lunedì 15 giugno 2020

Il problema oltre il COVID-19: fermare la militarizzazione del mondo - Elena Camino



Una fuorviante ossessione
Sembra che non accenni a scemare il flusso, ripetitivo e ormai noioso, di aggiornamenti post-COVID 19. Il mondo dei media si è rappreso intorno ai numeri, alle polemiche, alle foto ripetute all’infinito di presidi medici, bare, interviste agli esperti, piazze deserte, cori incoraggianti… Intanto il mondo va avanti… ma in che direzione? Con i telegiornali e gli ‘speciali’ tutti concentrati sul coronavirus, non c’è più spazio per altro.
Come se le locuste non continuassero a distruggere intere regioni dell’Africa e del Medio Oriente, lasciando milioni di persone con la fame; come se le fabbriche di armamenti non continuassero a produrre e commercializzare materiale bellico destinato a distruggere intere comunità; come se fosse irrilevante la notizia che in Europa, nel marzo 2020, le temperature medie dell’atmosfera si sono mantenute quasi 2° C al di sopra della media 1981-2010. 
Anche se ‘complessità’ e ‘interdipendenza’ sono ormai diventate parole chiave per descrivere questo nuovo mondo – l’Antropocene – non se ne fa un uso sufficiente per mantenere uno sguardo aperto, interpretare gli eventi e i processi in corso e collegarli tra loro, e per prendere decisioni collettive di buon senso.

Importante: si sapeva
Nella ricostruzione degli eventi che hanno portato alla pandemia sono numerosi i riferimenti a conoscenze, dichiarazioni di allerta, allarmi che non sono stati ascoltati. 
Come ha ricordato Ignazio Ramonet [1] solo qualche giorno fa, «si possono dire molte cose per spiegare la scarsa preparazione delle autorità di fronte a questo brutale flagello, però quella della sorpresa non è ammissibile. Perché decine di previsioni e varie informative recenti avevano lanciato avvisi molto seri sull’imminenza dell’arrivo di un nuovo virus che avrebbe potuto causare qualcosa come la madre di tutte le epidemie». Ancora Ramonet ricorda che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva lanciato un grido di allarme già a settembre del 2019: «Ci troviamo di fronte alla minaccia molto reale di una pandemia fulminante, sommamente letale, provocata da un patogeno respiratorio che potrebbe uccidere da 50 a 80 milioni di persone e liquidare quasi il 5 per cento dell’economia mondiale».
Alla fine la pandemia è arrivata, ma mancavano mascherine e respiratori: strategie potenzialmente disponibili con sistemi sanitari tradizionali, se fossero stati ben radicati sul territorio e orientati alla prevenzione.

Un assassino di poco conto, una reazione enorme
Negli ultimi tre mesi sono stati 303.825 [2] i morti (registrati) da e con coronavirus nel mondo.  Come fa notare Jan Oberg in un recente articolo [3] la guerra in Irak e le successive sanzioni hanno provocato almeno un milione di vittime civili. Altre guerre – Afganisthan, Pakistan – hanno causato almeno 875.000 morti.  E come non ricordare che ogni giorno 20.000 persone muoiono di fame… eppure il malsviluppo globale, i divari di reddito e la difficile situazione di centinaia di milioni di “miserabili della Terra” non hanno mai indotto alcun governo a introdurre misure particolari, e certamente niente di così drastico come quelle che ora siamo tutti costretti a vivere.
Nessun altro evento della storia contemporanea ha dato luogo a così numerose e gravi decisioni, con sostanziali limitazioni delle libertà personali e collettive, che in tutti i paesi i governi (democratici o autoritari) hanno imposto ai cittadini.
Tra i motivi che vengono addotti per spiegare questa reazione, Oberg ne ricorda alcuni possibili: che ad essere colpiti per primi sono stati abitanti del mondo ‘ricco’; che la salute personale è sentita da tutti come un problema primario; che la dinamica di diffusione – un avvio lento e subdolo, poi l’esplosione di casi – ha suscitato particolare apprensione e paura. L’Autore avanza anche un’ipotesi più cinica: la pandemia può aver indotto le élites internazionali a cancellare molte procedure democratiche, e ad aumentare il controllo sociale, sostenendo che queste restrizioni sono imposte ‘per il nostro bene’, e annullando di fatto ogni forma di dissenso politico nelle piazze ormai vuote. 

