1.
Alcuni non credono affatto che l’assurda
pretesa di Trump di aver vinto le elezioni presidenziali sia effetto di qualche
squilibrio mentale, di un ottuso rifiuto della realtà come in tanti
negazionismi (Trump nega anche l’importanza dell’epidemia da coronavirus).
Anche perché gran parte dell’establishment republican – che
non è una banda di psicotici, si presume – ha sostenuto il suo rifiuto di
fare concession, come si dice in America, cioè di ammettere
sportivamente la sconfitta. Costoro dicono che dietro il comportamento in
apparenza quasi-delirante di Trump ci sia invece un abile calcolo politico e
personale. Ovvero, Trump vorrebbe “contrattare” la sua partenza dalla Casa
Bianca, chiedendo a Biden assicurazioni sulla propria immunità penale, dato che
il suo ritorno allo status di comune cittadino farebbe scattare una serie di
incriminazioni e processi per quel che fece in passato… E che comunque Trump,
anche in questo rifiuto di aver perso, asseconda gli istinti dei suoi elettori,
tutti accomunati da varie negazioni della realtà: quella del riscaldamento
globale, della pandemia, della globalizzazione, dell’inevitabilità
dell’immigrazione…. Non ultima possibilità, il progetto di un colpo di stato,
della guerra civile, contro un’America liberal identificata al
bolscevismo.
Questa tesi sull’”astuzia di Trump”
nasce da un presupposto che sembra del tutto verosimile: che se un politico è
giunto al massimo del potere in un paese colto e potente, non può essere né uno
stupido né un pazzo. Anche quando sembra fare o dire cose stupide o pazze (come
faceva Berlusconi, ad esempio), si presuppone che ci sia in esse una sottile e
cinica logica politica. Del resto, queste “cose pazze” sono quelle che vuole
sentire il proprio elettorato, si dice. Credo però che la vita politica sia
molto più irrazionale di quanto non sia disposto ad ammettere chi
hegelianamente dà per scontato che “il reale è razionale”.
2.
Lo storico dell’arte Ranuccio Bianchi
Bandinelli, segretamente di idee comuniste, fu obbligato a fare da cicerone a
Hitler, venuto in visita in Italia nel maggio 1938. Il libro che descrive il
suo incontro con Hitler, Mussolini e altri gerarchi fascisti (Hitler e
Mussolini, 1938: il viaggio del Führer in Italia, E/O, 1995) è una
testimonianza rivelatrice.
Mussolini, commentando la parata navale
offerta a Hitler a Napoli per esibire la potenza italiana, disse che la Gran
Bretagna era invidiosa della forza della marina italiana, dato lo stato di
declino e di degrado del potere navale inglese… Bianchi Bandinelli, che pur non
era un esperto di cose militari ma una persona colta e intelligente, notò con
stupore quanto lo stesso Mussolini, sparando una sciocchezza del genere di
fronte al suo alleato, fosse lui stesso la prima vittima della propaganda
auto-compiaciuta del fascismo contro l’Inghilterra. Per Bianchi Bandinelli era
evidente che la marina britannica era superiore di gran lunga a quella
italiana. Eppure, se Mussolini lo disse con tanta sicumera a Hitler, ci doveva
certamente credere.
Hitler, che era stato un pittore
fallito, amava sinceramente l’arte. Bianchi Bandinelli fu colpito da quante
volte Hitler commentasse le bellezze artistiche che vedevano, a Roma e a
Firenze, dicendo “Ecco, se ci fossero i bolscevichi, tutto questo sarebbe
distrutto!”. Insomma, anche Hitler era stato convinto dalla propria propaganda:
che i bolscevichi distruggessero sistematicamente le opere d’arte antiche,
confondendoli probabilmente con i futuristi italiani come Marinetti (che
volevano davvero distruggerle, e che invece fiancheggiavano il regime
fascista). Eppure doveva sapere che l’Hermitage di Leningrado era aperto a
tutti. Hitler sembrava assolutamente convinto del fatto che i comunisti fossero
barbari distruttori di opere artistiche.
Percorrendo via Veneto, all’epoca la più
elegante strada romana, Hitler fu colpito dalla bellezza ed eleganza di alcune
donne italiane e disse, convinto, che il portamento delle italiane era
particolarmente raffinato perché erano abituate a portare cesti in testa. Che
le signore che passeggiavano per via Veneto fossero state contadine con panieri
in testa, come Hitler aveva probabilmente visto in qualche film folkloristico,
era evidentemente un’altra colossale stupidaggine. Il leader politico risultava
vittima di immagini turistiche di bassa lega.
