mercoledì 3 giugno 2020

Diario di una pandemia - Massimo Dadea



Pubblichiamo una raccolta dei post che Massimo Dadea ha pubblicato su Facebook durante la quarantena. Una diario di una pandemia che nasce dall’esigenza di far nascere una nuova consapevolezza su alcuni grandi temi che il covid-19 ha fatto emergere. (red)

Sigmund Freud, già agli albori della psicanalisi, ha affermato che il trauma più profondo può diventare l’opportunità per una ripartenza, per un nuovo inizio. A questo deve servire la pandemia da Covid-19. Questa vita sospesa, questa vita senza tempo, deve diventare l’occasione per una nuova consapevolezza.

La natura, l’ambiente
La pandemia da coronavirus non è dovuta ad un destino cinico e baro e neanche ad una maledizione divina: è il frutto della stupidità dell’uomo, del suo rapporto malato con la natura e l’ambiente. Sono i nostri comportamenti che rendono possibile l’insorgenza delle pandemie, che creano le condizioni perché virus normalmente silenti si virulentino diventando aggressivi per l’uomo. La violenza perpetrata nei confronti della natura, gli insulti che quotidianamente vengono inferti all’ambiente sono la causa prima dei nostri mali. Per usare le parole di Erri De Luca, la natura è “lo spazio della nostra assenza”, l’ambiente è “lo spazio della nostra presenza”, è il “luogo del nostro insediamento”. La conseguenza della pandemia è quello di “interrompere l’effetto dell’attività umana”. L’effetto pausa rianima l’ambiente. Per la terra, il cielo, l’acqua, è una tregua. La natura prima o poi si vendica. Quei corpi inerti attaccati ad un respiratore, quei corpi allineati dentro bare di un colore solo, a cui sono stati rubati la storia e persino il nome, interpellano la nostra coscienza per le scelte scellerate che abbiamo fatto in questi anni spensierati.

Sanità pubblica
E’ una ben magra soddisfazione – per chi, in tutti questi anni, si è battuto, inascoltato, contro i tagli della spesa sanitaria – ascoltare i tanti, forse troppi, che oggi gridano e si stracciano le vesti contro lo scempio perpetrato a carico della sanità pubblica. Dove erano costoro quando, in nome di un modernismo straccione e mercantile, si affermava una concezione economicistica, meglio ragionieristica, del diritto alla salute, finalizzata a tagliare le risorse, il personale, gli ospedali, i servizi territoriali? Si è portata avanti una colossale operazione che, attraverso il depotenziamento e la denigrazione sistematica della sanità pubblica, ha destinato ingenti risorse a favore della sanità privata.  La Sardegna non è stata da meno. Anzi. Chi non ricorda le cosiddette “riforme” regionali incentrate su una sorta di “dittatura” dei parametri e degli indici numerici: percentuali, radici quadrate, zero virgola, curve gaussiane, che hanno finito per fare strame dei bisogni e delle esigenze di salute dei cittadini. A niente sono valse le sollecitazioni ad individuare nel territorio, nei servizi territoriali, il nodo cruciale dell’organizzazione sanitaria sarda. Ed invece, per tutta risposta abbiamo assistito alla testarda riproposizione di inutili e dannose priorità che hanno portato ad un sensibile taglio dei posti letto, dei reparti, dei servizi territoriali, dei punti nascita. Che dire poi delle scelte operate da questa giunta regionale sardo-leghista. Prima ha pensato bene di aumentare gli stanziamenti a favore delle case di cura private: cento milioni di euro che sono andati ad aggiungersi ai sessanta già stanziati a favore del Mater Olbia della Qatar Foundation. Ora, in piena emergenza coronavirus, la decisione di riconoscere Centri Covid tre strutture private, tra cui il Mater Olbia. Un regalo vergognoso che costerà alla Regione ingenti risorse. Soldi sottratti alla sanità pubblica, sottratti a quei medici, infermieri, che quotidianamente combattono, spesso a mani nude, nelle corsie degli ospedali, la pandemia. Come se non bastasse ora si apprende che proprio il Mater si è rivelato per quello che è: una scatola vuota, costosa quanto inutile. Non idoneo a svolgere questo delicato compito a causa di gravi carenze tecniche, professionali e strutturali. Tanto che è stato necessario chiamare in soccorso “tre medici militari e otto infermieri”. Ci sarebbe da ridere se non fosse una tragedia.

