L’esclusione dalle forme di protezione aumenta
l’esposizione alle nuove schiavitù
Ho parlato
di contatti.
Tra il colonizzatore e il colonizzato, c’è posto solo per il lavoro duro, l’intimidazione, la pressione, la polizia, l’imposta, il ladrocinio, lo stupro, le imposizioni culturali, il disprezzo, Ia sfiducia, l’alterigia, la sufficienza, la villania, élites senza cervello, masse avvilite [1].
Tra il colonizzatore e il colonizzato, c’è posto solo per il lavoro duro, l’intimidazione, la pressione, la polizia, l’imposta, il ladrocinio, lo stupro, le imposizioni culturali, il disprezzo, Ia sfiducia, l’alterigia, la sufficienza, la villania, élites senza cervello, masse avvilite [1].
Il
reclutamento di manodopera a basso costo è stato ampiamente incentivato dopo la
seconda guerra mondiale attraverso la forza lavoro immigrata. In base alla
teoria dei ‘push and pull factors’ gli spostamenti migratori
seguono la logica dei fattori di attrazione e di spinta. Le pressioni del
mercato globale hanno creato i presupposti per la ‘schiavitù moderna’,
congiuntura economica poco favorevole, in cui i fattori di spinta sono
determinanti come anche gli immigrati.
Fondamentali nei lavori manuali da esterno, ad esempio, si pensi all’agricoltura, alle imprese di costruzioni, alla cura degli animali e del territorio, e nei lavori domestici o settori come la ristorazione, i servizi alberghieri e i servizi legati alla salute e all’assistenza delle persone. In questa lettura, la schiavitù odierna, dunque, non è una conseguenza del sottosviluppo ma, al contrario, appare nei processi produttivi dei Paesi ricchi perché consente eccezionali profitti ed è una strategia vantaggiosa per l’economia globalizzata.
Fondamentali nei lavori manuali da esterno, ad esempio, si pensi all’agricoltura, alle imprese di costruzioni, alla cura degli animali e del territorio, e nei lavori domestici o settori come la ristorazione, i servizi alberghieri e i servizi legati alla salute e all’assistenza delle persone. In questa lettura, la schiavitù odierna, dunque, non è una conseguenza del sottosviluppo ma, al contrario, appare nei processi produttivi dei Paesi ricchi perché consente eccezionali profitti ed è una strategia vantaggiosa per l’economia globalizzata.
Lo
schiavismo moderno, che nessuna legge internazionale definisce, è un termine
ombrello attraverso cui si enfatizzano le commistioni tra la tratta di persone,
il lavoro forzato e la schiavitù.
Lo sa bene
questa sanatoria che rifiutando la migrazione come un’esperienza che ingloba
tutte le dimensioni dell’esistenza umana, confina il migrante al suo esclusivo
ruolo di lavoratore - bracciante.
Infatti una
delle sue frasi si impone: «non aspiriamo all’uguaglianza, ma alla dominazione.
Il paese di razza straniera dovrà ridiventare un paese di servi, di braccianti
agricoli, o di operai industriali. Non si tratta di sopprimere le
disuguaglianze tra gli uomini, ma di ampliarle e legittimarle [2]».
Sanatoria
che risulta essere ‘il pessimo prodotto della scelta governativa
che invece di affrontare il problema nella sua interezza e dal punto di vista
primario dei diritti e delle garanzie, ha deciso di muoversi solo per provare a
soddisfare le immediate esigenze del sistema economico e produttivo [3]’.
Un permesso
di lavoro per 6 mesi, ossia valido il tempo della raccolta che asseconda una
rappresentazione dell’io e dei diritti radicalmente gerarchica e definita in
base a criteri di riferimento ed orizzonti definiti per cui l’immigrato non ha
possibilità di essere classificato, di avere altro spazio all’interno della
società di destinazione [4]o altro “modo d’essere all’interno del
gruppo", se non quello di essere un corpo - forza lavoro -.
Un’etichetta a cui, tuttavia, si pretende ancora di collegare ‘l’entità fisica, psicologica e morale’, ‘uomo’ [5].