Mussolini non si preoccupava molto
dell’entrata degli Stati Uniti in guerra e ripeteva che la forza militare
statunitense era di gran lunga sopravvalutata. Il giornalista Indro Montanelli,
che invece era una persona intelligente e viaggiava, disse allora ai suoi
amici: “Perché non mostrate a Mussolini l’elenco telefonico di New York?” La
sola vista di quell’elenco avrebbe persuaso quel fanfarone a non fare la guerra
agli US.
Di solito si pensa che Hitler fosse
intelligente ma pazzo, mentre Mussolini fosse solo stupido. Ma mi pare che tra
i due dittatori anche la stupidità fosse alquanto ben distribuita.
3.
Invece, la democrazia permette davvero –
come dicono i suoi agiografi – di scegliere i propri leader tra la gente
migliore, oppure premia spesso dei cialtroni? Forse non c’è una risposta
univoca. La democrazia sceglie delle volte il meglio, delle volte il peggio,
altre volte la mediocrità. In tanti pensiamo che, eleggendo Trump nel 2016, la
democrazia americana abbia scelto il peggio. Dopo Trump, la democrazia
americana ha perso gran parte del suo prestigio.
Di recente, in una trasmissione
televisiva italiana si diceva, tra le altre cose, che Trump sa bene del
riscaldamento globale e del ruolo che gli umani giocano in esso, ma lo nega per
demagogia, per giustificare la sua politica di sviluppo sfrenato dell’industria
americana senza preoccuparsi dell’ambiente.
Ma supporre in Trump la conoscenza della
verità e pensare che egli la neghi cinicamente giusto per vincere elezioni, è
un modo di sopravvalutarlo. Egli guarda unicamente Fox News, il canale
ultra-conservatore i cui notiziari sono infarciti di menzogne, manipolazioni
dei fatti o semplicemente di stupidaggini. Se Trump fosse un cinico calcolatore
intelligente, seguirebbe piuttosto le trasmissioni e la stampa serie, anche
se democrat, per informarsi e poter quindi elaborare col suo staff
menzogne per nascondere abilmente la verità alle plebi credule. Vedendo come
Trump parla e scrive, ho l’impressione che egli sia invece piuttosto come
Mussolini e Hitler: un cialtrone vittima per primo della propria stessa
propaganda. Ci scommetto che Trump sia il primo a credere che non esista
effetto serra, che un muro al confine col Messico sia un modo efficace di
evitare l’immigrazione, che l’Unione Europea sia una minaccia per gli Stati
Uniti, e che davvero abbia perso le elezioni del 2020 per i brogli dei
democrats… Non diversamente da come Mussolini e Hitler credevano alle
insulsaggini della propaganda nazista e fascista. Non credo che Trump sia un
cinico calcolatore che mente sapendo di mentire, purtroppo è in buona fede.
Credere che l’avversario politico sia
molto intelligente è un errore in cui cadono spesso gli intellettuali. Ci cadde
anche Bertolt Brecht, quando in La resistibile ascesa di Arturo Ui (1941)
descrisse i nazisti al potere come una banda di gangster italo-americani nel
racket dei cavolfiori. Credo invece che i grandi gangster fossero molto più
intelligenti – cioè disincantati – dei capi nazisti. Costoro credevano
veramente nei loro ideali deliranti: che ebrei e slavi fossero razze
inferiori, che c’era una cospirazione mondiale sionista, che i tedeschi fossero
una razza eletta (Hitler prese sul serio anche la ricerca del Sacro Graal…),
ecc. A differenza dei mafiosi americani, i nazisti avevano degli ideali.
Questi, spesso, producono più danni del semplice calcolo dell’utile personale.
4.
Proviamo a estendere il nostro
ragionamento. Non penso che demagoghi come Salvini, Trump, Le Pen, Boris
Johnson, Obrán o Bolsonaro siano davvero dei cinici calcolatori, che dicono
anche le cose più strampalate giusto per averne un ritorno in termini di voti.
Il leader politico disinformato, gradasso, crede davvero alle corbellerie che
racconta. La cosa terribile di tanti leader – anche di alcuni di sinistra– è
che sono spesso davvero sinceri. Davvero la pensano come i loro elettori.
Insomma, aveva torto Voltaire: quando
due preti si incontrano per strada, non scoppiano a ridere. Stessa cosa per due
fascisti che si incontrano per strada: non ridono.
