Nell’intero pianeta è in corso un dibattito tra caos ed equilibrio,
distopia ed orizzonti possibili. In un mondo globalizzato e ingiusto, il
coronavirus, nella sua crescita esponenziale, acquisisce maggior notorietà in
quanto vettore del caos. Di conseguenza risulterebbe offuscata la gravità di altre
crisi già segnalate come sintomi di una malattia mortale: l’erosione dei
beni comuni, la crisi climatica e l’allarmante perdita della biodiversità, lo
spostamento di grandi masse sociali verso la precarietà, l’inasprimento delle
violenze e della violenza patriarcale, in sintesi… il sacrificio umano
e della natura per permettere la concentrazione della ricchezza nelle mani di
pochi.
Tuttavia, lo sconvolgimento causato dal Covid19 non è evento diverso dal
capitalismo globale, ma piuttosto la sua continuazione e deriva conseguente
alla rottura con la Natura da esso provocata.
La crisi del coronavirus si aggiunge e si mimetizza con altre crisi di
ordine sistemico, svelando ed approfondendo le ingiustizie e i divari sociali
provocati dalla civiltà capitalista nei nostri territori e nei nostri corpi con l’effetto
accumulato in meno di cinque secoli di modelli insostenibili di produzione,
commercio, consumo ed occupazione dei territori.
Questa crisi si colloca nella realtà del “Capitalocene” (1), un nuovo
stadio del pianeta dominato dalla specie umana sotto il giogo del capitalismo
globalizzato, della colonizzazione e del patriarcato, allineati verso la
reificazione, la mercificazione ed il saccheggio di tutto
l’esistente.
Il cammino dal capitalismo del disastro al capitalismo del caos lascia
la sua orma nel corpo del mondo e nei nostri corpi, spezza i vincoli
primordiali dell’interdipendenza e della collaborazione.
La terra, i suoi strati profondi, i suoi boschi, l’acqua, l’aria,
l’atmosfera, lo spazio che la circonda e perfino la luna sono inondati da
questi segni che lasciano ferite e cicatrici. Questa realtà
materiale connota la pandemia del coronavirus, amplificando su grande
scala gli impatti del capitalismo moderno, portandone a fior di pelle
e con maggior brutalità il filo del rasoio.
Ciò determina uno scenario critico in particolar modo per i più poveri, per
i più vulnerabili, per gli esseri umani nelle periferie, per i settori
depauperati del Nord e del Sud, per il Sud Globale.
Le disuguaglianze si amplificano in modo drammatico, anche se per la prima
volta la minaccia raggiunge anche le sfere più alte della
società.
È la fine del capitalismo?
Molto si è detto sul fatto che questa crisi potrebbe porre fine al
capitalismo, il cui meccanismo risulta temporaneamente interrotto dal collasso
delle catene produttive e di consumo, delle nicchie di accumulazione ricavate
dai vantaggi comparatidella globalizzazione.
Secondo i rapporti di analisti specializzati (2) in poche settimane di
quarantena, le emissioni da uso domestico in Cina si sono ridotte del 25%, un
volume pari al 9% delle emissioni mondiali.
Situazioni simili di rallentamento economico e di consumo di energia
fossile sono avvenute in centinaia di altre città, nazioni e regioni dove la
riduzione dell’attività sta producendo una riduzione dell’inquinamento
dell’aria e perfino un ritorno di specie animali alle città, vuote in un mondo
in confinamento.
Tutto ciò sembra autorizzare la speranza – nutrita con molto entusiasmo da
alcuni filosofi ed analisti (3) – di poter velocemente recuperare la
strada persa, giacché il capitalismo sarebbe al punto di concludersi a favore
di una società riconciliata con la natura.
Tuttavia, tale aspettativa sulla fine del capitalismo non può
essere coltivata sulla pelle di chi sta soffrendo e lottando in prima linea
contro una pandemia che si è impossessata dei più vulnerabili,
i più poveri, gli anziani, le donne e le popolazioni indigene.