Scienza
Tra tutte le conseguenze terribili che il Covid-19 ha determinato – sulla salute, sull’economia, sulle nostre abitudini – ne ha avuto almeno una positiva. E’ diventato l’angelo sterminatore di tutte quelle cialtronerie che ci sono state propinate sulla sfiducia nei confronti della scienza, sulla criminalizzazione della competenza e del merito, sulla delegittimazione della medicina e degli operatori sanitari. In questi anni, si è assistito ad un vero e proprio elogio della incompetenza. Anzi, il sapere aveva smesso di essere una qualità. In molti avevano dimenticato il valore della scienza. La verità scientifica era stata sottomessa al giudizio degli incompetenti. Questo è avvenuto per i vaccini, per gli eventi climatici, per la politica, per l’economia. La fondatezza aveva smesso di viaggiare sulle spalle robuste della scienza ed aveva iniziato a fluttuare su quelle infide e sdrucciolevoli dei social. Oggi tutti ad esaltare il valore insostituibile della scienza, della ricerca, della competenza. Tutti a lodare l’impegno, il sacrificio degli operatori sanitari. Tutti a recriminare sulla azione distruttiva portata avanti nei confronti della sanità pubblica. Questo ravvedimento però non bisogna darlo per scontato, per acquisito una volta per tutte. Già iniziano i distinguo. Già si sentono i primi “se” e i primi “ma”. Già iniziano a riprendere fiato gli intossicatori di menti fragili: i teorici del complotto, i terrapiattisti, i no vax, e compagnia cantante. Già qualcuno avanza dubbi e remore sul Servizio Sanitario Nazionale. Altri iniziano a dire che poi questi operatori sanitari tanto eroi non sono. Insomma, sembra di assistere a qualcosa di già visto e sentito.

L’etica e la morale
Il lutto più profondo può diventare l’opportunità di un nuovo inizio. Ma, al tempo del Covid-19, non vuol dire che la ripartenza possa assomigliare a quello che abbiamo conosciuto. Anzi. Prendiamo la paura. Una sensazione di pericolo per qualcosa che minaccia la nostra esistenza. Gli apprendisti stregoni, per anni, hanno agitato la paura del diverso: per colore della pelle, per cultura, per credo religioso, per preferenze sessuali. Oggi, la paura del contagio si è sostituita alla paura del diverso. Il pericolo non è costituito da chi viene dal mare, ma, paradossalmente, da chi ci sta accanto. Il nostro vicino è diventato un pericolo, una minaccia. Le due paure hanno poi finito per sovrapporsi: la paura della malattia, dell’ignoto, del contagio e quella per lo sconosciuto, il diverso. E qui abbiamo assistito ad una nemesi che ha del sorprendente. Qualcuno, per anni, ha teorizzato la necessità di segregare il diverso in campi di “concentramento”, lontano dai nostri occhi. Oggi, il Covid-19 ci ha segregato nelle nostre abitazioni. Forse la reclusione, la quarantena, finirà per sviluppare la solidarietà, la coesione, il senso di comunità, ma non lo darei per scontato. Di sicuro dovremo imparare a convivere con il virus e con una buona dose di cinismo e di angoscia. Saremo sempre più spesso costretti a scegliere tra quelli da salvare e quelli che dovremo perdere, tra coloro da mettere in salvo e chi dovremo abbandonare al suo destino. La sopravvivenza non sarà più assicurata a tutti. Gli anziani, gli affetti da patologie cardio vascolari, dal diabete, da altre comorbilità, saranno sacrificati a favore dei giovani e sani. Una terribile selezione naturale, una realizzazione dei più crudeli principi dell’eugenetica. Una società civile, democratica, non può accettare una cosa simile. Il medico non può essere messo nella condizione di dover scegliere tra due vite umane. L’etica medica esclude che una vita umana possa essere messa in contrapposizione ad un’altra. Il medico deve rispondere solo alla propria coscienza. I principi costituzionali devono essere il nostro faro. La verità è che questo tempo crudele ci porrà sempre più di fronte a scelte terribili a cui sarà difficile rispondere con i normali principi etici, morali, costituzionali, di civiltà. Sapremo ancora essere umani, solidali, caritatevoli, giusti?

I servizi territoriali della salute
Uno degli insegnamenti che si può trarre dalla lotta alla pandemia è che il Covid-19 si può contrastare efficacemente attraverso una adeguata rete di servizi territoriali per la salute ed un appropriato numero di posti letto di terapia intensiva. L’esempio della Germania è il più eclatante. Una magra soddisfazione per chi, in tutti questi anni, ha sostenuto che il nodo irrisolto della nostra organizzazione sanitaria è il territorio. La priorità era, ed è, portare i servizi per la salute là dove vivono i cittadini, sul territorio appunto. Ed invece si è perso tempo e denaro in operazioni di ingegneria organizzativa tanto inutili quanto costose. Prima la ASL unica ed ora il ritorno alle otto ASL; poi la razionalizzazione della rete ospedaliera ed ora la creazione di nuovi ospedali. Ad avere il sopravvento è stata la propaganda, la demagogia. Al centro di questi disegni non vi sono i bisogni salute dei cittadini, ma una concezione ragionieristica della salute: la volontà di tagliare la spesa sanitaria pubblica a tutto vantaggio di quella privata. Senza contare che un’adeguata rete di servizi filtro territoriali è funzionale agli stessi ospedali, cui verrebbe risparmiata quella inutile routine che finisce per ingolfarli ed impedirgli di svolgere la loro funzione prioritaria: luoghi della diagnosi e della terapia più fine e sofisticata. Bisogna ripensare la nostra organizzazione sanitaria, anche alla luce della recente pandemia. Due sono le priorità. Una, la creazione di una rete di servizi territoriali della salute; l’altra un sistema ospedaliero incentrato su alcune alte specializzazioni e una serie di ospedali a struttura modulare, dotati di un congruo numero di posti letto di terapia intensiva, capaci di adattarsi velocemente a quelle che, con sempre maggiore frequenza, saranno le future pandemie.
Ricordiamocelo, quando tutto questo sarà finito.

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