Credo che non sia diverso con gli
animatori televisivi o radiofonici che guidano trasmissioni becere e
superficiali. Partecipai qualche volta a qualcuna di queste, e fui colpito da
quanto questi animatori fossero sinceri… Si può pensare che questi giornalisti
o intrattenitori si rendano perfettamente conto quanto siano cretine le cose
che raccontano e lasciano raccontare, e che lo facciano solo per alzare gli
indici di ascolto. Sono invece convinto che riescano a versare idiozie perché
anche loro ci credono. Non potrebbero fingere a lungo e in modo così
convincente.
Insomma, tendiamo a sopravvalutare
sapere e intelligenza dei nostri leader, anche quando li detestiamo. Invece il
loro livello intellettuale e culturale non è molto diverso da quello della
maggior parte dei loro simpatizzanti. È l’immagine che ho di quasi tutto lo
staff dirigente dei Cinque Stelle, per esempio, oggi principale partito di
governo: di incompetenti che a lungo (prima di confrontarsi con la realtà del
governare) hanno davvero creduto alla vuota demagogia che ha convinto, nel
2018, un elettore italiano su tre.
Vedo molti dei nostri leader attuali
come dei giovani sprovveduti che imparano l’ABC del governare man mano che
governano, scontrandosi con la prosaica realtà delle cose. Sembrano
pescivendoli alla Masaniello che devono rendersi conto, giorno dopo giorno, che
l’arte di governare non ha nulla a che vedere con le tirate di propaganda di
quando si è all’opposizione (Masaniello non ebbe il tempo di imparare, per cui
fu fatto fuori in pochi giorni).
5.
Ma allora, se tanti nostri leader sono
stupidi e ignoranti, come accade che le nostre nazioni non vadano a carte
quarantotto?
La verità è che, per lo più, le
decisioni politiche hanno una scarsa influenza – per fortuna – sul sistema
economico e sociale di un paese. Lo abbiamo ben visto in Spagna nel 2016: per
oltre un anno il paese è stato privo di un governo, eppure l’economia spagnola
non è andata mai tanto bene, oltre il 3% annuo di crescita. Un dato che
potrebbe dar ragione ai teorici del liberalismo radicale. Ogni paese è un
sistema che, forte o sgangherato che sia, ha i suoi automatismi, e in larga
parte fa a meno delle decisioni politiche. La società, l’economia, seguono il
loro corso, la politica incide poco su di esse. Tranne in momenti chiaramente
catastrofici, quando gli automatismi non possono funzionare più: le crisi del
1929 e del 2008, le aggressioni naziste degli anni 1930, le epidemie come nel
2020… Allora la politica deve fare davvero scelte cruciali, gli automatismi
vanno spezzati. Ed è perciò che oggi il neo-liberalismo è in evidente declino:
in certi casi, la politica deve intervenire.
Per il resto, i politici al governo si
concentrano spesso su questioni irrilevanti, ma che hanno un grande impatto
emotivo e mediatico: se costruire o meno la TAV, se emanare leggi che
proteggano di più chi spari sui ladri, se far restituire ai parlamentari parte
del loro stipendio, se ridurre il numero dei parlamentari, se eliminare auto
blu, quali dirigenti della RAI scegliere… Tutte questioni che non incidono per
nulla sul funzionamento reale della società, ma che sono totem del dibattito
politico. Puri vessilli, bandiere, assiomi per cui battersi fino all’ultimo
sangue.
Eppure alcune decisioni politiche
possono avere effetti catastrofici, come ben sappiamo. La stupidità paranoica
di Mussolini e Hitler portò alla guerra mondiale, alla loro stessa fine. Nel
2011, far fuori Gheddafi senza cercare di governare il processo di
ricostruzione della Libia fu un grande errore delle potenze occidentali (anche
se un errore ispirato dalle migliori intenzioni politicamente corrette: non
condizionare “da colonialisti” il destino della Libia, non interferire nella
sua autonomia…) Ma le scelte sciocche dei nostri politici sono, di solito, di
più modeste dimensioni: spesso più demagogia che vere riforme. C’è poi dietro
di loro un esercito di tecnici navigati che limano le scempiaggini decise dai
politici e le riportano a dimensioni più accettabili. Insomma, il sistema-paese
resiste ai fuochi artificiali dei politici andando avanti per la propria
strada; o andando indietro per la propria strada. La politica reale è –
talvolta per fortuna, talvolta per sfortuna – alquanto indipendente dalla
politica mediatica. È l’ambiguità della mediocrità dei politici: da una parte
le loro scelte non risultano così dannose perché si concentrano su iniziative
di pura facciata che non cambiano veramente il sistema, dall’altra invece
alcune scelte possono davvero rivelarsi deleterie.