Né può sottrarsi alla realtà quotidiana delle lavoratrici e dei lavoratori
del settore sanitario in tutto il mondo, né delle persone incaricate di
raccogliere i corpi stroncati dalla pandemia. Non si può smettere di pensare a
coloro che con il loro sforzo stanno sostenendo le catene di lavoro e
produzione per la vita – cibo, sanificazione, pulizia, energia – molti dei
quali sottomessi a dispotiche gerarchie padronali e statali.
Non si può smettere di pensare alle popolazioni migranti dalle proprie
terre per la catastrofe climatica, per le guerre, la mancanza d’acqua e terre
coltivabili.
Vale a dire, quei gruppi umani che le élites finanziarie e politiche hanno
collocato nella precarietà con un messaggio che pare ispirare le loro azioni e
decisioni politiche: “ci sono vite dalle quali si può prescindere”.
Alimentare la speranza di una trasformazione non autorizza a perdere di
vista i rapporti di potere e la capacità delle élites di proteggersi ed
intensificare il saccheggio per salvare la propria pelle.
Nemmeno il fatto che la cornice di rifermento attuale sia quella di un
nuovo paradigma, il “Capitalocene”, nuova era planetaria nella quale le classi
dominanti possono “convivere” con la distruzione, l’ingiustizia e il caos
incrementandolo fino all’aberrazione.
L’aspettativa che la società risulti trasformata dal COVID19 non può
limitarsi all’illusione causata dalla diminuzione delle emissioni e del
recupero degli equilibri climatici, in considerazione del fatto che – secondo
alcune analisi – le emissioni potrebbero calare del 5% nel 2020 (4) proprio a
seguito della crisi innescata dal COVID19. Una tale percentuale di riduzione
resta infatti insufficiente rispetto alla scala di distruzione generata dal
metabolismo capitalista.
Secondo l’accordo di Parigi le emissioni annuali andranno ridotte del 7,5%
per un periodo di 10 anni consecutivi, e andranno prese
misure straordinarie di transizione e trasformazione dei modelli di consumo
energetico, ad oggi non ancora messe in atto.
Il coronavirus ci interpella, ma, a meno che le società non decidano di
invertire la rotta ed agire di conseguenza, non sarà possibile porre fine
all’ecocidio causato dalle dinamiche simultanee di iperproduzione, eccesso di
consumo ed accelerazione attualmente in corso.
Questa crisi ha certamente messo in primo piano la rilevanza della Natura e
ci ha ricordato la maniera inclemente con la quale abbiamo abusato del luogo
che occupiamo nel sistema- Terra, mostrandoci anche la complessità
della sfida che ci troveremo dinnanzi qualora scegliessimo di attribuire una
dimensione politica al perseguimento della giustizia e la ricostruzione dei
rapporti umani come chiave per la cura della Natura.
Soprattutto perché ci ricorda che dovremmo anzitutto decolonizzare le
nostre menti per porre fine agli asservimenti che ci ha imposto il capitalismo.
Non è possibile concepire astrattamente una uscita politica, femminista ed
ecologista da questa crisi civilizzatrice, senza “una elaborazione del lutto”
collettivo (Butler, 2002) al fine di “ubicare” la comprensione di questa nuova
realtà planetaria. Vale a dire, adottare “la vulnerabilità e l’interconnessione
come punto di partenza” (5) dai corpi biologici e sociali alla Terra sofferente
e ferita. Perché sarà così che scopriremo le forze, la speranza e gli orizzonti
possibili.
Dimensioni del conflitto capitale-vita
La crisi del coronavirus ha messo in evidenza il conflitto capitale-vita. Oggi si gioca e
si svela con tutte le sue conseguenze la tensione tra dinamica dei tessuti
riproduttivi della vita ed essenza di un capitalismo neoliberale che ormai non
può offrire prosperità o benessere all’umanità o al pianeta.
