Pubblichiamo una raccolta dei post che Massimo Dadea
ha pubblicato su Facebook durante la quarantena. Una diario di una pandemia che
nasce dall’esigenza di far nascere una nuova consapevolezza su alcuni grandi
temi che il covid-19 ha fatto emergere. (red)
Sigmund Freud, già agli albori della psicanalisi, ha
affermato che il trauma più profondo può diventare l’opportunità per una
ripartenza, per un nuovo inizio. A questo deve servire la pandemia da Covid-19.
Questa vita sospesa, questa vita senza tempo, deve diventare l’occasione per
una nuova consapevolezza.
La natura, l’ambiente
La pandemia da coronavirus non è dovuta ad un destino
cinico e baro e neanche ad una maledizione divina: è il frutto della stupidità
dell’uomo, del suo rapporto malato con la natura e l’ambiente. Sono i nostri
comportamenti che rendono possibile l’insorgenza delle pandemie, che creano le
condizioni perché virus normalmente silenti si virulentino diventando
aggressivi per l’uomo. La violenza perpetrata nei confronti della natura, gli
insulti che quotidianamente vengono inferti all’ambiente sono la causa prima
dei nostri mali. Per usare le parole di Erri De Luca, la natura è “lo spazio
della nostra assenza”, l’ambiente è “lo spazio della nostra presenza”, è il
“luogo del nostro insediamento”. La conseguenza della pandemia è quello di
“interrompere l’effetto dell’attività umana”. L’effetto pausa rianima
l’ambiente. Per la terra, il cielo, l’acqua, è una tregua. La natura prima o
poi si vendica. Quei corpi inerti attaccati ad un respiratore, quei corpi
allineati dentro bare di un colore solo, a cui sono stati rubati la storia e
persino il nome, interpellano la nostra coscienza per le scelte scellerate che
abbiamo fatto in questi anni spensierati.
Sanità pubblica
E’ una ben magra soddisfazione – per chi, in tutti
questi anni, si è battuto, inascoltato, contro i tagli della spesa sanitaria –
ascoltare i tanti, forse troppi, che oggi gridano e si stracciano le vesti
contro lo scempio perpetrato a carico della sanità pubblica. Dove erano costoro
quando, in nome di un modernismo straccione e mercantile, si affermava una
concezione economicistica, meglio ragionieristica, del diritto alla salute,
finalizzata a tagliare le risorse, il personale, gli ospedali, i servizi
territoriali? Si è portata avanti una colossale operazione che, attraverso il
depotenziamento e la denigrazione sistematica della sanità pubblica, ha
destinato ingenti risorse a favore della sanità privata. La Sardegna non
è stata da meno. Anzi. Chi non ricorda le cosiddette “riforme” regionali
incentrate su una sorta di “dittatura” dei parametri e degli indici numerici:
percentuali, radici quadrate, zero virgola, curve gaussiane, che hanno finito
per fare strame dei bisogni e delle esigenze di salute dei cittadini. A niente
sono valse le sollecitazioni ad individuare nel territorio, nei servizi
territoriali, il nodo cruciale dell’organizzazione sanitaria sarda. Ed invece,
per tutta risposta abbiamo assistito alla testarda riproposizione di inutili e
dannose priorità che hanno portato ad un sensibile taglio dei posti letto, dei
reparti, dei servizi territoriali, dei punti nascita. Che dire poi delle scelte
operate da questa giunta regionale sardo-leghista. Prima ha pensato bene di
aumentare gli stanziamenti a favore delle case di cura private: cento milioni
di euro che sono andati ad aggiungersi ai sessanta già stanziati a favore del
Mater Olbia della Qatar Foundation. Ora, in piena emergenza coronavirus, la
decisione di riconoscere Centri Covid tre strutture private, tra cui il Mater Olbia.
Un regalo vergognoso che costerà alla Regione ingenti risorse. Soldi sottratti
alla sanità pubblica, sottratti a quei medici, infermieri, che quotidianamente
combattono, spesso a mani nude, nelle corsie degli ospedali, la pandemia. Come
se non bastasse ora si apprende che proprio il Mater si è rivelato per quello
che è: una scatola vuota, costosa quanto inutile. Non idoneo a svolgere questo
delicato compito a causa di gravi carenze tecniche, professionali e
strutturali. Tanto che è stato necessario chiamare in soccorso “tre medici
militari e otto infermieri”. Ci sarebbe da ridere se non fosse una tragedia.
Scienza
Tra tutte le conseguenze terribili che il Covid-19 ha
determinato – sulla salute, sull’economia, sulle nostre abitudini – ne ha avuto
almeno una positiva. E’ diventato l’angelo sterminatore di tutte quelle
cialtronerie che ci sono state propinate sulla sfiducia nei confronti della
scienza, sulla criminalizzazione della competenza e del merito, sulla
delegittimazione della medicina e degli operatori sanitari. In questi anni, si
è assistito ad un vero e proprio elogio della incompetenza. Anzi, il sapere
aveva smesso di essere una qualità. In molti avevano dimenticato il valore
della scienza. La verità scientifica era stata sottomessa al giudizio degli
incompetenti. Questo è avvenuto per i vaccini, per gli eventi climatici, per la
politica, per l’economia. La fondatezza aveva smesso di viaggiare sulle spalle
robuste della scienza ed aveva iniziato a fluttuare su quelle infide e
sdrucciolevoli dei social. Oggi tutti ad esaltare il valore insostituibile
della scienza, della ricerca, della competenza. Tutti a lodare l’impegno, il
sacrificio degli operatori sanitari. Tutti a recriminare sulla azione
distruttiva portata avanti nei confronti della sanità pubblica. Questo
ravvedimento però non bisogna darlo per scontato, per acquisito una volta per
tutte. Già iniziano i distinguo. Già si sentono i primi “se” e i primi “ma”.