Insomma, ‘un inganno per le migliaia di migranti in attesa della possibilità
di emergere dalla condizione di annullamento civile e sociale in cui sono
costretti [6]’.
Una
sanatoria che senza mezze misure vuole mantenere il migrante in una condizione
di marginalità, senza concedere il pieno godimento dei diritti fondamentali,
attraverso un inserimento lavorativo forma di una integrazione subalterna.
Sicuramente
il sistema di lavoro temporaneo è una forma di restrizione dell’immigrazione.
La sua caratteristica è legare l’immigrato a un singolo datore di lavoro e
quando ciò accade, lo sfruttamento risulta più semplice. Ed infatti, già questa
sanatoria ha alimentato le speculazioni ed i raggiri ai danni di migranti
costretti a pagare dai 6.000 agli 8.000 euro per ‘regolarizzare’ la loro
posizione sul territorio italiano.
Ovviamente, laddove i datori di lavoro privati hanno un alto grado di controllo sulla capacità di rilasciare un PDS, il potenziale di sfruttamento è un rischio che si auto verifica.
Ovviamente, laddove i datori di lavoro privati hanno un alto grado di controllo sulla capacità di rilasciare un PDS, il potenziale di sfruttamento è un rischio che si auto verifica.
Un lavoro si
definisce para-schiavistico perché è connotato dalla totale assenza di libertà
decisionale. Il perimetro di tale azione si verifica su due aspetti
contrapposti: da un lato è necessario che lo sfruttamento intensivo sia
finalizzato a rapidi guadagni, dall’altro vi è la necessità di non degradare
troppo la fonte di guadagno stessa (ossia le persone sottomesse) per non
renderla inattiva e impossibilitata a produrre ulteriore ricchezza. Per
garantire i profitti è necessario, dunque, assicurare un continuo ricambio
delle vittime o di quanti accettano volontariamente, o meglio per necessità,
tali condizioni lavorative, attraverso impieghi di breve durata.
Lo stato di
sudditanza socio-economico e socio-psicologico, le forme di sfruttamento basate
sul dominio e sulla completa coercizione, sono gli elementi che spiegano cosa
s’intenda per condizione servile [7]. Come ben suggerisce questa sanatoria.
È stato osservato che in Europa negli ultimi anni un inasprimento della politica migratoria è stato accompagnato da una riduzione della protezione dei migranti. Dal Global Slavery Index 2018 emerge che, anche nei paesi con risposte apparentemente più forti alla schiavitù, l’esclusione dalle forme di protezione normative, aumenta l’esposizione alle nuove schiavitù.
La vulnerabilità alle condizioni servile è matematica nelle situazioni e nei luoghi in cui l’autorità dello Stato e della società non è in grado di proteggere i migranti.
È stato osservato che in Europa negli ultimi anni un inasprimento della politica migratoria è stato accompagnato da una riduzione della protezione dei migranti. Dal Global Slavery Index 2018 emerge che, anche nei paesi con risposte apparentemente più forti alla schiavitù, l’esclusione dalle forme di protezione normative, aumenta l’esposizione alle nuove schiavitù.
La vulnerabilità alle condizioni servile è matematica nelle situazioni e nei luoghi in cui l’autorità dello Stato e della società non è in grado di proteggere i migranti.
Non si
tratta, dunque, di un concetto puramente tecnico.
La
vulnerabilità alla condizione servile definita, dall’International Organization
for Migration (IOM) come suscettibilità ai danni di alcune persone rispetto ad
altre a seguito dell’esposizione a un certo tipo di rischio. Le dimensioni in
cui si manifesta la vulnerabilità dei migranti sono: fattori individuali (come
età, genere, etnia), fattori familiari e domestici (come dinamiche familiari
interne), fattori della comunità (come gli atteggiamenti culturali e l’ambiente
naturale) e i fattori strutturali (come le strutture legali e una più ampia
stabilità sociale) .
La giustizia rientra, istituzionalmente, in quella dimensione discriminante per cui si produce la condizione servile, supportata da politiche restrittive in materia di immigrazione combinate a forti incentivi economici e a salari indegni.