Questa crisi emblematica lascia intravvedere altre distorsioni nascoste
dalla lobby delle “corporation” e della politica – ad esempio il
negazionismo di vetrina – che sbandiera i suoi argomenti ma nel contempo si
blinda con apparati di sicurezza finanziaria, tecnologica, politica e militare
(6) erodendo sistematicamente i diritti umani e quelli della Natura.
La sostanza di tale contrasto emerge nelle reazioni tardive e controverse
di molti leader politici dei governi, nella rappresentazione che questi hanno
fatto senza alcun imbarazzo del dilemma tra “salvare l’economia o salvare vite
umane”.
Sebbene sia certo che alcuni governi stanno investendo in modo
significativo nella protezione (con denaro che non avevano prima investito per
i poveri), la deregolamentazione spinta nelle ultime decadi in molti
paesi dal neoliberalismo ha comportato lo smantellamento dei sistemi di salute
e altri beni pubblici fondamentali rendendoci così più vulnerabili.
Inoltre – ed in piena crisi – non si sono fatti attendere piani di
salvataggio delle imprese che, assieme a nuove forme di circolazione delle
merci, stanno creando nuove traiettorie e riconversioni marcate dal
DNA capitalista (7).
In molti casi sono state proprio le esigenze padronali di “continuare a
produrre” nei settori non prioritari, a provocare l’aumento dei contagi e
l’inasprimento della crisi sanitaria.
Questa pandemia ha interrotto alcune catene e nicchie di accumulazione del
capitale e minaccia tangibilmente le sfere più alte della società.
Allo stesso tempo però ha attivato ciò che Maristella Svampa identifica
come un Leviatano Sanitario (8) recuperando il concetto di
Hobbes che allude agli scenari del controllo statale, già analizzati in
riferimento ai cambiamenti climatici (9).
Un Leviatano che oggi si propone una ristrutturazione dell’ordine
capitalista dall’emergenza sanitaria, dal mio punto di vista, sotto forme
politiche di “confinamento”–“cessazione del confinamento” che frammenterebbe il
corpo politico e sociale, disperdendo la moltitudine assicurando
contemporaneamente la piena libertà delle lobby imprenditoriali per
ridisegnare le economie mondiali “post-coronavirus”.
Il panorama critico rappresentato dalla riduzione delle libertà civili si
accompagna ad una narrativa dicotomica della salute tra “salute-malattia”
propria di un paradigma – oggi inteso come cardine della ragione scientifica
moderna – centrato sull’ospedalizzazione, sul paziente, il virus, il potere
della conoscenza tecnologica e scientifica, e la salvezza portata dal vaccino.
La risposta che stanno dando i servizi pubblici, spesso in condizioni
avverse, in mancanza di materiali ed in condizioni di precarietà è
di assoluto valore, ma passato al vaglio di un approccio
sociopolitico questo modello “focalizzato sul virus” rischia
di escludere una prospettiva olistica delle
interconnessioni con la salute del pianeta.
Il dominante modello “biomedico” di salute che emerge dal dualismo
cartesiano, esclude dalla mappa cognitiva le cause ecologiche, sociali ed economiche
della crisi, il suo ordine sistemico, l’interconnessione della salute umana con
la salute planetaria.
Restringe così la possibilità di una maggiore partecipazione/collaborazione
con la società e del riconoscimento del sapere sociale, dei saperi femminili,
comunitari e popolari di solidarietà e gestione della crisi che – di fatto –
hanno nel corso della storia hanno salvato l’umanità innumerevoli volte.
In parallelo si assiste alla nascita di una base sociale di
ultradestra di gruppi sparsi per il mondo, rappresentata ad esempio dalle
azioni di strada “anti confinamento” di stampo suprematista, che
godono dell’appoggio di Trump negli USA e Bolsonaro in Brasile, e che fanno eco
alle aspirazioni di imprenditori come Elon Musk e altri che gridano alla fine
del confinamento appellandosi alla “libertà del mercato”.
Si erge di nuovo un capitalismo finanziario che ha imparato ad uscire dalle
proprie crisi per ripresentarsi con la sua “dottrina dello Shock” (10). Come
dice bene Emiliano Terán dell’Osservatorio di Ecologia Politica del Venezuela:
la crisi del coronavirus “mette a nudo i simulacri del potere” (11).
