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un sito Antifa italiano
La Turchia attacca gli
“Antifa” che appoggiano le Ypg curde – Michele Giorgio
La Turchia non cessa gli attacchi,
non solo militari, contro il popolo curdo e tutti coloro che sostengono le sue
aspirazioni. Ankara ieri ha chiesto alla Casa Bianca di colpire duramente
gruppi e attivisti “Antifa” anche in Siria, in linea con
l’intenzione di Donald Trump di dichiararli “terroristi” come ritorsione
per l’appoggio che manifestano alle proteste di massa in corso negli
Usa causate dall’omicidio dell’afroamericano George Floyd, soffocato da un
agente di polizia. Trump, dicono i turchi, deve ora proclamare “terroristi”
anche i combattenti delle Ypg, le unità di protezione popolare curdo-siriane –
obiettivo delle offensive militari di Ankara nel Rojava, nel nord della Siria –
perché sono appoggiati dagli “Antifa”.
Il termine “Antifa” (antifascista)
si riferisce genericamente a una serie di organizzazioni e attivisti
antifascisti che usano espressioni simili quando affrontano l’estrema destra e
la repressione delle forze di sicurezza. Non esiste fisicamente
un’organizzazione denominata “Antifa” ma simboli e slogan associati a questo
nome vengono usati anche da gruppi e volontari stranieri che appoggiano le Ypg.
“Gli Stati Uniti devono mostrare la
stessa sensibilità in Siria quando le Ypg e i (volontari) ‘Antifa’ puntano le
armi sui soldati turchi o quando ci attaccano dopo essersi uniti al Pkk
(Partito dei lavoratori del Kurdistan illegale in Turchia, ndr)”, ha sbraitato
in un’intervista su 24 TV il ministro degli esteri turco Mevlut
Cavusoglu che ha esortato Washington ad inserire le Ypg e tutte le
organizzazioni politiche e combattenti curde nell’elenco dei gruppi
terroristici.
Le Ypg hanno ricevuto sostegno
dagli Stati Uniti, come parte del Syrian Democratic Forces (Sdf), nella lotta
contro lo Stato Islamico in Siria. Ma lo scorso autunno l’Amministrazione
Trump, come molti avevano previsto, ha tradito i curdi avallando la sanguinosa
offensiva militare turca nel Rojava finalizzata a distruggere
l’Amministrazione Autonoma curda fondata sul Confederalismo democratico.
Le intenzioni manifestate da Trump
contro gli “Antifa” sono vaghe ma hanno ugualmente fornito alle autorità e ai
commentatori turchi – gli ultranazionalisti e quelli vicini al presidente
Erdogan – il pretesto per cercare di ottenere il sostegno dei conservatori
americani. La tv TRT ha pubblicato una serie di
articoli che collegano le Ypg a coloro che si dichiarano
“Antifa”. Parecchi giornalisti turchi filo governativi hanno pubblicato
sui social foto di bandiere “Antifa” nel Rojava. Alcuni di essi hanno
ricordato che un battaglione internazionale, formato in prevalenza da europei e
statunitensi, ha partecipato alla guerra contro l’Isis all’interno delle
formazioni combattenti curde.
Esponenti dell’estrema destra statunitense
hanno prontamente espresso appoggio alle richieste turche.
Lo spettro degli antifa -
Chip Gibbons
Quando Trump minaccia di
inserire i movimenti antifascisti nell'elenco delle organizzazioni terroriste
mente: la Casa bianca non ha questo potere. Ma le sue parole sono pericolose
perché sono un segnale per le forze dell'ordine
Per quasi vent’anni, il governo
degli Stati uniti ha ingaggiato quella che chiama «guerra al terrorismo». Negli
ultimi giorni, il paese è travolto da un’ondata di terrore. Ma a causarla non
sono al-Qaeda, Isis o qualsiasi altro nemico straniero: il terrore proviene
dalle forze dell’ordine nazionali.
Dopo che la polizia ha assassinato
George Floyd in pieno giorno il 25 maggio – l’ultimo di una lunga lista di
omicidi di polizia di persone di colore, da Philando Castile ed Eric Garner a
Tamir Rice e Breona Taylor – la polizia e la Guardia nazionale si sono
scatenate, utilizzando modi brutali che non fanno che confermare le ragioni dei
manifestanti su quanto siano fuori controllo le forze di polizia. A
Minneapolis, la Guardia nazionale ha sparato proiettili di gomma contro
cittadini che stavano nella
veranda di casa, mentre il Dipartimento di pubblica sicurezza ha
intimato via tweet di
prepararsi alla «guerra urbana». Sono spuntati filmati terrificanti degli
ufficiali del dipartimento di polizia di New York che dirigono i loro veicoli
in mezzo ai manifestanti. A Louisville, nel Kentucky, David McAtee,
proprietario di un ristorante con barbecue – che spesso forniva pasti gratuiti
alle forze dell’ordine – è stato ucciso
a colpi di arma da fuoco dalla polizia e dalla Guardia
nazionale, che ha lasciato il suo corpo per strada per dodici ore. Altrove in
tutta la nazione, la polizia ha attaccato manifestanti, giornalisti e astanti
con una serie di armi, tra cui manganelli, gas lacrimogeni, proiettili di gomma
e granate esplosive.
Donald Trump e il suo procuratore
generale William Barr hanno deciso di ignorare questa vera e propria ondata di
violenza poliziesca, la radice della rabbia che spazza la nazione, insistendo
ancora di più sulle teorie del complotto che giustificano le loro richieste di
aumentare la repressione: la più assurda e anche la più pericolosa riguarda il
loro attacco violento agli «antifa».
Il complotto degli antifa
Secondo la narrazione di Trump e
Barr, gli eventi che si sono svolti nelle città di tutto il paese non sono
ribellioni o rivolte radicate nella legittima rabbia popolare. Non rappresentano,
come diceva Martin Luther King, «la lingua degli inascoltati». Sono violenze
attentamente pianificate da una congregazione affiatata, parte di un sinistro
piano generale.
Sabato scorso, rivolgendosi alla
nazione, Barr ha annunciato che «agitatori e radicali esterni stanno sfruttando
la situazione». Secondo Barr, «in molti posti sembra che la violenza sia
pianificata, organizzata e guidata da gruppi estremisti anarchici e di
sinistra, gruppi radicali della sinistra estrema che usano tattiche di tipo antifa».
Barr ha quindi ricordato che per la legge federale attraversare i confini
statali con l’intento di incitare alla rivolta rappresenta un reato e che il
Dipartimento di giustizia è pronto a perseguire crimini del genere.
Trump, ha ribadito questi concetti
su Twitter. Ha erroneamente affermato che «l’80% dei rioter di
Minneapolis la scorsa notte provenivano da un altro stato», riferendosi a una
dichiarazione sugli stati d’origine degli arrestati inizialmente fatta dal
sindaco di St. Paul, quasi immediatamente
smentita. Trump stava anche attingendo all’immagine degli «agitatori
esterni» che è stata sempre impiegata per delegittimare il
movimento per i diritti civili e ogni altro movimento di massa nella storia
statunitense. Ha fatto riferimento a proteste gestite professionalmente e ha
dato la colpa della violenza «agli anarchici della sinistra radicale», agli
«antifa guidati da anarchici» e agli «antifa e alla sinistra radicale». Alla
fine, il 31 maggio, Trump ha twittato minacciosamente:
Gli Stati uniti d’America
classificheranno gli antifa come organizzazione terroristica.
Qui bisognerebbe precisare alcuni
fatti. Donald Trump poteva twittare che stava per separare in due il Mar Rosso,
che vuole abolire la forza di gravità o resuscitare i morti dalle tombe, e gran
parte dei media statunitensi avrebbe dedicato del tempo a discutere sul
significato per gli Stati uniti, come se questi annunci costituissero una
possibilità seria. Ma non lo sono.
Lo stesso vale per queste parole.
Mentre il Segretario di stato può classificare i gruppi come «organizzazioni
terroristiche straniere», la parola chiave qui è «straniere». Quando
l’amministrazione Obama ha dovuto fare
i conti con la richiesta da parte dei reazionari di dichiarare
Black Lives Matter un’organizzazione terroristica, ha risposto dicendo: «La
Casa Bianca non ha alcun ruolo nella designazione delle organizzazioni
terroristiche domestiche. La Casa Bianca non ha avuto alcun ruolo nella
designazione delle organizzazioni terroristiche nazionali. Il governo degli
Stati uniti non compila alcun elenco di organizzazioni terroristiche
nazionali».
Quelli della destra che avevano
l’acquolina in bocca al pensiero di arresti sommari di massa nei confronti di
persone di sinistra rimarranno delusi, perché il governo non può vietare
un’organizzazione politica interna. Anche nell’epoca della paura rossa durante
la Guerra fredda, la Corte suprema ha chiarito che il governo non poteva
criminalizzare l’adesione a un’organizzazione con scopi sia leciti che
illegali, a meno che un individuo non si unisca a tale organizzazione con
l’intento specifico di promuovere quelle rivendicazioni illegali. Quanto alle
organizzazioni terroristiche straniere, la Corte suprema ha formulato una
fattispecie estremamente ampia di sostegno materiale che essenzialmente consente
al governo di criminalizzare i discorsi politici. Tuttavia, la
Corte ha dichiarato che la legge statunitense non «proibisce la difesa
indipendente [di] o l’adesione a tale organizzazione».
Inoltre, è importante stabilire
cosa è e cosa non è l’antifa. Antifa è
l’abbreviazione di antifascista. Non si riferisce a nessuna singola
organizzazione, ma a un’ampia ideologia (di opposizione al fascismo).
