L’epidemia
di Covid-19 ha sconvolto società, economia, abitudini, costumi. I governanti
della gran parte degli Stati hanno cercato di rassicurare la popolazione
assumendo alcune misure, in taluni casi perfino fingendo indifferenza. Da noi,
dopo il blocco delle attività socio-economiche, sono stati indetti gli “Stati
generali dell’economia”.
Se si
consulta Wikipedia alla voce “Stati generali”, si trova questa definizione:
“Con Stati generali si indica un organo di rappresentanza dei tre ceti sociali
esistenti nello Stato francese prima della Rivoluzione francese del 1789.
L’assemblea, di origine feudale, disponeva della funzione di limitare il potere
monarchico”. Fare parallelismi
storici di tal genere può essere scorretto e fuorviante, ma talvolta può
servire a mostrare, anche ironicamente, i “non detti” e/o i paradossi delle
situazioni attuali.
Chi convocò gli Stati generali in Francia nel 1788 (gli eletti si riunirono
l’anno dopo) utilizzò una vecchia
istituzione della monarchia, sperando in cuor suo di bloccare e al tempo stesso
d’ingabbiare le richieste di cambiamento che provenivano dai “tre ceti
sociali”. Non immaginava, neanche lontanamente, cosa sarebbe successo con il
meccanismo che aveva messo in moto; altrimenti, forse, avrebbe scelto altre
strade.
A tal
riguardo, propongo un’analogia, sia pur assai ardita, con l’iniziativa di
Giuseppe Conte, stretto tra le risposte da dare al Paese e la necessità di
tamponare le richieste dei “tre ceti sociali esistenti” prima del Covid-19
(imprenditori, lavoratori dipendenti, lavoratori autonomi), ognuno con le
proprie richieste, alcuni con i loro privilegi, tutti timorosi del futuro, come
lo erano anche in Francia un paio di secoli fa. I fatti di allora avrebbero poi
dimostrato che v’era una parte degli Stati generali, convocata dalla Corona,
che aveva capacità e volontà di cambiamento: era la borghesia francese, che
avrebbe elaborato una nuova idea di Stato e di società, racchiusa nel
motto “liberté, egalité, fraternité”: quello che ancor oggi è
considerato il fondamento delle nostre democrazie, sia pur spesso con poca
convinzione, quando non è messo apertamente in discussione. La convocazione degli Stati generali è,
pertanto, un atto dal significato profondo, che allude a grandi
cambiamenti. Da qui il dubbio: ci sarà oggi un “Terzo stato” in
grado di cambiare il nostro Paese? E quale “ceto sociale” sarebbe in grado di
rispondere alle esigenze rese evidenti dalla pandemia?
La storia
degli Stati generali mise subito in primo piano l’incongrua divisione in tre
stati e portò alla luce ciò che fu definito il “Quarto stato”. Anche
attualmente, come da copione, esiste un Quarto stato non convocato:
quello degli esclusi, degli invisibili, dei non garantiti, dei non-cittadini,
dei super–sfruttati; quelle e
quelli che Serge Latouche definirebbe i “naufraghi del pianeta”.
Peraltro, dal 1798 a oggi molti
dei momenti significativi della storia sociale, avviatasi in Francia con la
convocazione degli Stati generali, furono realizzati proprio dal Quarto stato,
che nei secoli successivi avrebbe rappresentato l’asse portante della lotta per
ottenere cambiamenti sociali. Di tali cambiamenti restano ancora tracce
(le otto ore, la pensione, l’assistenza sanitaria…), anche se progressivamente
erose da quelle classi sociali privilegiate che nel corso del tempo avrebbero
accumulato potere e benefici di cui ora non intendono affatto privarsi.
Benché al
giorno d’oggi sia perlopiù dotato di cellulare, in non pochi casi perfino di
automobile, il Quarto stato
è per alcuni versi tuttora identificabile con quello
rappresentato nel grande dipinto che Giuseppe Pellizza da Volpedo, pittore
italiano, realizzò dal 1898 al 1901. Senza volare troppo in alto, e non
sappiamo se memore di quel che avvenne dopo il 1789, Conte si è affrettato a ricevere il
sindacalista della USB, Aboubakar Soumahoro, la cui personalità e
biografia sono esemplari di alcune delle peculiarità del Quarto stato odierno:
estraneo com’egli è a schemi nazionali e nazionalistici, nonché portatore di
dignità, professionalità, cultura, caratteristiche solitamente sottovalutate
nella società attuale.