E così, il mondo “post coronavirus” è già il mondo che stiamo
vivendo. La “riconfigurazione” – che è già iniziata – sta mettendo in evidenza le
lotte all’interno dei gruppi dominanti e può essere brutalmente capitalista
invece di rendere percorribile l’agognata transizione verso la “riduzione delle
disuguaglianze” e la “sostenibilità degli ecosistemi” oppure, ancor di più,
verso un cambiamento del paradigma civilizzatorio, che si ripropone con urgenza
e necessità inedite, e su scala globale,
Gli orizzonti di una transizione sociale, o di “salto” civilizzatorio, come
indicato metaforicamente dal virus, è possibile solo se saremo capaci di
generare un tessuto sociale e una soggettività che possa rispondere
all’ingiustizia ed alle logiche del potere.
Occorre interpellare il potere il prima possibile, per richiedere giustizia
e attenzione alla vita, esigendogli di riconnettersi alla natura assumendo un
carattere olistico, interdipendente rispetto alla nostra condizione umana,
giacché le vere cause di questa pandemia risiedono nel saccheggio dell’ecocidio
che ha propiziato il capitalismo del caos.
Qualche alternativa emergente
I virus – che sono miliardi nel pianeta – “saltano” verso la specie umana
in circostanze particolari per alloggiare in un ospite e diventare così
patogeni.
La perdita di biodiversità creano le condizioni favorevoli per generarne
altri in grado d’intaccare la specie umana ed altre specie poiché le barriere
rappresentate dalla biodiversità ecologica si stanno deteriorando.
Queste “condizioni” favorevoli al sorgere di questi ed altri vettori di
infezioni e malattie sono rappresentate dalla deforestazione e dalla
distruzione di ecosistemi che a loro volta producono alterazioni tali da
rendere possibili tali “squilibri” patogeni, come indicato di recente in un
ampio rapporto del WWF (12). I cambiamenti climatici e la perdita
della biodiversità sono due crisi che ci stanno conducendo rapidamente verso
questi scenari.
Questo tipo di virus, sempre più frequente, ha causato malattie di enorme
impatto sociale nelle ultime decadi: la SARS, “influenza aviaria” H5N1
(2002-2003), “l’influenza suina” H1N1 (2009), la MERS-CoV (Sindrome
Respiratoria Medio Orientale) (2012), l’ebola (2013). Come
sottolineato opportunamente da Silvia Ribeiro del Gruppo ETC; alcune di loro si
sono prodotte in circostanze connesse alla produzione alimentare su scala
industriale (13).
Il salto del virus ha fatto “saltare” la civiltà ad un tempo e ad uno
spazio politico che obbliga a pensare all’espropriazione della natura ed alla
relazione con l’ingiustizia umana come due fenomeni articolati.
Sta facendosi strada nel campo della conoscenza una possibilità di capire
la contraddizione, il paradosso, l’interdipendenza, la qualità olistica del
sistema Terra.
Di fronte all’enorme complessità ed ingiustizia, dobbiamo interrogarci in
maniera complessa, auto riflessiva, conforme al momento che stiamo vivendo,
inondato com’è da paradossi ed “ossimori” (espressione usata da Boris Cyrulnik
(14), che raggruppa significati contrapposti per generarne uno nuovo), in
quanto segno di un momento storico che ci fa transitare nell’incertezza, nella
dialettica della complessità per crearne uno nuovo.
Mai come prima d’ora è essenziale una visione della Natura e del
nostro rapporto con essa, come fonte di ispirazione di
un’azione che può essere sostanziale.
È da qui che vogliamo sviluppare una prassi e una narrativa che superi la
crisi di senso che ci assedia. Resistere a partire dal paradigma
relazionale, dalla vulnerabilità e dall’interdipendenza umana.
