C’è chi cerca
un’esperienza diversa, chi vuole imparare l’inglese, chi vuole crescere
professionalmente, chi scappa dalla guerra: sono gli operatori dei call center
di Cork, uno dei più grandi hub mondiali dell’outsourcing. Tutti accomunati
dalla paura per un domani sempre più incerto. La testimonianza di una
dipendente di una di queste multinazionali.
CORK – “Ci
vediamo lunedì! In bocca al lupo e stay safe!” È passato un mese
ieri e ancora non sappiamo quando arriverà questo famoso lunedì. Ci siamo fatti
questa promessa il 27 marzo e, poche ore dopo, un annuncio ci ha lasciato
impreparati: il primo ministro Leo Varadkar annuncia il lockdown su
tutta la nazione, effettivo da mezzanotte. Per qualche ora c’è stato il caos:
ma quindi si lavora da casa o no? Come facciamo ad andare in ufficio se è tutto
chiuso? Queste sono solo alcune delle mille domande che ci siamo fatti.
Sapevamo che sarebbe arrivato il momento di chiudere tutto, ma non ce lo
aspettavamo così presto.
Al momento
dell’annuncio c’erano poco più di 2100 casi confermati e 22 decessi e il
presidente, nell’interesse della nazione e vedendo cosa stava succedendo nel
resto d’Europa, ha deciso di chiudere tutto. Non solo: già da almeno una
settimana prima, il dipartimento del Social Welfare aveva fatto circolare un
modulo con il quale si poteva (e si può tuttora) fare domanda per ottenere un
assegno di 350 euro a settimana per le persone che hanno perso il lavoro,
quelle che sono in una sorta di cassa integrazione (temporary layoff), i
lavoratori autonomi e i liberi professionisti. Sembra una somma alta,
ma lo è anche il costo della vita.
Un’ottima
iniziativa è quella degli ospedali privati che, per tutto il periodo della
pandemia, funzioneranno come ospedali pubblici, ammettendo anche chi non è
coperto da assicurazione: questo è molto importante perché di risorse e
infrastrutture non ce ne sono molte e i posti sono limitati.
Per quanto
riguarda i lavoratori dei call center, non tutti siamo stati fortunati.
Molti di noi hanno avuto la possibilità di lavorare da casa, altri sono
in layoff, altri purtroppo hanno perso il lavoro, soprattutto tra
quelli che lavorano nel settore del turismo e degli eventi: ci sono stati
grossi tagli del personale in varie compagnie e, mentre molti posti sono stati
salvati spostando gli impiegati su altri progetti, quelle stesse persone hanno
comunque paura di ricevere ancora delle brutte notizie. Questo purtroppo non
dipende nemmeno da loro: se la compagnia va bene, il posto è salvo. Se non va
bene e si riesce ad essere spostati è positivo ma, se questa storia della
pandemia va avanti ancora per molto, che succederà? Abbiamo tutti tanta voglia
di ripartire più forti di prima.
Le aziende
per cui lavoriamo sono sostanzialmente di due tipi: esiste un customer
service legato direttamente alla “compagnia madre” (Apple, Amazon,
Dell, per citarne alcune) e le business process outsourcing (come
Telus International, Abtran, Zevas Communications), che si occupano
dell’esternalizzazione dei processi aziendali di grandi compagnie. I contratti,
le modalità di lavoro, il turnover, i benefit e i salari sono ovviamente
differenti da compagnia a compagnia.
Una cosa che
le accomuna è l’alta presenza degli impiegati stranieri: siamo veramente
tanti e siamo arrivati qui con motivazioni differenti. C’è chi cerca
un’esperienza diversa, chi vuole imparare l’inglese, chi vuole crescere
professionalmente, chi scappa dalla guerra: c’è davvero di tutto e così tanto
da imparare che non basterebbe una vita. Siamo venuti per cercare un futuro
migliore: alcuni lo trovano, altri no. Alcuni restano, altri se ne vanno.
Le amicizie
diventano le nostre famiglie qui: si impara davvero il significato profondo
della parola “condivisione”. Tutto nasce da una scrivania in cui ti siedi oggi,
che non è sempre la stessa di ieri e di domani: in molti posti, infatti, si
utilizza un sistema di hot seating, cioè il sedersi ogni giorno in
posti differenti. Questo si fa sia per un discorso di disponibilità dei posti,
sia per promuovere un’interazione tra le persone, che favorisce uno scambio
continuo di conoscenza del prodotto, di cultura, di tecniche e accorgimenti da
usare con i vari clienti.
Parliamo di
quello che ci siamo lasciati dietro, impariamo a cucinare i piatti stranieri,
festeggiamo San Patrizio, il Natale, la fine del Ramadan, impariamo nuove
lingue: ci sentiamo un po’ più a casa quando casa è lontana. Viaggiamo verso
nuove mete, ci invitiamo nei nostri paesi di origine. Uno dei viaggi più belli
che ho fatto è stato a casa di una mia amica croata: io e i suoi genitori non
riuscivamo a comunicare molto per via della barriera linguistica ma, dove non
arrivavano le parole, c’erano i gesti, i sorrisi, le piccole cose. Esperienze come
questa non possono che rendere le persone ancora più ricche: tutto è partito
attorno alla macchinetta del caffè dell’ufficio.
Alcuni di
noi hanno avuto anche la possibilità di lavorare nelle sedi straniere delle
varie compagnie, come ad esempio Romania, Filippine e Cina. Il gruppo di cui ho
fatto parte ha passato diversi mesi a Bucarest: è stata un’esperienza
straordinaria, sia a livello umano che professionale. Al nostro ritorno, alcuni
di noi hanno ricevuto una promozione, altri sono tornati a casa, altri sono
rimasti lì, altri hanno continuato con i viaggi di lavoro. Abbiamo avuto
opportunità che non avremmo avuto se fossimo rimasti a casa: molti di noi
sognano di tornare e poter usare l’esperienza per costruire qualcosa di nuovo.
Adesso la
situazione è diversa perché non ci possiamo vedere se non in videochiamata o se
ci incontriamo per strada. La quotidianità è cambiata e stiamo aspettando
ancora di vederci quel famoso lunedì. A livello lavorativo, la sfida più
grande, oltre a fare si che tutto funzioni, è quella di mantenere le relazioni
umane, di offrire supporto emotivo (ultimamente molte persone ne hanno
bisogno), di mantenere il coinvolgimento degli impiegati, senza dimenticare i
colleghi che non lavorano più con noi.
A livello
umano, mancano tanto gli abbracci, gli incontri, le serate, le partite, anche
il semplice fatto di farsi un giro alla caffetteria per fare quattro
chiacchiere intorno al tavolo, proprio come facevamo prima di arrivare. Mancano
le famiglie che cerchi di non far preoccupare a migliaia di chilometri di
distanza.
Quando tutto
sarà finito torneremo alla vecchia routine, all’autobus costoso e pieno di
gente, alla gente che aspetta alla fermata, alla fila davanti alla macchinetta
del caffè, alle scrivanie di turno, ai clienti che si arrabbiano al
telefono. Oppure torneremo a casa.
Testimonianza
di M.C.
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