Naturalmente, non si può dichiarare una vasta ideologia o affinità politica
un’«organizzazione terroristica»: «antifa» non può essere bandito più di quanto
si possa fare con il «femminismo» o il «neoliberismo». Quando Donald Trump o i
commentatori di destra parlano di antifa, non si riferiscono a
una filosofia politica esistente. Stanno costruendo una teoria della
cospirazione di estrema destra. Nella mente di alcuni, l’antifa non è solo
un’organizzazione politica, è la mano nascosta dietro un’intera trafila di
presunti atti negativi.
In questo senso, antifa occupa
lo stesso spazio nell’immaginario della destra che occuparono i comunisti a
metà del secolo scorso. Mentre alcuni di destra associano antifa agli
anarchici, altri spesso li etichettano come comunisti o marxisti, evidenziando
la continuità con la paura rossa del passato. La destra non distingue molto tra
le diverse tendenze della sinistra, considerandole tutte come un nemico in
uniforme. Oltre giocare sulla paura rossa, la fissazione della destra per gli
antifa è l’estensione di un’altra teoria della cospirazione: il mito dei
manifestanti pagati e dei rivoltosi professionisti. Queste affermazioni sono
state spesso ripetute come una cantilena durante le proteste di Occupy Wall
Street e Black Lives Matter, ma ora sono drammaticamente aumentate con il
presidente, i principali funzionari eletti e le parti meno marginali dei media
di destra, che fanno da cassa di risonanza a questo argomento che spesso si
sovrappone alle teorie del complotto antisemite che riguardano il ruolo di
George Soros.
Le proteste in tutta la nazione
sono sfoghi di indignazione per i continui omicidi di neri disarmati da parte
della polizia. Affrontando le proteste con la violenza, la polizia sta
scegliendo di intensificarle. Tutto ciò non funziona per le narrazioni che
Trump vorrebbe rifilarci, dunque sceglie di solleticare l’identità della destra
agitando un oscuro cattivo di sinistra.
Un messaggio alle
forze dell’ordine
Tuttavia, anche in assenza di
poteri effettivi per dichiarare antifa un gruppo
terroristico interno, le dichiarazioni di Trump sono agghiaccianti. Potrebbe
non esserci un elenco formale di organizzazioni terroristiche interne, ma
l’Fbi ha
indagato più volte su attivisti e organizzazioni non violenti
utilizzando i poteri antiterrorismo. E in questo momento, le linee guida
dell’Fbi consentono di aprire le indagini utilizzando tecniche estremamente
invasive senza alcun dato concreto che suggerisca che il soggetto è impegnato
in attività criminali o che minacciano la sicurezza nazionale.
Sappiamo che l’Fbi sta già
lavorando in questo senso. Nel novembre 2017, il direttore dell’Fbi Christopher
Wray,
ha dichiarato al Congresso che antifa non
è un’organizzazione, ma che comunque erano in corso alcune «indagini su
estremisti anarchici» sul terrorismo interno, attraverso il controllo di
persone «animate dall’ideologia antifa» (nel settembre 2017, ho presentato una
richiesta sulla base del Freedom
information act all’Fbi in cerca di tutti i dossier relativi
agli antifa. Devo ancora ricevere i file richiesti).
Inoltre, la polizia locale riceverà
il messaggio che antifa è sinonimo di terrorismo interno,
influenzando il modo in cui trattano con gli antirazzisti, le organizzazioni
contro gli abusi delle forze dell’ordine o qualsiasi manifestazione di sinistra
che ritengono correlata agli antifa. Al di là delle questioni di
legalità, etichettare antifa come un’organizzazione
terroristica nel discorso pubblico spiana la strada a molte altre proposte
repressive. In risposta al tweet di Trump, abbiamo visto non solo i
commentatori di destra, ma i
membri del Congresso discutere di atti estremi come schierare
i militari contro gli antifa o detenere membri degli antifa nel campo di
prigionia militare statunitense nella baia di Guantánamo, a Cuba.
Trump ha invocato gli antifa in un
discorso agghiacciante e fascistoide in cui si è impegnato a usare i militari
contro le proteste, etichettando antifa come uno dei
«principali istigatori di questa violenza». La polizia locale è nota anche per
essere intrisa di teorie della cospirazione di destra. Il presidente del
sindacato di polizia di Minneapolis Bob Kroll, che attualmente sostiene che gli
assassini di Floyd siano stati licenziati senza un giusto processo, in passato
ha fatto pressioni per la legislazione anti-protesta. Quando In These Times gliene
ha chiesto conto ha
detto: «George Soros… È un grande finanziatore di cose del
genere».
Le paranoie anticomuniste non sono
mai innocue. Durante il periodo successivo alla Prima guerra mondiale, il
Bureau of Investigation creò una «Divisione radicale» (in seguito denominata
Divisione di intelligence generale). Sotto la guida di J. Edgar Hoover, vennero
compilati dossier sui radicali che vennero usati per arrestare diecimila
persone durante i Palmer
Raid. Come capo dell’Fbi, Hoover ha proseguito l’opera creando la
Lista di sicurezza, un elenco di sovversivi da arrestare in massa senza
processo in caso di emergenza. Al suo apice, questo
elenco conteneva 26.174 nomi. Oltre agli elenchi dell’Fbi,
durante la Guerra fredda, il procuratore generale creò un elenco di
«organizzazioni sovversive». Molte delle azioni repressive che si stanno
fantasticando in questo momento in relazione all’antifa erano realmente
praticate nello stato di sicurezza della Guerra fredda.
Trump potrebbe non essere in grado
di bandire ufficialmente gli antifa, ma con la sua retorica esplosiva, sta
dando il via libera a un’ulteriore stretta repressiva. Le forze dell’ordine e i
legislatori leggeranno questo come un incoraggiamento ai loro attacchi al
dissenso. E il fatto che il presidente etichetti una particolare ideologia come
«terrorismo» avrà effetti spaventosi, qualunque sia la complessità della
giurisprudenza del Primo
emendamento. Molte persone che ascoltano questi discorsi si
chiederanno se impegnarsi nell’attivismo significherà essere sottoposti a
rappresaglie statali.
Ironia della sorte, molte teorie
della cospirazione che la destra diffonde a proposito degli antifa hanno
accumulato armi mentre questi ultimi lanciavano l’allarme sui campi di
sterminio della Fema [L’ente federale per la gestione delle emergenze, Ndt],
sulla legge marziale e sulle erosioni delle libertà costituzionali. Ma come
abbiamo visto durante le precedenti proteste di Black Lives Matter e stiamo
rivedendo ora, molti di questi individui si schierano dalla parte della polizia
militarizzata che sta schiacciando le proteste. Usando la logica contorta dei
cospirazionisti, ora sono la polizia e i militari a prevenire la tirannia e le
loro vittime sono in realtà gli istigatori della legge marziale.
È qui l’errore. Le forze
dell’ordine hanno la colpa degli eventi che si stanno verificando in tutta la
nazione. La continua violenza della polizia, in particolare la violenza
razzista della polizia, ha prodotto la rabbia di massa. Quando le persone si
uniscono alle manifestazioni contro questa violenza, la polizia prova a
provocarle e ad aumentare le tensioni attaccando le proteste.
Trump e altri all’estrema destra,
ovviamente, lo ignorano. Si aggrappano a una vecchia teoria della cospirazione
di destra, che trova forze esterne e aliene come la vera causa di tutto il
malcontento sociale. Trump sta tentando di usare lo spettro antifa per
reprimere il dissenso. Sta bluffando, in larga misura, e non possiamo lasciarci
intimorire. Ma il clima politico pericoloso che sta cercando di alimentare non
può essere ignorato.
(La traduzione è di Giuliano
Santoro)
CHE COSA È ANTIFA? -
BARBARA SCHIAVULLI
La morte di George Floyd ha
scatenato proteste in più di 140 città americane. Quel ginocchio sul collo di
uomo che supplica di lasciarlo respirare non verrà dimenticato tanto presto. 8
minuti di agonia che hanno fatto scendere il mondo in piazza, sfidando il coronavirus, la
polizia e la violenza. Il razzismo è tornato argomento di dibattito e il fatto
che gli Stati Uniti, il paese a cui tutti sentono un po’ di appartenere che si
tratti di musica, cinema, o sport, fa sì che il contraccolpo sia ancora più
forte.
C’è un problema negli Stati Uniti. C’è razzismo, divisione, differenze sociali. Ma ci sono anche risposte e sono state forti, e in un mondo, ormai sempre più social, si vede all’istante quello che sta accadendo in ogni momento.
C’è un problema negli Stati Uniti. C’è razzismo, divisione, differenze sociali. Ma ci sono anche risposte e sono state forti, e in un mondo, ormai sempre più social, si vede all’istante quello che sta accadendo in ogni momento.
La maggior parte delle proteste
sono state pacifiche, alcune però sono diventate violente e si sono visti
episodi di saccheggi. A New York per esempio, i saccheggiatori hanno colpito
l’icononico negozio di Macy, rompendo le vetrine e rubando la merce. Altri
hanno saccheggiato il negozio della Nike, caricandosi camicie e scarpe. In
altre città da Raleigh, nel Nord Caroline, a San Francisco in California, una
minoranza di persone ha bruciato automobili, attaccato agenti polizia. Senza
particolari prove, le autorità hanno accusato Antifa di essere
tra i principali istigatori della violenza.
Il 31 maggio il presidente Trump ha twittato che intendeva designare questa organizzazione come terroristica.
Il 31 maggio il presidente Trump ha twittato che intendeva designare questa organizzazione come terroristica.