Un’epistemologia diversa per uscire dalla logica del mercato e al suo posto
guardare/sentire , “sentire/pensare” (15) il mondo
come se fossimo un pangolino, un pipistrello, un bosco, acqua, terra umida
dalla quale germogli una brezza di vita, dal giorno dopo giorno del
confinamento, dal giorno dopo giorno dei popoli, in cui la morte, il dolore, la
sofferenza in solitudine diventi comune, si commuova e commuova
altri per rompere con l’individualismo al quale vuole
condurci il paradigma dominante/agonizzante del capitale.
A partire dalla complessità di un virus che “salta” su un ospite umano
perché la “frontiera” in cui abita è la frontiera del saccheggio e non offre
nessuna alternativa.
E proprio qui che vorrei riscattare la nozione corpo-territorio su cui
riflettono gli ecofemminismi in America Latina, i corpi come nostro primo
territorio (Ivone Guebara) (16).
Come un luogo da dove si può resistere, costruire autonomie e tessere
comunità, e da dove si può articolare la connessione con un territorio più
grande. Le pratiche politiche dei femminismi hanno tessuto queste connessioni
di fronte al femminicidio e hanno politicizzato il dolore per convertirlo in
agenda autonoma propria.
È possibile costruire un corpo esteso nella Natura per smontare la menzogna
del mercato fatto di tempi e priorità estrattive e patriarcali.
Lo sguardo dal territorio permette di partire dai tessuti che formano la
vita, dagli esseri umani capaci di collaborare e stabilire legami di
convivialità democratica, logiche di giustizia ambientale, umana.
Queste prospettive dovranno inondare i nostri argomenti, poiché ci offrono
la “punta del fuso” per imprimere un nuovo significato a questo momento
storico, oltre le matrici che la modernità capitalista pretende d’imporre agli
immaginari sociali con l’obiettivo di rieditare il “business as usual”
attraverso la paura e l’autoritarismo statale.
È adesso, in questa soglia critica, in questo “spazio frontiera” (17) del
saccheggio della Natura, che questi nuovi sguardi iniziano a maturare
incontrando milioni di persone, e con esse la possibilità di una diversa.
narrazione di questa storia. La costruzione di un nuovo senso comune
di fronte al “Capitalocene” si svolge in condizioni straordinarie: allorché –
nonostante le violenze – si è destato un interesse collettivo inedito nel
guardare oltre per intravvedere queste interconnessioni.
Sono innumerevoli i contributi in gestazione nell’ultimo secolo, a partire
dal pensiero critico e dall’ecologia politica che hanno contraddistinto
quest’epoca nella ricerca di alternative per trasformare la società e il
rapporto con la Natura (18).
Ebbene, oggi stiamo di fronte ad una realtà che ci obbliga a dare concreta
storicità a queste proposte, frutto di riflessioni ed esperienze politiche.
Come non mai i concetti e le possibilità – transizione, decrescita,
deglobalizzazione, beni comuni, ecofemminismo – possono convertirsi in
orizzonti possibili.
La crisi del coronavirus ha riposizionato i dibattiti sulla transizione e
la trasformazione socio-ecologica e sulla necessità di una soggettività ed
un’azione politica creativa che ne permettano la realizzazione.
Ha riattualizzato i dibattiti globali sui limiti alla crescita ridato
impulso ai dibattiti sul pensiero critico, come l’ecofemminismo, il Buen Vivir,
i diritti della Natura, le società della decrescita, i beni comuni e i loro
rapporti con i beni pubblici (19). Chiavi indispensabili per declinare
percorsi di trasformazione.
La centralità della cura, nel senso integrale della parola, dev’essere
affrontata dalla sua complessità e con una posizione critica sulle condizioni
di dominio patriarcale in cui si trova attualmente per strapparla all’assedio a
cui è sottoposta.
Il suo contributo visibile – che si potrebbe rappresentare in una
percentuale pari al 24% e il 66% dell’economia (20) potrebbe fornire le basi
per una riformulazione delle priorità nell’organizzazione dell’economia e della
società. Nella misura in cui verrà affrontata con giustizia e sia
collegata alla cura della natura, alla gestione del bene comune, alle dinamiche
della decrescita e della trasformazione socioeconomica, la cura potrà
procurarci valide piste per riprodurre tessuto sociale, arricchire ed evolvere
in “comunità di vita” a partire dalla proposta ecofemminista.