Perché
i cahiers de doléance dell’odierno Quarto stato, femministe
comprese, siano presi sul serio e i soggetti che li rappresentano ottengano
almeno alcuni dei diritti giustamente rivendicati, basterà una semplice presa
d’atto? Direi di no, poiché le loro rivendicazioni meritano ben altre risposte
di quelle arrivate finora e necessitano di ben altre mobilitazioni che non
quelle viste in questo periodo in Italia. Coinvolgere e riconoscere il ruolo decisivo di tale Quarto stato
sarà il grande problema del futuro. Esso, pur non invitato, si è presentato agli Stati generali di Villa
Doria Pamphilj, avanzando critiche e rivendicazioni, e attendendo risposte: per ora educatamente.
Perciò Conte non si è allarmato, sebbene la storia passata avrebbe dovuto
procurargli qualche inquietudine.
Chi, invece,
sembra aver visto oltre la metafora e aver gridato allarmata è stata la destra
reazionaria (oggi si dice sovranista), che ha ravvisato in quella convocazione
degli Stati generali addirittura una delegittimazione del Parlamento e delle
istituzioni. Verrebbe da sorridere: è stata giusto quella destra a contribuire
decisamente alla delegittimazione del Parlamento; quanto alle “doglianze” e
rivendicazioni del Quarto stato, essa ne è stata la causa principale, con i
suoi programmi economico-sociali ultraliberisti, oltre che reazionari e
razzisti. In realtà, la strategia di superamento delle istituzioni, iniziata
con la crisi di governo proclamata nell’estate del 2019 da Salvini, somiglia
(volendo usare un’altra metafora) alle guerre-lampo: non può durare
a lungo e conduce al logoramento di chi le ha proclamate nonché al disastro di
chi vi partecipa. In più, la pretesa della destra di sostituire all’Unione
Europea un altro prestatore (che siano gli Usa, la Russia, la Cina o “i
mercati”) è gravida di minacce: sgretolerebbe un sistema di certo imperfetto,
faticosamente costruito, ma per ora privo di realistiche alternative
immediate.
Come accadde al momento della convocazione degli Stati generali in
Francia, i principi su cui si fonda il sistema sono cambiati. Alla fine del Settecento, dopo
il grande lavoro dei filosofi dell’Illuminismo, furono messi in discussione i
cardini delle monarchie assolute: la “discendenza divina” del sovrano, la sua
intoccabilità, la possibilità di decidere e governare senza controllo.
Oggi sono caduti i miti della mano
invisibile del mercato e dello sviluppo a tutti i costi; e sono emersi i limiti
del sistema denunciati dal “club di Roma” all’inizio degli anni Settanta. Più
recentemente, è andata affermandosi la necessità del rispetto della natura e
del mondo animale, insieme con le istanze propugnate dai teorici della decrescita.
Ormai le
formule economia circolare, sviluppo sostenibile, rispetto
dell’ambiente sono usate a mo’ d’introduzione ad ogni proposta
realistica e progressiva: sono istanze che potrebbero contribuire a risollevare
il Paese ben più dell’ “andrà tutto bene” o degli applausi dai balconi e delle
bandiere nazionali esposte alle finestre…
Forse ci sarà spazio anche per il nuovo, forse la rivolta attuale
dei Black Lives Matter non si perderà nei caldi estivi, come è
avvenuto in molte altre occasioni. Forse la pur fugace apparizione di
Aboubakar Soumahoro sul palco della grande kermesse, nonché
quella delle ONG e del movimento Friday for Future è comunque
un segnale positivo, per quanto minimo.
La pandemia
ha rafforzato alcune certezze a proposito di cosa sia imperativo contrastare:
lo sfruttamento, il razzismo e il sessismo imperanti, l’inquinamento del
pianeta, la mercificazione e il massacro seriali dei non-umani. E ciò mentre
l’economia decresce, inesorabilmente ed infelicemente, a causa della
finitezza delle risorse. Il tema della decrescita felice in
quanto governata − che fu sbeffeggiata da molti economisti quale ritorno
all’età della pietra− andrà assolutamente ripreso ed elaborato.
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