‘Guerra’ contro il bersaglio sbagliato
Anche se tutti i governi ora si affannano a dire che le misure dolorose e restrittive messe in atto sono una dimostrazione dell’impegno con cui si prendono cura di noi, è chiaramente dimostrato che i governi negli ultimi 70 anni hanno speso miliardi per assicurare una forma di sicurezza che si è rivelata del tutto inadeguata di fronte alla minaccia arrivata con il virus.  Bilanci sempre più grandi, più armi, più forza fisica: una visione militare del benessere dei popoli, che ha trascurato completamente le minacce civili – come la povertà, il disagio sociale, il degrado ambientale… o una pandemia come quella oggi in atto.
Il risultato è che alcuni paesi sono in grado di inviare intorno al mondo missili teleguidati di precisione, e persino armi nucleari; possono dislocare truppe armate e combattere guerre ovunque, anche nei luoghi più lontani.  Ma non sono stati capaci o – più correttamente – non si sono curati di proteggere le loro società con semplici misure protettive: mascherine, guanti, termometri.
Come mai è successo? Perché – sostiene sempre Jan Oberg – le politiche messe in campo negli ultimi 70 anni hanno obbedito alle esigenze del sistema militare – anzi, del complesso MIMAC (Military – Industrial – Media – Academic – Complex).  I cittadini sono stati convinti che c’erano dei nemici esterni a minacciarli; sono stati impauriti, e indotti a pagare tasse sempre più alte per costruire armi sempre più potenti contro questi nemici, che li minacciano militarmente.  Questo schema interpretativo, continuamente e ossessivamente alimentato dall’idea del nemico, ha portato all’insostenibile situazione attuale: il mito della difesa e della sicurezza nazionale ha prodotto un’escalation senza fine di nuovi nemici, nuove paure, nuove armi, nuove distruzioni… energie e risorse orientate verso minacce irreali, smascherate dall’arrivo di un piccolo virus.    

Importante: si sa…
Uno dei pericoli più terribili che incombono sul mondo oggi, ben conosciuto e persino segnalato dal ticchettio di un orologio, è costituito dagli armamenti nucleari e dalle politiche che ne reggono la produzione, lo stoccaggio, l’uso. L’Orologio dell’Apocalisse, inventato nel 1947 dagli scienziati della rivista Bulletin of the Atomic Scientists, è un orologio metaforico che misura il pericolo di una ipotetica fine del mondo a cui l’umanità è esposta a causa degli armamenti nucleari e delle politiche militari che ne sono alla base. Quest’anno, il 2020, il rischio è il più elevato di sempre, quantificato da 100 secondi!

Nonostante la consapevolezza della situazione di gravissimo pericolo in cui si trova l’intera umanità, il trend di produzione di armamenti continua a crescere. Sono disponibili al pubblico – tradotti in diverse lingue – i recenti dati del SIPRI sulle spese militari: il 27 aprile, sul sito di Nigrizia[4] si legge che «Le spese militari superano i 1.900 miliardi di dollari, il valore assoluto più alto dalla fine della Guerra Fredda. Ognuno di noi (inclusi i neonati) nel 2019 ha pagato 249 dollari. Il budget militare più alto resta quello degli Stati Uniti, aumentato del 5,3% nel 2019 a 732 miliardi di dollari, pari al 38% della spesa globale. Dopo sette anni di declino la spesa Usa per la difesa ha ripreso a salire nel 2018. Seconda in classifica è la Cina, con 261 miliardi di dollari (+ 5,1% rispetto all’anno precedente) e terza l’India con 71,1 miliardi di dollari (+ 6,8% su base annua)».
E l’Italia? L’Italia non fa eccezione. Come ci spiega Luca Liverani su Avvenire [5], secondo la stima dell’Osservatorio Mil€x, la spesa militare prevista per il 2020 arriva a circa 26,3 miliardi di euro, con una crescita di oltre il 6% (quasi un miliardo e mezzo in più) rispetto al comparabile bilancio preventivo 2019. «E questi sono solo i numeri delle previsioni di partenza» – sottolinea Francesco Vignarca, coordinatore di Rete Disarmo – «perché nei bilanci consuntivi si verifica una spesa effettiva decisamente superiore”. Va sottolineato poi che nella previsione per il 2020 quasi 5,9 miliardi di euro sono destinati all’acquisto di nuovi sistemi d’arma».

