogni mezzo possibile, con ogni mezzo necessario.
da qui
Nessun commento:
Posta un commento