mercoledì 10 giugno 2020

La Turchia non è un paese per giornalisti - Arber Agalliu


L’invasione militare turca e l’attacco mirato nei confronti delle popolazioni curde nel nord della Siria ha riacceso i riflettori non solo sulla questione curdo-turca, ma anche sulle condizioni in cui versano gli oppositori politici del governo di Ankara.
Le proteste di Gezi Park del 2013 prima, e il fallito colpo di stato del 2016 poi, hanno mostrato il vero volto di Recep Tayyip Erdogan. La repressione del dissenso ha suscitato un’indignazione globale. Dopo i politici dell’opposizione arrestati, dopo i sindaci, giudici, capi dell’esercito, docenti universitari e tanti altri finiti in galera tramite dei processi di piazza, è giunto il momento della stampa. Sono centinaia i giornalisti turchi che vivono in esilio in Europa, le minacce e le pressioni continue non risparmiano neanche i giornalisti e corrispondenti stranieri in Turchia. Il conflitto nel nord della Siria ha mostrato la peggior censura applicata da Erdogan, perché il mondo non deve sapere e i giornalisti non devono raccontare quanto succede in quel fazzoletto di terra chiamato Rojava.
I bombardamenti dell’aviazione turca non risparmiano nessuno. Neanche donne e bambini, né i giornalisti schierati in prima linea per raccontare i conflitti, i morti e le ingiustizie.
Dopo tanto tempo, ho avuto l’occasione e il piacere di scambiare due chiacchiere con l’amico e collega di origine turca Murat Cinar, il quale da anni si batte per la libertà di stampa in Turchia e denuncia, in Italia e non solo, quanto accade nel suo paese natio.


da qui

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