Una “persecuzione burocratica [8]” che colpisce gli immigrati nei Paesi di destinazione, che contribuisce a definirne la loro diversità e a delimitare, in ultimo, i contorni dell’identità nazionale.
La giustizia rientra, istituzionalmente, in quella dimensione discriminante per cui si produce la condizione servile, supportata da politiche restrittive in materia di immigrazione combinate a forti incentivi economici e a salari indegni.
Una “persecuzione burocratica [8]” che colpisce gli immigrati nei Paesi di destinazione, che contribuisce a definirne la loro diversità e a delimitare, in ultimo, i contorni dell’identità nazionale.
’Si potrebbe pensare che […] l’uguaglianza di tutti gli esseri
umani e il loro diritto a muoversi liberamente per il mondo per trovarvi
un’esistenza decente siano principi ovvi, anche se privi di una formulazione
netta. Ma non è così. L’umanità viene divisa in maggioranze di nazionali,
cittadini dotati di diritti e di garanzie formali, e in minoranze di stranieri
illegittimi (non cittadini, non nazionali) cui le garanzie vengono negate di
diritto e di fatto […] Bisognava comprendere come la comparsa di stranieri in cerca
di lavoro o di opportunità sociali abbia fatto sparire d’incanto diversi luoghi
comuni sull’umanità, tolleranza e razionalità della nostra cultura [9]’.
I siti di
vulnerabilità - ossia le zone dove si verifica il crimine della schiavitù
moderna -, le caratteristiche delle vittima (o cosa rende alcuni migranti
più vulnerabili a schiavitù moderna di altre?), le caratteristiche del
trasgressore e le prospettive del guardiano, sono i riferimenti che spiegano le
dinamiche della schiavitù moderna e, nello stesso tempo, i punti su cui
intervenire per non commettere questo crimine. Così lontano, così vicino.
Note
[1] Aime Cesaire, Discorso sul colonialismo.
[2] Aime Cesaire, Discorso sul colonialismo.
[3] Cfr. Siamo qui, sanatoria subito.
[4] Bourdieu in Sayad 2002.
[5] Polanyi, 2010. Inoltre, vedi Bales, 2002: «Questa
nuova forma di schiavitù imita l’economia mondiale: si sottrae al rapporto di
proprietà e all’impegno gestionale fisso, concentrandosi piuttosto sul
controllo e sull’uso delle risorse e dei processi. […] Nella nuova schiavitù lo
schiavo è un articolo di consumo: in caso di necessità può aggiungersi al
processo di produzione, ma non è più un bene ad alta intensità di capitale».
[6] Cfr. Siamo qui, sanatoria subito. Inoltre vedi
Bartoli, 2012: «Quando l’etnia, la nazionalità, la cultura e la religione non
sono trattate come categorie aperte, negoziabili, mutanti, frutto di processi
storici, ma come un dato naturale, inalienabile, immutabile, che determina
totalmente i comportamenti e le opinioni dell’individuo che vi è rubricato e ne
decreta l’incommensurabile diversità dal «noi», allora divengono nomi criptati
del concetto di razza. Il diritto finisce dunque per creare, quasi fossero
nuove denominazioni di razza, l’identità di “straniero” – che rischia di
rimanere tale a vita e non ottenere mai la cittadinanza per residenza, perché
questa è basata sullo ius sanguinis e difficile da ottenere anche per i figli
degli immigrati nati e vissuti in Italia – e quella del “clandestino”, che è
tale per definizione di legge – “La clandestinità è una sorta di status
d’eccezione in cui finanche i diritti fondamentali possono essere sospesi”».
[7] Cfr. Carchedi - Mottura - Pugliese, 2015: «Il fattore
che la caratterizza è la mancanza di libertà. In questo tipo di relazioni la
caratteristica sembra essere la distanza tra le parti in causa, distanza
necessaria a mantenere il rapporto sui binari della completa soggezione coatta
delle vittime».
[8] Dal Lago, 1998.
[9] Dal Lago, 2004.
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