Democratizing Work. Questo importante appello di
oltre 3.000 ricercatori di tutto il mondo è uscito di recente in simultanea su
41 giornali, tra cui El Comercio, Boston Globe, Guardian, Gazeta Wyborcza, La
Folha de São Paulo, The Wire, Cumhuriyet, Le Soir, Le Monde, Die Zeit, Publico,
El Diario, Le Temps. In Italia gli autori hanno scelto il manifesto. Le tre
testate online Democraziaoggi, il Manifesto sardo e Aladinpensiero lo
condividono e lo diffondono, segnalandolo come materiale prezioso per il grande
dibattito sul lavoro nel quale sono impegnate con la pubblicazione di
qualificati contributi e con l’organizzazione di apposita convegnistica.
L’appello è stato firmato da oltre 3.000 accademici e
ricercatori di più di 650 università del mondo. Tra questi, Elisabeth Anderson,
Thomas Piketty, Dani Rodrik, Jan Werner Mueller, Chantal Mouffe, Claus Offe,
Julie Battilana, Joshua Cohen, Nancy Fraser, James K. Galbraith, Axel Honneth,
Jan-Werner Müller, Benjamin Sachs, Debra Satz, Nadia Urbinati, Sarah Song, Lea
Ypi, Isabelle Ferreras, Dominique Méda, Saskia Sassen, Lawrence Lessig.
Chi lavora è molto di più che una semplice risorsa.
Questa è una delle lezioni principali che dobbiamo imparare dalla crisi in
corso.
Curare i malati; fare consegne di cibo, medicine e
altri beni essenziali; smaltire i rifiuti; riempire gli scaffali e far
funzionare le casse dei supermercati: le persone che hanno reso possibile
continuare con la vita durante la pandemia di Covid-19 sono la prova vivente
che il lavoro non può essere ridotto a una mera merce.
La salute delle persone e la cura di chi è più
vulnerabile non possono essere governati unicamente dalle leggi di mercato. Se
affidiamo questi compiti esclusivamente al mercato, corriamo il rischio di
esacerbare le diseguaglianze e di mettere a repentaglio le vite delle persone
più svantaggiate.
Come evitare che succeda questo? Implicando chi lavora
nelle decisioni relative alle loro vite e al loro futuro nel luogo di lavoro.
Democratizzando le imprese. De-mercificando il lavoro. Garantendo a tutti un
impiego utile.
Dinanzi al rischio spaventoso della pandemia e del
collasso ambientale, optare per questi cambiamenti strategici ci permetterebbe
non solo di assicurare la dignità di tutti i cittadini ma anche di riunire le
forze collettive necessarie per poter preservare la vita sul nostro pianeta.
DEMOCRATIZZAZIONE.
Ogni mattina, donne e uomini si svegliano e vanno a
lavorare per chi tra di noi può restare in casa in quarantena. La dignità del
loro lavoro non ha bisogno di altra spiegazione se non quella contenuta nel
termine di «lavoratore essenziale». Questo termine mette alla luce un fatto
importante che il capitalismo ha sempre cercato di rendere invisibile,
spingendoci a pensare alle persone come «risorse umane».
Gli esseri umani non sono una risorsa tra le altre.
Senza persone che vogliano investire il proprio lavoro non ci sarebbero
produzione né servizi.
Ogni mattina, si svegliano anche donne e uomini che,
confinati in casa, si danno da fare per le imprese e ditte per le quali
lavorano a distanza.
Sono la dimostrazione che si sbaglia chi crede che
senza supervisione non ci si possa fidare che i lavoratori si impegnino, che
questi richiedano sorveglianza e disciplina esterna continua. Sono la
dimostrazione, giorno e notte, che i lavoratori non sono solo una delle tante
parti in gioco all’interno delle aziende: al contrario, sono loro la chiave per
il successo dei datori di lavoro. Sono il nucleo costituente delle aziende;
nonostante ciò, sono esclusi dalla partecipazione nella gestione dei luoghi di
lavoro – un diritto, quest´ultimo, monopolizzato dagli investitori di capitale.