L’Italia armata
È di questi giorni la notizia della conclusione dei lavori di ammodernamento della portaerei Cavour, a Taranto, per rendere compatibile la nave con l’impiego dei nuovi aerei F-35. Questi lavori sono stati effettuati grazie a un contratto tra il Ministero della Difesa e il Raggruppamento Temporaneo d’Impresa tra cui spiccavano Fincantieri e Leonardo, del valore di 74 milioni di euro. Completati i lavori, la portaerei raggiungerà gli Stati Uniti dove effettuerà il ciclo di esercitazioni e di abilitazione all’ impiego dei cacciabombardieri Lockheed Martin F-35B Joint Fighter Strike, entro la primavera del 2021. La lettura di un articolo pubblicato su ARES – Osservatorio Difesa [6] (del 12 maggio 2020) consente anche a un profano di cogliere le finalità di questo nuovo gioiello della Marina Militare: tra i dettagli elencati ci sono gli armadietti per lo stivaggio delle bombe, le rotaie per la movimentazione di bombe, missili e siluri.  Tutte apparecchiature molto sofisticate e costose.  La Cavour potrà accogliere fino a 15 aerei, con il ‘corredo’ di 30 caschi (Helmet Mounted Display Systems), ciascuno del costo di circa 400.000 $.  Essendo tagliati su misura sul singolo pilota, ognuno ne avrà in dotazione due, di cui uno di riserva in caso di avaria di quello in uso.

Costituzione Italiana Articolo 11
L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.

Sempre più spudorata la costruzione del nemico
La prospettiva di una catastrofe nucleare è talmente inquietante che all’interno stesso degli Stati Uniti il rischio viene segnalato da studiosi ed esperti, sempre più allarmati dalla posizione aggressiva del presidente Trump e dalle false notizie diffuse dallo staff del comando strategico militare USA, che intendono far credere all’opinione pubblica che gli Stati Uniti si trovano sotto crescente minaccia da parte di altre potenze mondiali.   
Tra gli articoli pubblicati dal Bulletin of Atomic Scientists [7] il 7 maggio 2020, uno mi ha colpito in modo particolare[8]: per il titolo, per il commento introduttivo e per una ‘infografica’ iniziale piuttosto interessante. Partiamo dal titolo: L’anatomia di una disinfografica STRATCOM. La ‘disinfografica’ è una modalità di comunicazione in cui le informazioni sono organizzate in una forma grafica e visuale in modo errato o incompleto.  La sigla STRATCOM sta a indicare il comando strategico militare USA: US Strategic command (Il sito merita una visita…).
Gli Autori dell’articolo ci spiegano che il comando strategico degli Stati Uniti, il ramo dell’esercito responsabile delle armi nucleari della nazione, ha recentemente pubblicato un’infografica  sulla quale il team editoriale del Bulletin ha sentito la necessità di esprimere alcune osservazioni. Cerco di riassumere le note più significative, facendo riferimento allo schema del comando strategico, qui sotto riportato.