Allo stesso modo il procuratore
generale William
Barr ha osservato che la “violenza istigata e perpetrata da Antifa e
gruppi simili è da considerare terrorismo interno e da trattare di
conseguenza”.
Che cosa è Antifa?
Antifa è la contrazione della
parola “antifascista”. Fa riferimento a una rete decentralizzata di militanti
di estrema sinistra che si oppongono a quello che ritengono fascista, razzista
o estremismo di estrema destra. Mentre molti considerano Atifa un sottoinsieme
di anarchici, di fatto gli affiliati mescolano anarchia e comunismo. Uno dei
simboli più comuni è la bandiera rossa della rivoluzione del 1917 e la bandiera
degli anarchici del XIX secolo. I gruppi antifa interrompono spesso e volentieri
manifestazioni e raduni di estrema destra. Spesso si vestono di nero, occhiali
da sole, passamontagna, sciarpe, usano ordigni esplosivi improvvisati e non disdegnano
il vandalismo. I membri organizzano
le loro attività tramite i social media, reti crittografate e servizi
di messaggistica come Signal.
Nel giugno 2016 fecero irruzione
durante una manifestazione neonazista a Sacramento in California, 5 persone
finirono pugnalate. A febbraio, marzo e aprile 2017 attaccarono manifestanti di
destra all’università di Berkely usando mattoni, spranghe, martelli. Nel 2019
William Van Spronsen, che si dichiarava di Antifa, tentò di bombardare una
struttura di detenzione. Come altri gruppi radicali negli Stati Uniti, ha una
struttura decentralizzata: resistenza senza leader.
Che ruolo hanno avuto nelle
proteste di questo periodo?
Secondo analisti e le autorità pare
che Antifa abbia avuto un ruolo minore nelle violenza di questi giorni. La
maggior parte dei saccheggi proveniva da opportunisti locali senza affiliazioni
e senza obiettivi politici, la maggior parte erano criminali comuni.
Tuttavia, ci sono prove, rivelano
le autorità, di attività organizzate da estremisti di sinistra e di destra,
anche da individui che viaggiavano da altri stati. John Miller, vice
commissario per l’intelligence e l’antiterrorismo al Dipartimento di Polizia di
New York, ha avvertito che una rete marginale di estremisti avrebbe portato
violenza a New York City. Sono stati inoltre segnalati numerosi casi
di suprematisti bianchi che si infiltravano in proteste pacifiche in città come
Boston, Denver, Tampa e Dallas.
Per aggiungere confusione, perché
ormai così funziona, si è verificata una significativa disinformazione e una
proliferazione di account falsi sulle piattaforme dei social media. Per
esempio, Twitter ha chiuso diversi account che secondo Twitter
erano gestiti da un gruppo suprematista bianco chiamato Identity Evropa, che si
presentava come Antifa. Con un account falso, quello di
@Antifa_US, i membri di Identity Evropa hanno incitato alla violenza nelle aree
suburbane bianche in nome di Black Lives Matters. “Stasera è la notte,
compagni”, si
legge in un tweet con un’emoji con il pugno marrone alzato. “Stasera
diciamo ‘F — The City’ e ci spostiamo nelle aree residenziali… e prendiamo ciò
che è nostro…”. Il tweet falso è stato diffuso dal figlio del presidente che ha
quasi 3 milioni di follower, puntando il dito contro Antifa. Malafede o è stato
ingannato anche lui?
Come ha spiegato Twitter,
“Questo account ha violato la nostra politica, in particolare la creazione di
account falsi. Abbiamo preso provvedimenti dopo che l’account ha inviato un
Tweet che incita alla violenza e ha infranto le regole di Twitter “. In
pratica, gli estremisti hanno inondato i social media con disinformazione,
teorie di cospirazione e incitamenti alla violenza – sommergendo Twitter,
YouTube, Facebook e altre piattaforme.
I suprematisti bianchi sono una
minaccia più seria negli Stati Uniti
La minaccia di Antifa e di altre
reti di estrema sinistra è relativamente bassa negli Stati Uniti. L’estrema
sinistra comprende un mix sparso di attori. Gli anarchici, per esempio, sono
fondamentalmente contrari al governo e al capitalismo, e hanno organizzato
attacchi contro obiettivi del governo, del capitalismo o della
globalizzazione. Gruppi per l’ambiente e i diritti degli animali, come il
Fronte di liberazione della terra e il Fronte di liberazione degli animali,
hanno condotto attacchi su piccola scala contro le imprese che percepiscono come
sfruttatori dell’ambiente. I seguaci di Antifa hanno commesso un numero
limitato di attacchi.
Come praticamente tutti i gruppi estremisti interni negli Stati Uniti, comprese organizzazioni suprematiste bianche come la Base e la Divisione Atomwaffen, il governo degli Stati Uniti non ha designato l’Antifa come organizzazione terroristica. Non conviene, lunga sarebbe la fila e grandi sono gli interessi soprattutto per quanto riguarda i suprematisti (lobby delle armi, solo per fare un esempio).
Come praticamente tutti i gruppi estremisti interni negli Stati Uniti, comprese organizzazioni suprematiste bianche come la Base e la Divisione Atomwaffen, il governo degli Stati Uniti non ha designato l’Antifa come organizzazione terroristica. Non conviene, lunga sarebbe la fila e grandi sono gli interessi soprattutto per quanto riguarda i suprematisti (lobby delle armi, solo per fare un esempio).
Eppure durante queste proteste il
presidente Trump ha sollevato la possibilità di designare Antifa come
organizzazione terroristica. Questo pone delle domande, intanto sarebbe una
sfida al Primo Emendamento e quali dovrebbero essere i criteri usati per
designare l’estrema destra, l’estrema sinistra e altri gruppi estremisti negli
Stati Uniti? Senza contare che Antifa non è di per sé un “gruppo”, ma piuttosto
una rete decentralizzata di individui. Di conseguenza, è improbabile che la
designazione di Antifa come organizzazione terroristica abbia un impatto di
qualsiasi tipo.
Sulla base dei dati raccolti dal
CSIS (Centro di gli studi strategici internazionali) su 893 incidenti
terroristici negli Stati Uniti tra gennaio 1994 e maggio 2020, gli attacchi
compiuti da autori di sinistra come Antifa costituiscono una piccola
percentuale degli attacchi terroristici globali. La maggior parte sono stati
attacchi di destra con il 57 percento, in particolare quelli dei supremastiti
bianchi, estremisti antigovernativi e celibi (o incels). Gli estremisti di
sinistra, invece, hanno orchestrato il 25 percento degli incidenti durante
questo periodo, seguito dal 15 percento degli estremisti religiosi, dal 3
percento da etnozionalisti e un 0,7 percento di persone con altri moventi.
Nell’analizzare le vittime di
attacchi terroristici, il terrorismo religioso ha ucciso il maggior numero di
persone – 3.086 persone – principalmente per gli attacchi dell’11 settembre
2001, che hanno provocato 2.977 morti.
Gli attacchi terroristici di destra hanno causato 335 morti, gli attacchi di sinistra 22 morti e i terroristi etno-nazionalisti 5 morti.
Gli attacchi terroristici di destra hanno causato 335 morti, gli attacchi di sinistra 22 morti e i terroristi etno-nazionalisti 5 morti.
Cosa intende Trump quando
parla di “Antifa”? - Paolo Mossetti
Nelle ultime ore ha sollevato un
notevole dibattito l’annuncio di Donald
Trump, arrivato prima via Twitter – tanto per cambiare – e poi in
diretta alla Casa Bianca, che ha etichettato il movimento Antifa come
“terrorista” e promette di trattarlo come tale d’ora in poi. Non è un
mistero che per il presidente il movimento della sinistra radicale è la mente e
la mano del caos
delle proteste di questi giorni, quelle che hanno incendiato le
decine di auto e assediato la Casa Bianca durante le proteste per la morte
di George Floyd a Minneapolis. La Lega e diversi gruppi
conservatori, d’altronde, anche in Europa hanno apprezzato la scelta di Trump,
mentre in tanti si pongono domande sul significato della sigla, che non di rado
viene travisata. I militanti vestiti di nero che nel nome dell’antifascismo
spesso intimidiscono e spaccano vetrine durante le manifestazioni di questi
giorni – o che di recente hanno assediato le sfilate dell’ultra-destra in
varietà città americane – sono qualcosa di diverso dal concetto di
antifascismo che si è radicato in Italia. Sappiamo che tante
incarnazioni aggressive dei movimenti dal basso si sono
intestate anche alle nostre latitudini quella sigla, ma da noi è molto più
facile associarla a un’immagine più ampia e certo più pacifica,
fatta di anziani col fazzoletto rosso al collo che sfilano il 25 aprile o di
una borghesia moderata che compra giornali moderati.
Più che nel suo senso generico
di gruppo che si oppone al fascimo, l’Antifa
statunitense va inteso come un movimento destrutturato che
usa tattiche simili a quelle che in Europa vengono associate ai cosiddetti
black bloc. Una galassia di dimensioni medio-piccole, senza gerarchie e senza
organizzazione formale che negli Stati Uniti – in particolare in quelli
nord-orientali – si è diffusa come forma di opposizione ai crescenti movimenti
di estrema destra degli ultimi cinque-dieci anni.
Un movimento che sì ha una
innegabile propensione a creare con una certa frequenza problemi ai
manifestanti pacifici, ma che non ha nessun rapporto col Partito democratico e
nemmeno con la sua costola socialista – i Democratic Socialist di Alexandra
Ocasio-Cortez e Bernie Sanders, per capirci – e che va inquadrato più
all’interno dell’universo punk o anarchico, che
all’antifascismo pensoso di stampo marxista o liberale di casa nostra.