Il paradigma olistico dell’interdipendenza offre oggi le basi per
affrontare questa sfida della trasformazione a partire da e verso la vita
quotidiana; un ethos della collaborazione al tempo delle piccole cose, il tempo
di tornare a tessere territorio e comunità umana.
È tempo di “fare ecologia” del mondo che ha oltrepassato i limiti della
natura e che richiede di essere curato integrando molti mondi, come il
“Pluriverso” per il post -sviluppo che propone Alberto Acosta,
mèta verso la quale si sono orientati migliaia di attivisti,
pensatrici e pensatori per immaginare un futuro possibile (21).
Domande nel cassetto
Secondo alcune analisi sarà forse possibile “appianare la curva”
del coronavirus in due anni, a condizione che si prendano misure radicali di
“isolamento sociale”, con periodi di quarantena senza precedenti non
solo per contenere la pandemia, ma anche per attenuarla ed eliminarla. (Gideon
Lichfield, 2020), (Hubert, 22 marzo 2020) (22).
Altri affermano che quella che stiamo vivendo sia solo la punta
dell’iceberg, e che dovremmo affrontare altri episodi simili provocati da
cambiamenti globali quali la perdita della biodiversità ed i cambiamenti
climatici, vettori critici di uno sconvolgimento su grande scala.
Come sarà possibile sostenere queste misure di confinamento prolungato e
allo stesso tempo assicurare la vita, la democrazia e la libertà dell’azione
politica? Come si assicurerà alle popolazioni l’accesso a cibo, servizi,
salute, acqua, sanificazione rispettando i diritti delle persone che lavorano
in queste aree? Come verranno prese le decisioni per gestire le città, i paesi,
le comunità?
Come si affronterà questa realtà in contesti come l’America Latina,
l’India, l’Asia o l’Africa dove non è possibile il confinamento, inteso nella
maniera immaginata dall’occidente “moderno”? Come verranno prese le
decisioni per la necessaria trasformazione dell’economia, e delle matrici
energetiche e produttive?
La riflessione sulla democrazia è centrale. Siamo in un tempo in cui gli
spazi di interazione ed il tessuto sociale si stanno restringendo
drammaticamente.
Lo spazio pubblico diventa virtuale; una quotidianità che dà il via alla
ristrutturazione degli attori sociali e dell’inconscio collettivo; lo spazio
virtuale isolato – sebbene abbia un potenziale di articolazione – può creare
soggettività politiche frammentate e intrappolarci in una dinamica nella quale
l’abisso seduce più della possibilità di cambiare il mondo.
Come garantiremo la democrazia? Qual è lo “stato di diritto” che vorremmo
restituire? Eppoi, questa democrazia non è forse ormai obsoleta? Non
si è forse dimostrata incapace di raccogliere la tradizione deliberante delle
comunità, delle donne? E … Come includere il non-umano, la Natura stessa come
“soggetto di diritto”?
La moltitudine che interpella il sistema e rivendica diritti andrà
ricostruita raccogliendo la trama delle rivolte sociali delle ultime decadi,
contro il saccheggio ecologico, il patriarcato e l’ingiustizia sociale, nella
consapevolezza che tali complesse sfide dovranno confrontarsi con strutture
rinnovate del potere.
Se vogliamo che le società umane non solo sopravvivano, ma che prosperino
su base comunitaria e armonica con la Natura, dovremo affrontare questi ed
altri ostacoli attraverso il recupero dei fondamenti etici
dell’alterità e l’eco-dipendenza a fronte alla razionalità capitalista moderna.
Così sarà possibile costruire una comunità che dall’incertezza e dalla
certezza sappia coltivare la speranza, proprio come ci si prende cura del seme
di un nuovo frutto.