Gli Autori dell’editoriale del Bulletin obiettano che il termine ‘moderazione’ forse non è adeguato [9]. Gli USA sono orientati a spendere da 1,2 a 1,7 trilioni [10] di $ nei prossimi 30 anni per la modernizzazione del loro programma nucleare.  Inoltre, le quantità hanno importanza: i grafici a torta suggeriscono che gli arsenali cinesi e russi sono molto più abbondanti di quelli americani… ma più ‘tipi’ di cose non vuol dire più numerose, o più potenti. Nelle pagine che seguono l’articolo elenca una serie di dati tecnici che smentiscono il messaggio grafico: l’impressione generale che riceve chi guarda questi disegni è che Russia e Cina stiano predisponendo molti nuovi sistemi d’arma, aumentando così i rischi per USA e alleati. Ma questo non è vero per molte ragioni, che gli autori elencano in modo analitico. Anche i dati numerici sono imprecisi: in realtà la riduzione delle scorte nucleari nei decenni passati è stata dell’82% per gli Stati Uniti, a fronte dell’88% della Russia: quindi è falsa l’affermazione che mentre gli USA  hanno ridotto i loro armamenti, gli altri paesi (Russia, Cina, Nord Corea, Iran) li stanno moltiplicando, minacciando gli USA.
Un altro aspetto importante rispetto al quale gli schemi pubblicati da STRATCOM  sono davvero disinformativi, anzi, falsi, riguarda il ruolo della diplomazia e del dialogo.  Le riduzioni degli armamenti nucleari conseguite in passato sono state ottenute grazie a lunghe, faticose e preziose relazioni diplomatiche. Eppure STRATCOM non fa cenno agli accordi dai quali gli Stati Uniti si sono ritirati, in alcuni casi contro il consiglio dei suoi alleati. L’amministrazione Trump si è ritirata dal trattato INF (Trattato sulle Forze nucleari intermedie) nell’agosto 2019 [11] e ha rapidamente iniziato a lavorare su un’arma che il trattato avrebbe vietato. Mentre suggerisce che la Cina e la Russia stanno sviluppando nuove armi che «aggireranno gli obblighi del trattato», omette di dire che gli USA hanno, più drasticamente, eliminato la legge stessa.
Il Comando Strategico Militare USA sta deliberatamente ingannando la società civile, alimentando la paura del ‘nemico’ proprio in un momento in cui la pandemia sta creando tensioni sociali, incertezza, disorientamento.
Quando la prevenzione è impossibile
Si fa un gran parlare, in questi mesi, della necessità di prepararsi adeguatamente alle prossime pandemie…
È sempre il Bulletin of Atomic Scientists, il 28 aprile 2020, a richiamare l’attenzione dei lettori sulla minaccia nucleare, con un titolo inquietante [12]Quanti letti per la terapia intensiva saranno necessari nel caso dell’esplosione di un ordigno nucleare?
Tom Sauer, belga, professore di politica internazionale già presso l’Università di Harvard, e  Ramesh Thakur, australiano, Direttore del Centre for Nuclear Non-Proliferation and Disarmament, sostengono che l’attuale pandemia da coronavirus è una vistosa conferma dell’attualità e della rilevanza dell’Iniziativa Umanitaria, avviata dieci anni fa con tre affermazioni cruciali:
  • Primo, nessun paese individualmente – e neppure un sistema coordinato a livello internazionale – ha la capacità di far fronte alle conseguenze di una guerra nucleare sulle comunità umane.
  • Secondo, è quindi interesse dell’umanità che armi nucleari non siano mai più usate, in nessuna circostanza.
  • Terzo: l’unica garanzia che tali armi non vengano usate è la loro completa eliminazione.
Queste tre considerazioni sono state alla base delle iniziative che hanno portato a promuovere la Campagna internazionale per l’abolizione delle Armi nucleari (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons: ICAN), dalla quale è scaturita la risoluzione 71/258 del 26 dicembre 2016 e che ha portato le Nazioni Unite ad adottare il 7 luglio 2017 il Trattato di messa al bando delle armi nucleari, che entrerà in vigore dopo la ratifica da parte di almeno 50 Paesi.
Utilizzando l’esperienza globale di questi mesi, proviamo a valutare – dicono i due studiosi – quanti letti di terapia intensiva sarebbe necessario predisporre per affrontare un’emergenza nucleare.
Gli Autori utilizzano uno strumento previsionale messo a punto dal ricercatore Alex Wellerstein,  dello  Stephens Institute of Technology:  si tratta di Nukemap [13]  che permette di calcolare gli effetti di bombe atomiche di diversa potenza e su differenti aree geografiche. Una versione italiana si può leggere sul sito [14] della rete italiana per il disarmo.  
Proviamo anche noi a utilizzare la simulazione di Nukemap con la città di Torino:  i risultati dell’esplosione di una bomba del tipo B-61 sulla nostra città causerebbe istantaneamente quasi 370mila morti, e circa 540mila feriti.