Nella narrativa
dominante nel Partito repubblicano, nella galassia dell’alt-right
– ossia della nuova destra maschilista e anti-politicamente corretta – gli
attacchi compiuti dagli Antifa durante le manifestazioni della destra radicale
sarebbero l’evidenza di una sinistra fuori controllo, e che però trova
giustificazione tra gli intellettuali e gli studenti universitari. Gli Antifa –
è la posizione più diffusa tra i pensatori trumpiani – sono nient’altro che
teppistelli di strada che fanno di ogni gruppo sgradito un fascio, e rappresentano
un serio problema per la sicurezza pubblica.
Il caso Andy Ngo
Un episodio importante della guerra
culturale in corso è l’aggressione, avvenuta quasi esattamente un anno fa, del
giornalista Andy Ngo da parte degli Antifa di
Portland. Ngo è figlio d’immigrati ed è apertamente gay, e ha trovato la sua
fama su Quillette, uno dei siti più celebri dell’Intellectual
Dark Web – vaga definizione che include scrittori e filosofi che
combattono con strumenti spesso molto raffinati le politiche identitarie, il
mondo dei liberal e il conformismo delle sinistre. Ngo è un reporter di
tipo gonzo, che va
in giro con la sua telecamera per i quartieri ad alta densità
islamica di Londra e mostra cartelli che proibiscono il consumo di alcol, si
presenta agli eventi filotrumpiani e intervista i personaggi più coloriti,
spiegando che dietro ai “mostri” descritti dagli studenti
metropolitani si nasconderebbero solo persone comuni che contestano il
multiculturalismo, mentre gli Antifa sarebbero dei veri e propri squadristi.
Ngo ha trovato la sua fama presso
Fox News e altre emittenti del conservatorismo mainstream nel luglio del 2019,
dopo essere stato assalito a Portland da alcuni
Antifa che volevano boicottare un rally di alcuni suprematisti bianchi. Lo
hanno riconosciuto e colpito con calci e un milkshake in
faccia, mandandolo all’ospedale. Tutta la stampa rispettabile ha espresso
solidarietà per lui e condannato l’attacco; tuttavia, poche settimane dopo,
sono emersi dei filmati girati
di nascosto da un attivista liberal che mostravano il
reporter simpatizzare con alcuni militanti dei Patriot Prayer,
un gruppo di estrema destra ribattezzato il fight club dell’alt-right.
Mentre questi pianificavano attacchi violenti alle minoranze e provocazioni
varie, Ngo prendeva appunti, ma non avrebbe mai denunciato l’accaduto. A
scandalo avvenuto Quillette lo ha licenziato senza dare
troppe spiegazioni.
Se questo è il clima nel quale si
confrontavano le idee e le piattaforme culturali nel mondo pre-Covid, oggi
l’attualità ingantisce lo scontro. Non è da escludere che le manifestazioni di
questi giorni possano essere state infiltrate da
alcuni attivisti Antifa più interessati a saldare i conti con polizia e gruppi
suprematisti che a portare avanti un discorso costruttivo: al momento sappiamo
poco. Si possono vedere sui social diversi video di manifestanti neri che
chiedono ad alcuni caucasici incappucciati di smetterla con il vandalismo.
Allo stesso modo, mentre Trump ha
gioco facile a incolpare i movimenti di sinistra per i disordini,
la pervasività del suprematismo bianco in alcuni corpi di polizia e in diversi
gruppi provocatori è un fenomeno reale (e diverse foto di poliziotti in assetto
antisommossa immortalati con le simboliche
tre dita sono lì a dimostrarlo).
Andy Ngo è tornato, nel frattempo,
a scrivere per una testata di parte ma più prestigiosa, il britannico Spectator,
spiegando che la morte di George Lloyd è solo un pretesto per un
un’insurrezione pianificata da tempo dall’estrema sinistra. Il
frame narrativo della Casa Bianca si appoggia a questa lettura, ossia
che l’estremismo esista da una parte sola, quella degli Antifa, nati per
mettere a soqquadro l’America.
Sarà vero che sono teppisti?
Eppure, il movimento degli Antifa
non è definibile con l’esattezza che vorrebbero i suoi nemici. Al punto che
nella confusione una lunga lista di celebrità difficilmente inquadrabili come
black bloc (ad esempio Liam Gallagher o George Takei) si sono
proclamati antifascisti, giocando proprio sull’ambiguità del termine. Questo
rende davvero improbabile, secondo il New York Times ad
esempio, un loro inquadramento nella definizione di “organizzazione terroristica”,
per ragioni evidenti: in primis è difficile stabilire che siano
un’organizzazione, dato che sono organizzati in cellule indipendenti le une
dalle altre, che spesso non hanno nemmeno un leader. E poi, banalmente, non
sono un’organizzazione straniera (una precondizione necessaria a ciò che ha in
mente Trump, ovvero metterli fuorilegge in quel senso). Persino l’Anti-Defamation
League, solitamente non tenera con i movimenti della sinistra
radicale, trova
inappropriato il parallelo tra Antifa e gruppi come gli
Hezbollah.
Probabilmente la sparata di Trump
farà a gara con le altre, come il tentativo di punire i social per
decreto legge dopo che Twitter gli ha bollato due messaggi:
una boutade elettorale. Che però, nella sua vaghezza, rischia di ampliare a più
non posso la definizione di avversario per il suo stesso popolo, che a questo
punto potrebbe sentirsi autorizzato ad armarsi e fare da solo.
Il ruolo degli Antifa nei riots di
questi giorni è difficile da negare, ma ancor più da misurare.
La loro strategia ha tratti nichilisti e non è addomesticabile da nessun
partito. Ma il soffiare da parte di Trump sulla guerra civile strisciante nel
suo Paese, per coprire l’inabilità a governare rischia di fare molti più danni.
George Floyd –
Paramilitari, suprematisti bianchi pro-Trump e anarchici: la galassia di gruppi
che infiltra la protesta negli Stati Uniti - Roberto Festa
Nonostante i coprifuoco, migliaia
di persone in decine di città americane sono tornate in queste ore a protestare
contro la morte di George Floyd. Washington D.C., New York, St. Louis, Buffalo,
Philadelphia, Minneapolis, Omaha, Chicago, Seattle, Austin, Oakland, Los
Angeles. La protesta cresce ovunque, e nulla – la minaccia dell’arresto, l’uso
di gas lacrimogeni, le parole del fratello di Floyd che invita alla calma –
sembra poter bloccare la rabbia dei dimostranti. Anche Donald Trump ha scelto
la strada dello scontro duro. Il presidente ha definito “atti di terrorismo
domestico” le manifestazioni e minacciato di inviare l’esercito.
La definizione di “terrorismo”, per
bollare le proteste, ha sorpreso e indignato. Una cosa va infatti detta
chiaramente. La stragrande maggioranza di chi partecipa alle manifestazioni di
questi giorni non ha nulla a che fare col terrorismo o con l’appello alla
violenza. Si tratta di persone variamente affiliate a gruppi studenteschi, alla
Naacp (la “National Association for Advancement of Colored People”), ai
sindacati, a “Black Lives Matter”, a gruppi antirazzisti come “Showing Up for
Racial Justice” e “Building Power”. In molti casi non c’è neppure bisogno
dell’affiliazione a un gruppo. Le persone scendono per le strade, a protestare,
spinti dall’indignazione per il brutale assassinio di George Floyd.
Come raccontato da centinaia di
testimonianze, e riassunto molto bene dalla rivista libertaria “Reason”, i
dimostranti esercitano un loro diritto costituzionale ma sono stati spesso
presi tra i due fuochi di “una massa di agenti militarizzati e piccoli gruppi
di facinorosi che mirano a distruggere”. Le violenze contro i manifestanti sono
state ampiamente testimoniate: uso sproporzionato dei gas lacrimogeni, cariche
della polizia, proiettili di gomma, suv lanciati contro la folla, spray al
peperoncino, proiettili di vernice sparati contro i residenti di Minneapolis,
per il solo fatto di osservare le manifestazioni dai porticati di casa. Più
difficile è individuare i gruppi che usano le proteste per seminare paura e
violenza. Questi coprono un arco che dalla destra radicale si allarga alla
sinistra estrema, ai gruppi neonazisti, agli anarchici. Si infiltrano tra i
dimostranti pacifici ma anche tra le forze di polizia.
Vediamo alcuni di questi gruppi e
sigle, tenendo sempre presente il carattere non omogeneo, eterodiretto, delle
proteste di questi giorni.
Suprematisti bianchi
– Il primo giugno l’Adl (Anti-Defamation League) ha pubblicato un rapporto, in cui spiega che varie sigle di suprematisti bianchi “stanno cercando di trarre vantaggio da una crisi nazionale per rilanciare un’agenda violenta”. Nel rapporto si parla di neo-nazisti che hanno urlato “Heil Hitler” ai manifestanti di Denver. Militanti di un’altra sigla nazista, il “Nationalist Social Club”, sono stati sorpresi ad attaccare i loro adesivi durante un’altra manifestazione del week-end a Boston. Un episodio molto significativo è avvenuto a Minneapolis, dove George Floyd è stato ammazzato. L’80 per cento delle persone arrestate nella notte tra venerdì e sabato, quando la protesta ha cominciato a farsi davvero violenta, “non sono residenti di Minneapolis e sono venute da fuori per distruggere tutto ciò che abbiamo costruito”, ha detto il sindaco di Minneapolis, Jacob Frey. Frey ha aggiunto che tra gli arrestati ci sono “molti collegati ai gruppi di suprematisti bianchi”. Secondo l’Adl, questi gruppi soffiano sul fuoco, soprattutto nella loro attività online, sperando di scatenare la “guerra razziale”. Ma ci sono anche altre formazioni di destra: per esempio gli “Oath Keepers”, milizie para-militari che incitano la polizia a usare le armi contro i manifestanti, “terroristi comprati e pagati dalle organizzazioni socialiste d’America”. Interessante anche l’accenno che il governatore del Minnesota Tim Walz ha fatto ai “cartelli messicani della droga”. Anch’essi sarebbero impegnati come agenti provocatori, in connessione con l’estrema destra, per far esplodere le tensioni.