Traduzione dallo spagnolo di Ingrid Dussi dall’originale pubblicato
su Alternativas Sistemicas
Note:
[1] Moore, Jason W., Anthropocene
or Capitalocene? (2015) https://www.versobooks.com/blogs/2360-jason-w-moore-anthropocene-or-capitalocene; El
antropoceno como diagnóstico y paradigma, Lecturas Latinoamericanas. Utopía
y Praxis Latinoamericana Nº84, Univ. de Zulia, 2019, Venezuela. http://produccioncientificaluz.org/index.php/utopia/issue/view/2705
[2] Analysis: coronavirus
temporarily reduced China’s emissions by a quarter https://www.carbonbrief.org/analysis-coronavirus-has-temporarily-reduced-chinas-co2-emissions-by-a-quarter
[3] Zizek considera
il Covid-19 come il colpo finale al Capitalismo “alla maniera di
Kill Bill” https://actualidad.rt.com/actualidad/344511-slavoj-zizek-coronavirus-golpe-capitalismo-kill-bill-reinventar-comunismo ,
Enrique Dussel, intravvede la fine dell’era capitalista http://www.coha.org/cuando-la-naturaleza-jaquea-a-la-orgullosa-modernidad/
[4] Carbon emissions from fossil
fuels can fall by 2.5bn Tonnes by 2020 – The Guardian https://www.theguardian.com/environment/2020/apr/12/global-carbon-emisions-could-fall-by-record-25bn-tonnes-in-2020 ; The
corona virus and the limits of the individual climate action – The
Republic https://newrepublic.com/article/157450/coronavirus-limits-individual-climate-action?fbclid=IwAR0QEK0jzrLlkhfdYeHP8_JBav5mwuqTJqvcT9uJd0rQu178zqCknNi7Rg8
[5] Butler, J. Vida Precaria:
el poder del duelo y la violencia, 2006,Paidos, Bs.As.
[6] Per questo raccomando il lavoro
prodotto da Buxton ed Hayes (2015) sulle dinamiche di protezione
imprenditoriale e militare a fronte dell’emergenza dei cambiamenti
climatici: The secured and the dispossessed: how the military and
corporations are shaping a climate-changed world https://www.tni.org/en/publication/the-secure-and-the-dispossessed
[7] Azan, G, Aguiton, Ch.,et
al. La reubicación ya no es una opción sino una necesidad para la
sobrevivencia de los sistemas económicos y sociales, Attac, 22/3/2020 https://france.attac.org/actus-et-medias/dans-les-medias/article/relocaliser-n-est-plus-une-option-mais-une-condition-de-survie-de-nos-systemes
[8] Svampa, M., Reflexiones
para un mundo post coronavirus. Nueva Sociedad. Abril 2020.
BsAs. https://www.nuso.org/articulo/reflexiones-para-un-mundo-post-coronavirus/
[9] López, X. Leviathan in
interiore Green New Deal. Nov. 2019. La U (Revista de cultura y
pensamiento) https://la-u.org/leviathan-in-interiore-green-new-deal/
[10] Klein, N. (2007) La
doctrina del Shock: El auge del capitalismo del desastre, Paidós.
Buenos Aires.