Facciamo un’altra prova, sperimentiamo l’effetto della Castel Bravo, la bomba più potente fatta esplodere a titolo sperimentale dagli USA [15] : 1 milione 126 mila morti immediati, tra Torino e dintorni e poi… distruzioni, fallout, disastri inenarrabili…
Quanti letti per la terapia intensiva, dunque? La domanda risulta priva di senso di fronte allo scenario che si presenterebbe, in cui – oltre ai morti e ai feriti – ci sarebbe la completa distruzione di tutte le infrastrutture e di tutti i sistemi di comunicazione: si tratta di effetti noti, descritti persino su Wikipedia.  E, dopo le distruzioni immediate, il fallout radioattivo farebbe il resto, nei mesi, anni, decenni successivi…

L’unica prevenzione possibile
Sauer e Thakur proseguono la loro riflessione: qual è la probabilità di una guerra nucleare, o anche semplicemente dell’esplosione di una singola bomba nucleare? Certamente è maggiore di zero. E sembra che questa probabilità stia aumentando, invece di ridursi. Per la prima volta in 50 anni, il mondo può trovarsi, alla fine del 2020, senza alcun trattato per il controllo bilaterale delle armi che comprenda anche le verifiche. Il mondo è di fronte alla chiara minaccia di una proliferazione incontrollata delle armi nucleari.
Attualmente non sono disponibili vaccini per contrastare la pandemia da coronavirus, ma un ‘vaccino’ contro la minaccia nucleare esiste: è il Trattato per la messa al bando delle armi nucleari. Proseguendo con il parallelo tra minaccia del virus e minaccia di una guerra nucleare, i due studiosi non hanno dubbi: non esiste una prevenzione possibile – in termini di letti per la terapia intensiva – che possa far fronte agli esiti di una esplosione nucleare. L’unica prevenzione possibile, da mettere in atto con assoluta urgenza, è l’eliminazione totale degli ordigni nucleari.
Molte persone, in tutto il mondo, sono ancora incredule: che un piccolo virus, un pacchetto di sequenze geniche elementari ricoperto da qualche proteina sparsa, una manciata di informazioni che potrebbe essere contenuta in un foglio A4, sia stata in grado di colpire milioni di persone, e di scompaginare l’economia globale: incredibile… prima che avvenisse.
Questo duro confronto con la realtà, che ci ha messo di fronte alla nostra fragilità, deve motivarci ad agire, finalmente, e subito. Inutile ‘ripartire’ – come si sente dire da ogni parte – verso strade già percorse, e rivelatasi sbagliate.  Oltre a incamminarsi verso un nuovo modello di sviluppo, occorre con urgenza imporre la messa al bando di tutto il sistema militare mondiale, a partire dal modesto ma pericolosissimo contributo italiano. L’uscita trionfale della portaerei Cavour dal porto di Taranto, pronta a ospitare aerei da combattimento F-35 in grado di caricare (e sganciare) bombe nucleari, è una manifestazione di arroganza, prepotenza e stupidità: fermare questo sistema impazzito è più urgente che allestire letti di terapia intensiva per la prossima pandemia.
È di questi giorni un report di ICAN, la Campagna internazionale per l’abolizione delle Armi nucleari, che ha per titolo Enough is Enough: Global Nuclear Weapons Spending 2019 che potremmo tradurre così: Quando è troppo è troppo: le spese nucleari globali 2019.  In questa situazione di sofferenza globale, che ha coinvolto l’intera popolazione mondiale e sta gettando nella miseria e nella fame milioni di persone, dobbiamo trovare la forza di sostenere le numerose associazioni impegnate da molti anni per l’abolizione degli armamenti nucleari, qui a Torino, in Italia, in Europa e in tanti posti del mondo. Dobbiamo coinvolgere l’intera società civile nell’opposizione, nonviolenta ma ferma, a chi intende gestire le relazioni internazionali con strategie e tattiche militari, utilizzando la nostra Terra come un campo di battaglia.

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