– Il primo giugno l’Adl (Anti-Defamation League) ha pubblicato un rapporto, in cui spiega che varie sigle di suprematisti bianchi “stanno cercando di trarre vantaggio da una crisi nazionale per rilanciare un’agenda violenta”. Nel rapporto si parla di neo-nazisti che hanno urlato “Heil Hitler” ai manifestanti di Denver. Militanti di un’altra sigla nazista, il “Nationalist Social Club”, sono stati sorpresi ad attaccare i loro adesivi durante un’altra manifestazione del week-end a Boston. Un episodio molto significativo è avvenuto a Minneapolis, dove George Floyd è stato ammazzato. L’80 per cento delle persone arrestate nella notte tra venerdì e sabato, quando la protesta ha cominciato a farsi davvero violenta, “non sono residenti di Minneapolis e sono venute da fuori per distruggere tutto ciò che abbiamo costruito”, ha detto il sindaco di Minneapolis, Jacob Frey. Frey ha aggiunto che tra gli arrestati ci sono “molti collegati ai gruppi di suprematisti bianchi”. Secondo l’Adl, questi gruppi soffiano sul fuoco, soprattutto nella loro attività online, sperando di scatenare la “guerra razziale”. Ma ci sono anche altre formazioni di destra: per esempio gli “Oath Keepers”, milizie para-militari che incitano la polizia a usare le armi contro i manifestanti, “terroristi comprati e pagati dalle organizzazioni socialiste d’America”. Interessante anche l’accenno che il governatore del Minnesota Tim Walz ha fatto ai “cartelli messicani della droga”. Anch’essi sarebbero impegnati come agenti provocatori, in connessione con l’estrema destra, per far esplodere le tensioni.
I Boogaloo Bois – Si tratta di
una sigla relativamente nuova che incarna vecchie istanze anti-governative.
Attivi soprattutto online, i “Boogaloo Boys” sono entusiasti sostenitori di
Trump, difensori del sacro diritto a portare un arma, fautori di un secondo “boogaloo”,
una seconda guerra civile che liberi i cittadini americani dal peso oppressivo
del governo federale. Li si è visti spesso mescolati a chi, nelle scorse
settimane, protestava contro l’obbligo di “stay at home” per il coronavirus. Lo
scoppio delle rivolte razziali gli offre una nuova possibilità. Molte pagine
Facebook legate ai “Boogaloo Bois” esprimono solidarietà nei confronti dei
dimostranti afro-americani. Alcuni dei “Bois” si sono fatti fotografare accanto
ai leader neri della rivolta. Il movente anti-governativo è però evidente in
una serie di dettagli. La pagina Facebook del “Boogaloo Ranch” riporta un meme
con l’edificio della Federal Reserve Bank di Minneapolis, additata ai
manifestanti come “fonte di oppressione primaria negli Stati Uniti… e lì ci
sono I soldi!”. In altri post si elencano i luoghi dove avvengono le proteste.
L’intento manipolatorio dei “Boogaloo Bois” è stato sottolineato da molti.
“Attenzione. Sono di destra. È una cosa neo-fascista – ha spiegato Daryle
Lamont Jenkins, che dirige l’organizzazione anti-razzista “One People’s
Project” -. Stanno cercando di usare quello che è successo a Minneapolis per
farsi pubblicità. Non fateglielo fare. Non sono nostri amici”.
Gli anarchici
– Anche in questo caso, si tratta di una miriade di sigle e singoli che hanno come loro principio fondante l’opposizione al governo centrale, ma che poi si collocano in un ampio spettro politico e ideologico, che dalla sinistra radicale e antifascista arriva alla destra individualista. Durante le proteste di questi giorni si sono viste sigle come quella di “The Base”, un gruppo anarchico con sede a Brooklyn, che chiede un ribaltamento violento e rivoluzionario del governo degli Stati Uniti. Non precisamente focalizzati sulle questioni razziali, molti gruppi anarchici, soprattutto quelli più recenti, trovano oggi nella rivolta anti-razzista un forte impulso all’azione. Molti giovani militanti anarchici appaiono legati a “RAM” (“Revolutionary Abolitionist Movement”) e all’“Anti-Racist Action”, un network di gruppi anti-fascisti e anti-razzisti che allarga la sua azione alla lotta contro l’islamofobia, il sessismo, l’omofobia, l’antisemitismo. Ma esiste anche una variante di destra dell’anarchismo, i cui membri partecipano alle manifestazioni di questi giorni in California. Tra questi, i “Bay Area National Anarchists”, anarchici e suprematisti che “immaginano una futura guerra razziale che porti alla creazione di enclaves neo-tribali esclusivamente bianche” (parole del “Southern Poverty Law Center”).
Minneapolis, proteste per la morte di George Floyd: la città è in fiamme. Bruciano Walmart e una stazione di polizia, le immagini
– Anche in questo caso, si tratta di una miriade di sigle e singoli che hanno come loro principio fondante l’opposizione al governo centrale, ma che poi si collocano in un ampio spettro politico e ideologico, che dalla sinistra radicale e antifascista arriva alla destra individualista. Durante le proteste di questi giorni si sono viste sigle come quella di “The Base”, un gruppo anarchico con sede a Brooklyn, che chiede un ribaltamento violento e rivoluzionario del governo degli Stati Uniti. Non precisamente focalizzati sulle questioni razziali, molti gruppi anarchici, soprattutto quelli più recenti, trovano oggi nella rivolta anti-razzista un forte impulso all’azione. Molti giovani militanti anarchici appaiono legati a “RAM” (“Revolutionary Abolitionist Movement”) e all’“Anti-Racist Action”, un network di gruppi anti-fascisti e anti-razzisti che allarga la sua azione alla lotta contro l’islamofobia, il sessismo, l’omofobia, l’antisemitismo. Ma esiste anche una variante di destra dell’anarchismo, i cui membri partecipano alle manifestazioni di questi giorni in California. Tra questi, i “Bay Area National Anarchists”, anarchici e suprematisti che “immaginano una futura guerra razziale che porti alla creazione di enclaves neo-tribali esclusivamente bianche” (parole del “Southern Poverty Law Center”).
Minneapolis, proteste per la morte di George Floyd: la città è in fiamme. Bruciano Walmart e una stazione di polizia, le immagini
Gli Antifa
– Donald Trump li vuole mettere fuori legge, designandoli come “organizzazione terrorista domestica”. A suo giudizio, sono loro a commettere le violenze e spingere alla rivolta di questi giorni. È impossibile che il presidente possa davvero farlo. Anzitutto perché il Primo Emendamento protegge il diritto all’hateful speech, all’incitamento all’odio. Non si può bloccare “la riunione di cittadini Usa, anche quando questi incitino all’odio. Solo l’uso della violenza può essere colpito”, ha detto a una Commissione della Camera Mary McCord, ex direttrice della “National Security Division” del Dipartimento alla Giustizia. Trump non può quindi mettere fuori legge nessun militante anti-fascista, anche quando questi si appelli alla violenza contro la polizia. C’è però una seconda ragione che rende le parole del presidente prive di valore politico e legale. Antifa non è un partito. Non è un’organizzazione. Non è un movimento. È un arcipelago molto fluido, cangiante, instabile di piccoli gruppi, formazioni, singoli, privi di una gerarchia, di capi, di un programma definito. Il punto di partenza, per tutti, è l’antifascismo, poi ognuno modula il principio come vuole. Come racconta un libro recente di Mark Bray, Antifa. The Anti-Fascist Handbook, la coalizione si afferma soprattutto dopo il 2016 e sale all’attenzione dell’opinione pubblica con i fatti di Charlottesville del 2017. La strategia comune di questi gruppi è soprattutto una: resistere fisicamente ai militanti fascisti. Impedire loro di riunirsi, anche usando gli strumenti della violenza. Non lasciare quindi allo Stato il diritto di silenziare il fascismo, ma riportarlo nelle mani del popolo. Gli “antifa”, termine appunto molto generico che in realtà non definisce nulla, sono comparsi in molte delle manifestazioni anti-razziste per George Floyd. Le loro istanze si sono mescolate a quelle degli altri dimostranti, in un movimento di protesta che, come abbiamo visto, contiene molte cose, intenti, progetti, visioni.