[11] Terán M. Emiliano. El
coronavirus mas allá del coronavirus: umbrales biopolítica y emergencias.Marzo
31 2020. Caracas, Venezuela. https://oplas.org/sitio/2020/03/31/emiliano-teran-mantovani-el-coronavirus-mas-alla-del-coronavirus-umbrales-biopolitica-y-emergencias/
[12] Reporte Pérdida de
Naturaleza y Pandemias. WWF (World Wide Forum)2020 https://d80g3k8vowjyp.cloudfront.net/downloads/naturaleza_y_pandemias_wwf.pdf?54120%2FPerdida-de-naturaleza-y-pandemias-Un-planeta-sano-por-la-salud-de-la-humanidad&fbclid=IwAR0RCoxCpcBfuG53mjQ6YTkLkPfrkNVROkktOegPqK8aNTDOOunVhhSIyF0
[13] Ribeiro, S. Los
hacendados de la pandemia. Grupo ETC 2020: “En México vimos como se
originó la gripe porcina en 2009, a la cual le pusieron el aséptico nombre de
Gripe A H1N1, para desvincularla de su puerco origen. Originó en la fábrica de
cerdos llamada Granjas Carroll, en Veracruz, entonces co-propiedad de
Smithfield, la mayor productora de carne a nivel global. Smithfield fue
comprada en 2013 por una subsidiaria de la mega empresa china WH Group,
actualmente la mayor productora de carne porcina del mundo, ocupando el primer
lugar en ese rubro en China, Estados Unidos y varios países europeos.” http://www.biodiversidadla.org/Recomendamos/El-sueno-de-la-razon-Los-hacendados-de-la-pandemia?fbclid=IwAR1GJiA3h_G4eeWfffpY5znPDgYXm1c7eKNQZ1RHnodg3EF23cHZMr63Q98
[14] Boris Cyrulnik, filosofo,
psicologo e psicoanalista francese, creatore del concetto psicosociale di resilienza concepisce
l’ossimoro, figura retorica che accoppia due concetti antagonistici per crearne
uno nuovo, come due concetti figura base delle possibilità creative degli
esseri umani di fronte alla sofferenza.
[15] Escobar A. (2016) Sentirpensar la
tierra: Las luchas territoriales y su dimensión ontológica en las Epistemologías
del Sur. AIBR, Revista de Antropología Iberoamericana. Vol 11 Nº1.
Madrid.
[16] La filosofa e teologa
femminista brasiliana Ivone Guebara parla
di “corpo territorio” recuperando non solo la resistenza comunitaria
e femminile dei territori contro l’estrattivismo in America Latina, ma anche il
significato del “nostro corpo” nostro primo territorio” di fronte al potere
ideologico del capitalismo, e del suo dominio sui desideri attraverso il
mercato.
[17] Peredo, E., Un mundo
frontera: reflexiones en tiempos del antropoceno. Systemic
Alternatives, 2019 https://systemicalternatives.org/2019/09/01/un-mundo-frontera-reflexiones-en-tiempos-del-antropoceno/
[18] Il dossier
pubblicato Alternativas Sistémicas pubblicato
dalla Fundación Solón in Bolivia, con edizione in
francese “Le monde qui emerge” pubblicata da ATTAC (2016)
rappresenta un contributo pertinente alla fase attuale. https://systemicalternatives.org/2017/03/10/book-systemic-alternatives/
[19] Dardot, P. y Laval, Ch. Lo
común, ¿un principio revolucionario para el S. XXI?, intervista realizzata
da P.Cingolani e A.Fjeld, in Reinvenciones de lo común/Revista de Estudios
Sociales Nº70, Octubre de 2019.
[20] Duran Heras. MA. (2012) El
trabajo no remunerado en la economía global. BBVA, Bilbao.
[21] Pluriverso-Un diccionario del
postdesarrollo. Kothari, A., Escobar, A., Salleh,A., Acosta, A.; Icaria,
2019, Barcelona.
[22] Lichfeld, G. We are not
going back to normal, MIT Technology Review, 2020. https://www.technologyreview.com/s/615370/coronavirus-pandemic-social-distancing-18-months
Hubert, T. El Martillo y la danza: Como serán los próximos meses si
nuestros líderes ganan tiempo https://medium.com/tomas-pueyo/coronavirus-el-martillo-y-la-danza-32abc4dd4ebb
Elizabeth Peredo Beltrán (Bolivia) psicologa, autrice e
attivista per i diritti delle donne e della natura. Già direttrice della
Fondazione Solón è membro dell’Osservatorio Boliviano su Cambiamenti
Climatici e Sviluppo (OBCCD). Collabora con varie riviste accademiche ed
organizzazioni social con analisi su questioni relative ai cambiamenti
climatici e la crisi di civiltà, la giustizia ambientale, i diritti umani e
l’ecofemminismo.
Nessun commento:
Posta un commento