Se ci chiediamo come le aziende e la società intera
possono riconoscere il contributo dei lavoratori in tempo di crisi, la risposta
è: democrazia.
Certamente bisogna ridurre le enormi diseguaglianze
salariali e assicurare che aumentino i redditi più bassi; ma questo non basta.
Come, dopo le due Guerre Mondiali, si è riconosciuto
il contributo innegabile delle donne alla società dando loro il diritto al
voto, così oggi appare ingiustificato negare l’emancipazione di chi investe il
suo lavoro e il riconoscimento dei suoi diritti di cittadinanza all’interno
delle imprese.
In Europa, la rappresentanza dei lavoratori sul luogo
di lavoro esiste già a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale,
attraverso i Consigli di Lavoro. Ma questi organi rappresentativi, nel migliore dei
casi, hanno scarsa voce in capitolo nella gestione delle imprese, dove sono
sempre subordinati alle decisioni dei direttori esecutivi scelti dagli
azionisti.
Questi Consigli non sono stati in grado di frenare o
rallentare la spinta verso l’accumulazione del capitale, con effetti disastrosi
per l’ambiente.
Questi organi dovrebbero avere diritti simili ai
Consigli di Amministrazione e i dirigenti aziendali dovrebbero avere l´obbligo
di ottenere sempre un doppio consenso: sia da parte degli organi che
rappresentano i lavoratori che da quelli che rappresentano gli azionisti.
In Germania, Olanda e nei paesi scandinavi, vari tipi
di co-gestione (Mitbestimmung) si sono stabiliti progressivamente dopo la
Seconda Guerra Mondiale e hanno rappresentato un passo cruciale ma
insufficiente verso la creazione di una vera e propria cittadinanza all’interno
dell’impresa.
Perfino negli Stati Uniti, dove le organizzazioni di
lavoratori e sindacali sono state pesantemente indebolite, si alzano voci a
favore del riconoscimento del diritto degli investitori di lavoro di eleggere rappresentanti
con una maggioranza qualificata all’interno dei consigli di amministrazione.
Questioni come la scelta di un amministratore
delegato, le strategie principali e la distribuzione dei profitti sono troppo
importanti per essere lasciate interamente nelle mani degli azionisti.
Chi investe il proprio lavoro – ovvero, la propria
mente e il proprio corpo, la propria salute o anche la propria vita – deve
godere del diritto collettivo di appoggiare o respingere queste decisioni.
DE-MERCIFICAZIONE.
Questa crisi ci insegna anche che è sbagliato trattare
il lavoro come mera merce e lasciare le scelte che incidono più profondamente
sulle nostre comunità in mano interamente ai meccanismi di mercato.
Da tempo le politiche di lavoro e di approvvigionamento
nel campo sanitario sono state guidate dalla semplice analisi costi-benefici;
la crisi della pandemia ci rivela come questo criterio ci abbia spinto a fare
errori.
Alcuni bisogni fondamentali e collettivi devono essere
sottratti al criterio dell’analisi costi-benefici, come ci ricordano il numero
crescente di morti di Covid in tutto il mondo. Chi sostiene il contrario ci
mette in pericolo.
Quando sono in gioco la salute e la nostra vita sul
pianeta, ragionare in termini di costi e benefici è indifendibile.
La de-mercificazione del lavoro significa proteggere
alcuni settori dalla legge del cosiddetto «libero mercato»; significa inoltre
assicurare che tutti abbiano accesso al lavoro e alla dignità che conferisce.
Una possibile maniera per realizzare questo obiettivo
è la creazione di una Garanzia di Impiego. L’articolo 23 della Dichiarazione
Universale dei Diritti Umani afferma che ogni persona ha diritto al lavoro.
Una Garanzia di Impiego non solo offrirebbe a ogni
cittadino la possibilità di lavorare e vivere con dignità, ma rinforzerebbe
anche la nostra capacità collettiva di far fronte alle tante sfide sociali e
ambientali che ci troviamo davanti.