da qui
– Donald Trump li vuole mettere fuori legge, designandoli come “organizzazione terrorista domestica”. A suo giudizio, sono loro a commettere le violenze e spingere alla rivolta di questi giorni. È impossibile che il presidente possa davvero farlo. Anzitutto perché il Primo Emendamento protegge il diritto all’hateful speech, all’incitamento all’odio. Non si può bloccare “la riunione di cittadini Usa, anche quando questi incitino all’odio. Solo l’uso della violenza può essere colpito”, ha detto a una Commissione della Camera Mary McCord, ex direttrice della “National Security Division” del Dipartimento alla Giustizia. Trump non può quindi mettere fuori legge nessun militante anti-fascista, anche quando questi si appelli alla violenza contro la polizia. C’è però una seconda ragione che rende le parole del presidente prive di valore politico e legale. Antifa non è un partito. Non è un’organizzazione. Non è un movimento. È un arcipelago molto fluido, cangiante, instabile di piccoli gruppi, formazioni, singoli, privi di una gerarchia, di capi, di un programma definito. Il punto di partenza, per tutti, è l’antifascismo, poi ognuno modula il principio come vuole. Come racconta un libro recente di Mark Bray, Antifa. The Anti-Fascist Handbook, la coalizione si afferma soprattutto dopo il 2016 e sale all’attenzione dell’opinione pubblica con i fatti di Charlottesville del 2017. La strategia comune di questi gruppi è soprattutto una: resistere fisicamente ai militanti fascisti. Impedire loro di riunirsi, anche usando gli strumenti della violenza. Non lasciare quindi allo Stato il diritto di silenziare il fascismo, ma riportarlo nelle mani del popolo. Gli “antifa”, termine appunto molto generico che in realtà non definisce nulla, sono comparsi in molte delle manifestazioni anti-razziste per George Floyd. Le loro istanze si sono mescolate a quelle degli altri dimostranti, in un movimento di protesta che, come abbiamo visto, contiene molte cose, intenti, progetti, visioni.
da qui
Chi sono gli Antifa, il
movimento che Trump vuole dichiarare organizzazione terrorista - Valerio Renzi
"Gli Stati Uniti d'America
designeranno ANTIFA come un'organizzazione terroristica", così ha twittato
ieri il presidente Donald Trump, alla prese con un paese in rivolta dopo la
morte ripresa in diretta durante un fermo di polizia di un cittadino
afroamericano a Minneapolis. Ieri le sommosse sono arrivate anche nel cuore
della capitale: le immagini riprese dall'alto mostrano le luci della Casa
Bianca spente, mentre il fumo e le fiamme si riflettono sul Washington Memorial
e assediano il centro del potere politico federale.
Ma cosa intende Trump quando parla
di Antifa? Con questo termine, che evidentemente sta per antifascista, non ci
si può riferire a una sola sigla politica organizzata e riconoscibile, ma a un
arcipelago di gruppi e collettivi per lo più informali, nella maggior parte dei
casi privi di un organigramma formalizzato e anche di un coordinamento stabile
tra di loro. La minaccia di The Donald potrebbe estendersi nei fatti a
qualsiasi sigla della sinistra radicale che sta partecipando alle
manifestazioni di rivolta. Il tentativo del presidente, sostenuto da molti dei
media conservatori, è di indicare questi gruppi come i responsabili delle
violenze e degli attacchi alla polizia.
Tra i diretti interessati il
collettivo New York City Antifa ha risposto così alla minaccia presidenziale:
"Per la cronaca, antifa è l'abbreviazione di azione antifascista o
antifascista. Crediamo e combattiamo per un mondo libero da fascismo, razzismo,
sessismo, omo / transfobia, antisemitismo, islamofobia e fanatismo. Le proteste
sono senza leader. All power to the people!". Poi gli attivisti
aggiungono: "Ti rendi conto che quando dice "ANTIFA" intende
tutti per le strade? Che intende chiunque abbia mai protestato o si oppone al
suo regime? Questo non ha nulla a che fare con il fatto che ti piaccia l'antifa
o anche di cosa si tratti. Non sei al sicuro solo perché pensi di non essere
‘antifa. Inoltre: queste proteste non riguardano "ANTIFA".
Riguardano George Floyd e la lotta contro la supremazia bianca e gli omicidi /
brutalità della polizia. Questa assurdità mirata è un mezzo per
"screditare" le proteste (con l'antifascismo?), Così come dividere e
depotenziare le proteste per le strade".
L'iscrizione dei gruppi
antifascisti all'interno delle sigle del terrorismo interno è particolarmente
pericolosa, non solo perché potrebbe essere applicata in maniera estremamente
arbitraria, ma perché inquina la vera natura delle sommosse in atto che coinvolgono
centinaia di migliaia di persone che si stanno mobilitando spontaneamente e che
ormai si stanno rivolgendo non solo contro la violenza poliziesca e il
razzismo, ma anche contro le disuguaglianze sociali. Il procuratore generale
William P. Barr ha rilasciato una dichiarazione durissima confermando
l'orientamento della Casa Bianca: “Con le rivolte che si stanno
verificando in molte delle nostre città in tutto il paese, le voci di proteste
pacifiche e legittime sono state dirottate da violenti elementi radicali.
Gruppi di radicali esterni e agitatori stanno sfruttando la situazione per
perseguire la propria agenda separata, violenta ed estremista. (…) La
violenza istigata e condotta da Antifa e altri gruppi simili in relazione alla
rivolta è terrorismo interno e sarà trattato di conseguenza".
I gruppi antifascisti sono
cresciuti negli Usa di pari passo con la campagna elettorale prima e con la
presidenza Trump poi, con l'obiettivo di contrastare le sigle dell'universo
razzista e di estrema destra che, nella sempre più esacerbata competizione
politica americana, si trovano ormai a braccetto sempre più spesso con una
parte consistente dell'establishment repubblicano godendo anche di ampia
copertura da parte di media come Fox News. Non di rado le tesi complottiste ed
estremiste dell'alt-right, un complesso universo che tiene insieme le milizie
con i troll di 4chan passando per gli speaker di Fox e altri canali tv e
radiofonici, sono state rilanciate nei discorsi e nei tweet dello stesso Donald
Trump. Una convergenza quella di Trump con l'estrema destra ben raccontata in
un libro da poco tradotto in Italia da "Alt-America. L'ascesa della destra
radicale nell'era di Trump", del giornalista David Neiwert, che ha portato
il presidente degli Stati Uniti ad avere grosse difficoltà a prendere le
distanze in maniera chiara ad esempio dai membri delle milizie che hanno
manifestato armati di grossi fucili d'assalto contro il lockdown.
Una saldatura quella tra la destra
mainstream e l'estrema destra più radicale, che ha portato alla reazione dei
gruppi della sinistra che non solo hanno intensificato le loro mobilitazioni,
ma ha anche prodotto un allargamento della base della mobilitazione saldandosi
spesso con le mobilitazioni in favore dei diritti dei migranti e di Black Lives
Matter, così come per la campagna a favore di Bernie Sanders alle primarie
democratiche. Cosa si aspettano da Trump i gruppi dell'estrema destra lo spiega
meglio di chiunque altro David Duke, già leader del Ku Klux Klan: “We are
going to fulfill the promises of Donald Trump. That’s what we believed in.
That’s why we voted for Donald Trump, because he said he’s going to take our
country back”. Tornare indietro a prima che il movimento per i diritti civili
imponesse la desegrazione, a prima che venisse riconosciuto il diritto delle
donne ad abortire e al divorzio, a quando a comandare saldamente sulla società
era solo l'uomo bianco di origine anglosassone. Il vero americano. Duke ha
rilasciato questa intervista nei giorni degli scontri tra suprematisti e
neonazisti e gruppi antirazzisti a Charlotteville nel 2017, manifestazioni
terminate con l'omicidio di un'attivista da parte di un suprematista che si è
lanciato a folle velocità con la sua auto contro la folla. In quell'occasione
Trump non riuscì ad andare oltre a una generica condanna della violenza,
ignorando come l'assassino fosse un suo sostenitore.
È un dato di fatto – come riportato
nei report che monitorano le attività dell'estrema destra razzista e i crimini
dell'odio del Southern Poverty Law Center – che il numero di violenze,
aggressioni, attentati a opera di questi gruppi siano in costante aumento negli
ultimi anni, prima come reazione alla nomina del primo presidente nero Barack
Obama, poi grazie alla galvanizzazione provocata dalla vittoria dell'attuale
presidente. Ma a condannare le azioni dei suoi sostenitori razzisti e i
fascisti Trump non ci pensa proprio.
Chi sono gli AntiFa
americani che Trump vuole mettere al bando - Civico20News
Conosciuta come AntiFa, una
contrazione della parola "antifascista", la libera affiliazione di
attivisti radicali si è fatta conoscere in America in occasione degli
scontri contro i suprematisti bianchi al raduno "Unite the Right" a
Charlottesville, in Virginia, nel 2017. Ora Trump
vuole inserirli nell'elenco delle organizzazioni terroristiche.
Quanti sono i membri
dell'AntiFa?
È impossibile sapere quante persone
si considerino membri del movimento. È senza leader ed
è organizzato in cellule locali autonome. Nato in opposizione ai
movimenti di estrema destra, scrive il New York Times,
fa campagna contro azioni che considerano autoritarie, omofobe, razziste o
xenofobe. Sebbene l'antifa non sia affiliata con altri movimenti a
sinistra - ed è talvolta vista fastidio da altre organizzazioni - i
loro membri a volte lavorano con reti di attivisti locali come il
movimento Occupy o Black Lives Matter.
Quali sono i loro
obiettivi?
I sostenitori generalmente cercano
di impedire a quelli che vedono come gruppi fascisti, razzisti ed di estrema
destra di avere una piattaforma per promuovere le loro opinioni, sostenendo
che dimostrazioni pubbliche di tali idee abbiano come obiettivo le
minoranze razziali, le donne e i membri della comunità LGBTQ.
"L'argomento è che l'antifascismo
militante è intrinsecamente autodifesa a causa della violenza storicamente
documentata che i fascisti pongono, in particolare contro le persone
emarginate" dice Mark Bray, docente di storia al Dartmouth College e
autore di "Antifa: il manuale dell'antifascista".