Già iniziano a riprendere fiato gli intossicatori di menti fragili: i teorici del
complotto, i terrapiattisti, i no vax, e compagnia cantante. Già qualcuno
avanza dubbi e remore sul Servizio Sanitario Nazionale. Altri iniziano a dire
che poi questi operatori sanitari tanto eroi non sono. Insomma, sembra di
assistere a qualcosa di già visto e sentito.
L’etica e la morale
Il lutto più profondo può diventare l’opportunità di
un nuovo inizio. Ma, al tempo del Covid-19, non vuol dire che la ripartenza
possa assomigliare a quello che abbiamo conosciuto. Anzi. Prendiamo la paura.
Una sensazione di pericolo per qualcosa che minaccia la nostra esistenza. Gli
apprendisti stregoni, per anni, hanno agitato la paura del diverso: per colore
della pelle, per cultura, per credo religioso, per preferenze sessuali. Oggi,
la paura del contagio si è sostituita alla paura del diverso. Il pericolo non è
costituito da chi viene dal mare, ma, paradossalmente, da chi ci sta accanto.
Il nostro vicino è diventato un pericolo, una minaccia. Le due paure hanno poi
finito per sovrapporsi: la paura della malattia, dell’ignoto, del contagio e
quella per lo sconosciuto, il diverso. E qui abbiamo assistito ad una nemesi
che ha del sorprendente. Qualcuno, per anni, ha teorizzato la necessità di
segregare il diverso in campi di “concentramento”, lontano dai nostri occhi. Oggi,
il Covid-19 ci ha segregato nelle nostre abitazioni. Forse la reclusione, la
quarantena, finirà per sviluppare la solidarietà, la coesione, il senso di
comunità, ma non lo darei per scontato. Di sicuro dovremo imparare a convivere
con il virus e con una buona dose di cinismo e di angoscia. Saremo sempre più
spesso costretti a scegliere tra quelli da salvare e quelli che dovremo
perdere, tra coloro da mettere in salvo e chi dovremo abbandonare al suo
destino. La sopravvivenza non sarà più assicurata a tutti. Gli anziani, gli
affetti da patologie cardio vascolari, dal diabete, da altre comorbilità,
saranno sacrificati a favore dei giovani e sani. Una terribile selezione
naturale, una realizzazione dei più crudeli principi dell’eugenetica. Una
società civile, democratica, non può accettare una cosa simile. Il medico non
può essere messo nella condizione di dover scegliere tra due vite umane.
L’etica medica esclude che una vita umana possa essere messa in
contrapposizione ad un’altra. Il medico deve rispondere solo alla propria
coscienza. I principi costituzionali devono essere il nostro faro. La verità è
che questo tempo crudele ci porrà sempre più di fronte a scelte terribili a cui
sarà difficile rispondere con i normali principi etici, morali, costituzionali,
di civiltà. Sapremo ancora essere umani, solidali, caritatevoli, giusti?
I servizi territoriali della salute
Uno degli insegnamenti che si può trarre dalla lotta
alla pandemia è che il Covid-19 si può contrastare efficacemente attraverso una
adeguata rete di servizi territoriali per la salute ed un appropriato numero di
posti letto di terapia intensiva. L’esempio della Germania è il più eclatante.
Una magra soddisfazione per chi, in tutti questi anni, ha sostenuto che il nodo
irrisolto della nostra organizzazione sanitaria è il territorio. La priorità
era, ed è, portare i servizi per la salute là dove vivono i cittadini, sul
territorio appunto. Ed invece si è perso tempo e denaro in operazioni di
ingegneria organizzativa tanto inutili quanto costose. Prima la ASL unica ed
ora il ritorno alle otto ASL; poi la razionalizzazione della rete ospedaliera
ed ora la creazione di nuovi ospedali. Ad avere il sopravvento è stata la
propaganda, la demagogia. Al centro di questi disegni non vi sono i bisogni
salute dei cittadini, ma una concezione ragionieristica della salute: la
volontà di tagliare la spesa sanitaria pubblica a tutto vantaggio di quella
privata. Senza contare che un’adeguata rete di servizi filtro territoriali è
funzionale agli stessi ospedali, cui verrebbe risparmiata quella inutile
routine che finisce per ingolfarli ed impedirgli di svolgere la loro funzione
prioritaria: luoghi della diagnosi e della terapia più fine e sofisticata.
Bisogna ripensare la nostra organizzazione sanitaria, anche alla luce della
recente pandemia. Due sono le priorità. Una, la creazione di una rete di
servizi territoriali della salute; l’altra un sistema ospedaliero incentrato su
alcune alte specializzazioni e una serie di ospedali a struttura modulare,
dotati di un congruo numero di posti letto di terapia intensiva, capaci di
adattarsi velocemente a quelle che, con sempre maggiore frequenza, saranno le
future pandemie.
Ricordiamocelo, quando tutto questo sarà finito.
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