Una Garanzia di Impiego permetterebbe ai governi, in
collaborazione con le comunità locali, di creare lavoro degno e al contempo di
contribuire agli sforzi per evitare il collasso ambientale.
Davanti alla crescita della disoccupazione in tutto il
mondo, i programmi per garantire l´impiego posso giocare un ruolo fondamentale
per assicurare la stabilità sociale, economica e ambientale delle nostre
società democratiche.
Un tale programma deve essere adottato dall’Unione
Europea come parte del suo Green Deal; al fine di assicurarlo, bisogna
ridefinire la missione della Banca Centrale Europea, in modo che quest´ultima
possa finanziarlo.
Questo programma offrirebbe una soluzione anti-ciclica
alla disoccupazione massiccia che sta per colpirci e sarà d’importanza
fondamentale per la prosperità europea.
RISANAMENTO AMBIENTALE.
La nostra reazione alla crisi attuale non deve essere
ingenua come lo fu quella alla crisi economica del 2008. Allora si adottò un
piano di salvataggio senza condizioni che incrementò il debito pubblico senza
pretendere nulla in cambio da parte del settore privato.
Se i nostri governi si impegnano per salvare le
imprese nella crisi attuale, anche queste ultime devono fare la loro parte,
accettando alcune condizioni fondamentali della democrazia.
I nostri governi, in nome delle società democratiche
dai quali vengono scelti e alle quali devono rispondere, e in nome dell’obbligo
che tutti abbiamo di assicurare l´abitabilità del nostro pianeta, devono
appoggiare le imprese a condizione che queste adottino delle nuove pratiche,
attendendosi a requisiti ambientali esigenti e introducendo strutture interne di
governo democratico.
Imprese governate democraticamente – all’interno delle
quali avrà uguale peso, nelle decisioni strategiche, la voce di chi investe il
suo lavoro e di chi investe capitale – saranno capaci di guidare la transizione
dalla distruzione al risanamento e rigenerazione ambientali.
Abbiamo avuto fin troppo tempo per costatare cosa
succede, nel sistema corrente, quando il lavoro, il pianeta e i guadagni si
scontrano: il lavoro e il pianeta ne escono perdenti.
Sappiamo, grazie alle ricerche del Dipartimento di
Ingegneria dell’Università di Cambridge, che «cambiamenti di progettazione realizzabili» possono ridurre il
consumo globale di energia del 73%. Ma questi cambiamenti richiedono l´impiego
di molta forza lavoro e per metterli in atto sono necessarie scelte che
nell’immediato risultano costose.
Finché le imprese saranno gestite con l’obiettivo di
massimizzare il profitto in un mondo in cui l´energia è a basso costo, perché
mai verrebbero adottati questi cambiamenti?
Nonostante le sfide che questa transizione comporta,
imprese sociali e aziende cooperative, guidate da obiettivi che tengono in
conto tanto considerazioni finanziarie quanto sociali e ambientali e che danno
spazio alla democrazia interna, hanno già dimostrato il loro potenziale
come agenti dei cambiamenti desiderati.
Non illudiamoci: gli investitori di capitale, potendo
scegliere, non si cureranno della dignità degli investitori di lavoro e non si
faranno carico di combattere la catastrofe ambientale.
È possibile scegliere un’altra strada.
Democratizziamo le imprese; de-mercifichiamo il
lavoro; smettiamo di trattare le persone come risorse in modo da potere
impegnarci insieme per sostenere la vita sul nostro pianeta.
L’appello, tradotto in 25 lingue, è stato firmato da
oltre 3.000 accademici e importanti ricercatori di oltre 650 università di
tutto il mondo. Firma qui.
Tradotto in italiano da Serena Olsaretti
(ICREA-Universitat Pompeu Fabra), Riccardo Spotorno (Universitat Pompeu Fabra),
Laura Cementeri (CNRS–Centre d’étude des Mouvements Sociaux -EHESS)
La lista completa con tutti i firmatari da oltre 650
università del pianeta è su democratizingwork.org
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