Molte organizzazioni antifa
partecipano anche a forme più pacifiche di protesta, ma credono che l'uso
della violenza sia giustificato perché, sostengono, dare ai gruppi
razzisti o fascisti la possibilità di organizzarsi liberamente "si
tradurrà inevitabilmente in violenza contro le comunità emarginate",
dice Bray, la cui difesa del movimento antifascista è stata oggetto di
aperte polemiche a Dartmouth.
Quando è iniziato il
movimento?
Anche se il dizionario
Merriam-Webster dice che la parola "antifa" è stata usata per la
prima volta nel 1946 ed è stata presa in prestito da una frase tedesca che
indicava un'opposizione al nazismo, lo sviluppo negli Usa è iniziato dopo
l'elezione del presidente Trump nel 2016, per contrastare la minaccia che credevano
fosse rappresentata dalla cosiddetta alt-destra, la destra alternativa.
Uno dei primi gruppi negli Stati
Uniti ad usare il nome fu 'Rose City Antifa', fondata nel 2007 a Portland.
Ha un ampio seguito sui social media, dove condivide articoli di notizie e
talvolta cerca di rivelare le identità e le informazioni personali
di figure della destra americana.
Cosa distingue l'antifa
dagli altri gruppi di protesta?
Secondo Bray i gruppi AntiFa
usano spesso tattiche simili ai gruppi anarchici, come vestirsi di nero e
indossare maschere. I gruppi hanno anche ideologie sovrapposte, poiché
entrambi criticano il capitalismo e cercano di smantellare le
strutture dell'autorità, comprese le forze di polizia.
Come ha reagito la
politica?
Il movimento è stato ampiamente
criticato dalla sinistra e dalla destra tradizionali. Dopo le proteste a
Berkeley, in California, nell'agosto 2017, Nancy Pelosi ha denunciato
"le azioni violente di persone che si definiscono antifa" e ha
affermato che dovrebbero essere arrestate.
Pubblicazioni e politici
conservatori si battono regolarmente contro i sostenitori dell'antifa, che
secondo loro stanno cercando di reprimere l'espressione pacifica delle opinioni
conservatrici.
Come la Lega usa il tweet
di un account fake per screditare gli ANTIFA (da nextquotidiano)
Oggi l’account della Lega – Salvini premier
ha messo “mipiace” al tweet di Donald Trump che
annunciava la messa al bando di antifa, designata come
organizzazione terroristica. In una serie di tweet nei quali rilancia le parole
pronunciate dal giornalista Brian Kilmeade e dall’ex speaker repubblicano della
Camera, Newt Gingrich, sull’emittente Fox, il presidente degli Stati Uniti ha
affermato che le proteste che stanno incendiando numerose città Usa non sono
provocate dalle infiltrazioni dei gruppi dei suprematisti bianchi, ma dall’organizzazione
della sinistra radicale Antifa, già protagonista degli
scontri a Seatlle per il G7 del 1999 e del movimento “Occupy Wall Street”.
Un editoriale del Washington
Post ha risposto che “la campagna di Donald Trump contro il
movimento Antifa è un tentativo per distrarre dalla autentica rabbia dei
manifestanti”. Trump, ricorda il Post, “non può, per ragioni pratiche e
legali”, come invece ha promesso di fare di fare attraverso un
tweet, “designare formalmente gli Antifa come un’organizzazione
terroristica”. Inoltre, “né lui né il suo ministro della Giustizia (William
Barr, ndr) hanno reso pubbliche prove specifiche che indichino che il movimento
di estrema sinistra stia orchestrando le feroci proteste scoppiate in decine di
città Usa”. “Le proteste, specialmente quelle viste negli Stati Uniti negli
ultimi giorni – prosegue il Washington Post – sono vicende complicate, che
spesso attirato partecipanti con un’ampia gamma di motivazioni e ideologie
politiche, compresi alcuni con cattive intenzioni”. Ma alcuni osservatori,
rileva il Post, dicono di vedere nella decisione di Trump di prendere di mira
gli Antifa “il tentativo di spostare l’attenzione da ciò che ha
dato il via alle proteste: la rabbia per l’uccisione delle persone di colore da
parte della polizia”. Ma, volendo fare gli espertoni, i
social merda manager della Lega sono voluti scendere in campo
per segnalare un tweet di Antifa America: “Stasera è la
sera, compagni. Stasera diciamo: ‘Fuck the City’ e ci trasferiamo nelle zone
residenziali… i quartieri bianchi… e ci prendiamo quello che è nostro”. C’è
però un dettaglio: quell’account è un fake.
L’account, che in effetti è stato
davvero sospeso, ha cominciato a twittare proprio oggi
Ed è stato subito individuato come
account fake anche da Twitter, che per questo lo ha sospeso dopo le
segnalazioni degli utenti. E pensare che proprio oggi una ricerca scientifica
sugli account Twitter ha dimostrato che a mettere in giro le teorie del
complotto sul Coronavirus come quella del laboratorio di Wuhan sono
soprattutto ambienti della destra e i complottisti di QANON. E indovinate
un po’ chi
le ha fatte girare in Italia?
Trump dichiara gli
antifascisti gruppo terrorista - Marina Catucci
Il nuovo nemico di Trump sono gli
antifascisti, o antifa, a cui The Donald imputa la responsabilità degli scontri
di questi giorni e che vuole dichiarare «gruppo terroristico»
«Non pensavo di essere tanto
importante – dice Rachel attivista 32enne, che ha fatto parte di Occupy Wall
Street e si definisce antifa – addirittura terrorista. Io credevo che difendere
gli Usa dal nazismo, dal fascismo e dal razzismo fosse basica decenza e ora
scopro di far parte di una guerriglie. Wow, nemmeno nelle mie fantasie più
sfrenate durante l’occupazione di Zuccotti park ho pensato di essere una guerrigliera».
L’affermazione di Trump è talmente
spropositata da suscitare ironie, ma anche preoccupazione. «Come fai a dire che
qualcuno è un antifa, e quindi un terrorista? – si domanda Simon, attivista per
i diritti degli immigrati – Trump non aspettava altro che l’occasione per
legittimare la repressione del dissenso e mettere a tacere tutte le voci
discordanti e che si distaccano dalla retorica dei suprematisti bianchi che
invece gli è chiara. Chi deciderà chi è un pericoloso antifa, quindi un
terrorista? La stessa polizia che ha ucciso George Floyd?».
«In pratica ogni attivista è un
antifa, perché chiunque non sia fascista è antifascista – gli fa eco Jack,
studente di legge 23enne – Pensavo non ci fosse nemmeno bisogno di specificarlo
ma più di tutto non pensavo fosse reato. Io sono un attivista, ma anche come
avvocato per i diritti civili posso essere dichiarato antifa. E che succede,
rischio la corte marziale?».
Questo tipo di domande sono quelle
a cui molti attivisti antifascisti stanno cercando di rispondere, con scarso
successo per ora, visto che grossi dettagli dalla Casa bianca non arrivano. «La
definizione di antifa è quella di chi difende le basi della convivenza civile e
quindi si oppone a razzismi, oppressione, fascismo, xenofobia – spiega Manuel, 27enne
– Da quando questo sarebbe illegale? E se un razzista usa la forza contro un
antifa che risponde usandone altrettanta, da quando quello che viene definito
terrorista è l’antifascista? Voglio dire, abbiamo visto tutti cosa è successo a
Charlotte durante la manifestazione del Kkk. Stando a Trump se durante una
manifestazione del Kkk, violenta per definizione, una contro manifestazione
antifa dovesse affrontare le persone con il cappuccio bianco, il terrorista è
l’antifa che difende la Costituzione».
Il dibattito sulla definizione e il
riconoscimento di antifa si va formando in un momento in cui gli americani, a
causa delle forme estremamente repressive della polizia Usa anche in questi
giorni di rivolta, sono molto preoccupati per la loro libertà di espressione.
Le migliaia di arresti e di abusi
di questi giorni ne sono un esempio tanto che sempre più studi legali si
offrono per difendere gratuitamente le persone arrestate durante le
manifestazioni. Tra questi e uno dei primi è stato Joshua Schiffer del gruppo
CSfirm, che ha al suo attivo oltre un decennio di esperienza nel rappresentare
clienti in tutte le questioni relative a lesioni personali, difesa penale e
diritti civili, ed è considerato uno degli studi legali più affidabili nello
stato della Georgia.
«Come avvocati abbiamo un certo
numero di competenze che vogliamo condividere con la nostra comunità per
affrontare i problemi con cui la società contemporanea se la sta vedendo – ci
spiega – Questi problemi includono il numero di arresti che hanno coinvolto
manifestanti pacifici qui ad Atlanta. Ho sempre pensato che ci sia bisogno di
“pensare globale e agire locale” e ciò che posso fare localmente è difendere la
libertà di espressione e aiutare qui in questa città chi è stato arrestato
ingiustamente».
«Ciò che accaduto ad Atlanta è che
questo diritto è stato messo in discussione, ma è importante che il messaggio
di chi manifesta sia sentito, così come è importante che il governo agisca in
modo responsabile. Negli Stati uniti è comune che i cittadini ricorrano a un
avvocato per avere a che fare con l’autorità e il governo. In questo specifico
frangente abbiamo deciso di farlo pro bono e di essere al loro fianco».
2013-2020: Clement Meric
vive! - Action Antifasciste Paris-Banlieue (AFAPB)
Venerdì 5 giugno, come ogni anno,
l'Action Antifasciste Paris-Banlieue vuole rendere omaggio a Clément Méric,
assassinato sette anni fa. Siamo orgogliosi di aver avuto Clément come
compagno. Ricordare l’attualità delle sue lotte, nelle strade ed altrove, è per
noi un modo per continuare a ricordarlo.
