“La fine della guerra era nell’aria come una
speranza. Avevamo svuotato tutti e due gli stagni di Buštěhrad e avevano
mangiato le carpe…”.
Un’ode alla
pesca, alle carpe, a suo padre. Nei due grandiosi romanzi di Ota Pavel, La morte dei caprioli belli (1971) e Come ho incontrato i pesci (postumo, 1974) si ritrovano valori, sfortune e
semplicità disarmanti capaci di farti scollare dalla scomoda realtà.
Ota Pavel,
ebreo cecoslovacco, si trasferì con la famiglia a Buštěhrad, un paese vicino
Praga. Il padre, commesso viaggiatore, diventa da subito l’eroe preferito del
giovane, anche se la guerra lo porta nei campi di concentramento di Mauthausen
e Auschwitz, insieme ai due fratelli.
“Pesca pure
ma non prenderai mai niente. Ci sono solo boccaloni. Non arrivano neanche alla
misura di un dito mignolo e non li mangerebbe neanche la mia gatta Lucie…”.
L’ossessione
della pesca e l’ammirazione per il padre e per lo zio, a sua detta i
più grandi pescatori del mondo, lo portano a scrivere due novelle
singolari, divertenti e purtroppo ingiustamente dimenticate. “…Lo zio aveva dei bei
baffi come quelli dei dragoni, una voce sonora, e anche una bella figura.
Sapeva fare qualunque cosa al mondo. Arare, seminare, mungere le vacche,
cucinare le patate alla carbonara, traghettare con la piena, cacciare
caprioli…”.
Pavel, dopo
la guerra, si guadagna da vivere come cronista sportivo. Siamo nel 1949. Da
giovane ha praticato l’hockey sul ghiaccio nella squadra giovanile dello Sparta Praga e il
calcio nella S.K. Buštěhrad.
Verso la
metà degli anni Sessanta appaiono i primi segni di una malattia che lo
costringerà ad una lunga serie di ricoveri. Da lì però comincerà il periodo
fecondo dell’autore e la narrativa prenderà il sopravvento sulla cronaca
sportiva e la saggistica.
“Il
signor Stehlìk diede l’ordine di attaccare. Un pescatore suonò una trombetta
dorata e cominciarono a tirar su. La rete si incurvò in un grande arco e i
sugheri si mossero come paperelle sulla superficie dell’acqua…”.
Nella
scrittura di Pavel c’è la visione folle dell’infanzia applicata alla
realtà dell’epoca. Carpe e caprioli che sembrano sogni, le gesta sfortunate e ridicole
del padre come atti rivoluzionari ed eroici, i ricordi anonimi che prendono
pieghe inaspettate. Come una poesia perpetua, decisa a non smettere mai. “E
avevo cominciato a piangere, fedele al principio che il
pianto è bello quanto il riso. Aveva tagliato in due il limone
spagnolo e l’aveva annusato come si annusa una rosa… alla fine avevo deciso per
le anguille. Erano rimaste lì a lungo e nessuno ci faceva vaso. La carne
se n’era andata ed erano rimaste solo le teste e la pelle, che dondolavano nel
vento come impiccati ogni volta che si apriva la legnaia…”.
Ota Pavel, afflitto dal disturbo bipolare, morì d’infarto a soli quarantadue anni. Poco dopo aver concluso questi due romanzi e aver pubblicato una serie di manuali sportivi e raccolte di racconti brevi. L’hanno sepolto accanto al padre, pescatore e suo eroe personale, nel nuovo cimitero di Praga.
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