Nel 2012 si era appena trasferito a
Parigi per studiare a Scienze Politiche. Lì si è unito a Solidaires étudiants
ed è diventato un militante in università. Da militante antifascista nella sua
città natale, Brest, si è poi avvicinato alla scena antifascista parigina, dove
ha incontrato l'AFA, la nostra organizzazione, di cui fanno parte militanti
rivoluzionari, giovani sindacalisti e ultras della curva Auteuil del Paris
Saint-Germain, con cui Clément ha stretto rapidamente amicizia. Per quasi un
anno ha militato al nostro fianco, a Parigi e nelle periferie della città, per
non lasciare le strade all'estrema destra, a fianco dei migranti braccati e
cacciati dalle forze dell'ordine, con i collettivi dei quartieri popolari che
si organizzano per chiedere verità e giustizia per tutti i giovani ammazzati
dalla polizia, e contro ogni forma di oppressione e discriminazione.
La nostra lotta comune lo ha
portato a quel giorno del 5 giugno 2013, a sei anni fa, quando Clément ha
incrociato alcuni skinheads neonazisti che indossavano magliette con simboli
nazisti e slogan razzisti. Erano membri del piccolo gruppo Third Way, guidato
da Serge Ayoub, spesso e volentieri immischiato in casi di omicidi razzisti e
di attacchi a militanti antifascisti. Quel giorno Clément fu riconosciuto come
militante antifascista ed è per questo che fu preso di mira, preso a pugni in
faccia con il tirapugni e lasciato a terra privo di sensi. Clément è morto
perché si è rifiutato di abbassare gli occhi.
Dopo la sua morte, abbiamo dovuto
far fronte a un'ondata di menzogne. Prima di tutto da parte dell'estrema
destra, che ha riportato le versioni degli imputati e ha cercato di far passare
Clément per l'aggressore nell’agguato. Poi da parte dei media di destra, che
hanno cercato di depoliticizzare la morte di Clément relegandola ad una
semplice rissa tra bande andata male. Da parte loro, la stampa e i politici di
sinistra hanno cercato invece di recuperare l'immagine di Clément, di farne la
vittima di un nemico comune e la figura dell’antifascista al servizio della
République, in lotta contro un razzismo essenzialmente morale, incarnato
soltanto dall'estrema destra e dal Front National. La stampa ha così creato
un'immagine borghese che si distanzia dalla realtà sociale del nostro gruppo.
Vogliamo insistere sul tentativo di recuperare questo evento, perché questo è
stato seguito da una demonizzazione della figura dell' "antifa". Lo
abbiamo visto nel 2014 quando abbiamo partecipato alle manifestazioni vietate
pro Gaza e contro l'imperialismo. Lo è stato ancora quando abbiamo combattuto
contro la violenza della polizia a fianco delle famiglie delle vittime e degli
abitanti dei quartieri popolari e quando abbiamo combattuto contro il razzismo
di Stato, o contro il prolungamento dello stato di emergenza, che in
particolare ha portato una nuova ondata islamofobica. Poi nel 2016, durante il
movimento contro la Loi travail, quando la nostra organizzazione si è ritrovata
di nuovo al centro dell'attenzione mediatica e politica, per la sua presenza
nel "cortège de tête" (la testa del corteo, la parte più offensiva
ndt), dove abbiamo partecipato dando impulso alle dinamiche di autodifesa di fronte
ai ripetuti attacchi della polizia.
Durante la famosa vicenda del Quai
de Valmy, in seguito all'incendio di un'auto della polizia, una montatura
poliziesca ha portato all'arresto e poi alla condanna di militanti
antifascisti. Tra questi c'era Antonin Bernanos, condannato a cinque anni di
carcere, sulla base di una testimonianza anonima di un membro dei servizi
segreti della polizia di Parigi. Antifa al servizio della sinistra e mobilitati
contro il razzismo e le disuguaglianze tre anni prima, eravamo diventati una
nuova minaccia per la sicurezza dello Stato, il nuovo nemico interno,
presentati, secondo categorie dettate politicamente dall’apparato poliziesco,
come dei "casseurs", dei "black blocks" o degli
"estremisti di sinistra". Da Clément Méric ad Antonin Bernanos, la
posta in gioco era infatti la criminalizzazione delle pratiche sovversive di
un'organizzazione politica rivoluzionaria, risolutamente impossibile da
recuperare, di cui Clément era fieramente uno dei militanti.
Ad oggi, l'assassino di Clément è
libero e Antonin è agli arresti domiciliari lontano da Parigi, dopo essere
stato incarcerato preventivamente per 6 mesi. Se subisce questo accanimento
giudiziario, è perché Antonin è accusato di non aver lasciato le strade in mano
ai fascisti che, dopo essere stati cacciati, hanno sporto denuncia. Ma dobbiamo
prendere quello che è successo ad Antonin per quello che è: la vendetta dello
Stato contro uno dei tanti e delle tante che unit* hanno contribuito
attivamente a rendere impossibile la presenza dei fasci all’interno del
movimento Gilets jaunes. Lui ed gli/le altr* che, nonostante la repressione,
rifiutano di abbassare la testa contestando la legittimità del potere. Antonin
è stato mandato in prigione per abbattere il desiderio di protesta sociale e
politica. Per stremare, mediante la repressione, chi da novembre sta lottando.
Per cercare di sciogliere le alleanze che si stanno formando e rompere così il
movimento. Questo è ciò che è attualmente in gioco con le migliaia di condanne
che arrivano a dirotto e le decine di mutilazioni. Questa è la posta in gioco
quando i militanti antifascisti, che non hanno mai smesso di scendere in strada
e di lottare quotidianamente al fianco dei Gilets jaunes, sono presi di mira
dallo Stato.
Sette anni dopo la morte di
Clément, le bande fasciste sono ancora attive. Il Rassemblement National (ex
Front National, ndt) non è ancora al potere, ma una grossa parte del suo
programma è stata ripresa dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni.
Lo Stato non ha mai smesso di perseguitare, mediante leggi scellerate, i
proletari originari dell'immigrazione post-coloniale. L'islamofobia è diventata
l'ideologia ufficiale. Le principali prerogative dello stato d'eccezione sono
state inserite nel diritto comune, conferendo all’apparato poliziesco poteri
esorbitanti. I quartieri popolari subiscono oggi una repressione brutale e
costante da parte della polizia che provoca ogni anno la morte di circa 15
giovani neri e arabi. La situazione creata dall’emergenza sanitaria ne è stata
una tragica dimostrazione. Durante l'ultimo periodo abbiamo visto un
allargamento di questa logica repressiva che, attraverso la militarizzazione
delle piazze, ha colpito il movimento sindacale e le mobilitazioni sociali, il
movimento dei Gilets jaunes e quello contro la Riforma delle pensioni. In altre
parole, contro chiunque - chiunque si ribelli contro lo stato di cose presenti,
contro la precarietà, contro la distruzione di ogni possibile forma di
comunità.
È in questo contesto di
fascistizzazione della nostra società che dobbiamo considerare le nuove
aggressioni dei gruppi di estrema destra, ovunque in Europa, e in particolare
in Francia. Che i loro membri non vengano mai sfiorati dalle autorità non deve
sorprendere: in fondo, non sono altro che il volto brutale della svolta
autoritaria che si sta verificando negli Stati occidentali, del cambiamento
della governance in tempo di crisi. Quando Génération Identitaire (gruppo
neofascista, ndt) organizza ronde sul confine italo-francese per dare la caccia
ai migranti, funge da diretto intermediario delle forze di polizia. Questa è
solo la forma spettacolare di una pratica ormai normalmente assunta dallo
Stato. Criminalizzare l'antifascismo, criminalizzare la lotta contro
l'estremismo organizzato di estrema destra, significa criminalizzare il diritto
all'autodifesa. Significa mantenere il popolo in uno stato di sottomissione
disarmata. Ma noi diciamo con forza che il popolo ha il diritto di difendersi
contro i suoi nemici.
Nella lotta contro l'estrema
destra, le istituzioni sono un'esca. Non solo perché lo Stato repubblicano, che
si pone come baluardo contro il fascismo, ne è in realtà il suo principale
promotore. Ma perché, come abbiamo visto fin dalle prime settimane del
movimento dei Gilets jaunes, l'attivismo neofascista, che arriva fino
all'aggressione fisica, non trova limiti se non in ciò che possiamo mettere noi
nelle strade - con la forza e con la dissuasione.
Siamo militanti politici e, per
noi, le responsabilità non sono legali, ma prima di tutto politiche. Durante il
processo agli assassini di Clément nel settembre 2018, che è stato un momento
di verità molto importante per la famiglia di Clément, di fronte agli imputati
e ai loro avvocati che cercavano di depoliticizzare il caso è stato necessario
ricordare che se Clemente è morto, è stato perché era un militante
antifascista. In quell'occasione abbiamo messo sotto accusa il sistema che
alimenta e rafforza queste frange reazionarie.
A seguito del movimento contro la
riforma delle pensioni, in piena pandemia Covid-19, il processo d’appello
contro gli assassini è stato rinviato a data da destinarsi. Ancora una volta,
ribadiamo che non ci aspettiamo nulla dai tribunali, che mai hanno tradotto e
che mai tradurranno la nostra giustizia. Esattamente come lottiamo contro la
prigione. Perché questi luoghi hanno un ruolo fondamentale nel sistema che
stiamo combattendo.
Clément aveva scelto da che parte
stare ed è da quella parte che noi continuiamo la lotta e che accusiamo, nelle
strade, i fascisti, il capitale e lo Stato.
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