La stupidità e l’ignoranza di tanti
leader, eletti proprio perché stupidi e ignoranti, sono quindi a doppia faccia:
la stupidità può portare o a immani catastrofi, oppure essa lascia esattamente
le cose così come stanno.
6.
Correlata a questa sopravvalutazione del
sapere e dell’intelligenza dei politici è la teoria – che oggi in Italia viene
evocata sempre meno – della “stanza dei bottoni”. Se si giunge al potere, si
entra nella misteriosa stanza dei bottoni. Un tempo si diceva: si conquista il
Palazzo d’Inverno (a San Pietroburgo).
Personalmente non ho mai avuto il
piacere di entrare in qualche stanza dei bottoni, ma ho frequentato a lungo
persone che nella stanza sembravano starci. All’inizio degli anni 1980 entrai
nella redazione di una rivista politico-culturale all’epoca molto prestigiosa,
“Mondoperaio”, mensile del partito socialista diretto da Federico Coen. Fra le
altre cose “Mondoperaio” aveva lanciato negli anni 70 la figura di Norberto
Bobbio, e annoverava ottimi collaboratori. Ma soprattutto era organo di un
partito di governo. Mi dissi: “Non è che così entrerò nella stanza dei bottoni.
Ma certamente capirò finalmente molte cose della politica italiana, e non solo,
che da comune mortale che legge i quotidiani non posso capire”. Dopo un po’, mi
resi conto che in quella redazione, e in generale nell’élite intellettuale
socialista, non si sapeva nulla di più di quel che sapevo io leggendo dei buoni
quotidiani e settimanali. Nessun segreto fondamentale emerse in quei più di
dieci anni in cui fui redattore di “Mondoperaio”.
Certo, c’erano alcuni traffichini che
facevano gossip, che sapevano se Craxi aveva attualmente un’amante o meno, o
quanto piacesse bere al ministro de Michelis. Ma non ebbi mai quelle “chiavi”
che mi aspettavo di avere per il solo fatto di bazzicare il palazzo del Potere.
E non le ebbi perché non c’erano. Del resto, è quel che disse anche Pietro
Nenni, per tanti anni segretario del partito socialista all’opposizione. Quando
entrò nel governo di Centro Sinistra nel 1963 come vicepresidente del
consiglio, si disse “Finalmente sono nella stanza dei bottoni!” Ma ben presto
si rese conto, e lo scrisse, che la stanza dei bottoni non esisteva. È una
fantasia di chi è lontano dal Palazzo, è l’embrione di ogni complottismo. I
politici, i leader, si arrabattano non meno di quanto facciamo noi che seguiamo
un po’ di politica. Anche loro mi sembravano preda di pregiudizi, partiti
presi, chiavi interpretative precostituite, valutazioni generiche o cliché
sulla realtà…. Questi politici e leader erano insomma dei poveracci come noi.
Certo conoscono tratti personali dei loro avversari che possono essere loro
utili quando si tratta di negoziare, a loro la lotta politica appare quasi
sempre scontro tra persone. Ma conoscono molto poco la società che devono
governare. Quando fanno delle buone analisi, sono analisi che potrebbe fare
chiunque segua un po’ la stampa che conta.
Lo abbiamo verificato poi a livello
planetario con Wikileaks. Mi si citi una sola informazione uscita fuori da
Wikileaks che abbia cambiato il nostro modo di vedere un paese o una fase
storica! Gran parte erano riassunti informativi che servivano ai politici per
avere il quadro di un paese. Ma per chi viveva in quel paese si trattava di
banalità, di cose risapute. I Grandi della Terra non ne sanno molto più di noi.
7.
Per finire. Se la stanza dei bottoni non
esiste, anche il potere di Trump è stato esso stesso, nel fondo, inesistente.
Certo poteva e può spingere il bottone della bomba atomica, il che non è poco.
Non mi stupirebbe se, prima di andarsene, ordinasse un attacco atomico contro
l’Iran, da buon paranoico qual è. Allora bisogna sperare in un equivalente
americano del generale Dietrich von Choltitz, come nell’agosto 1944 a Parigi…
Il potere politico può distruggere intere città, ma di solito non
riesce a cambiare nulla. La stanza del bottone atomico non è il Palazzo
d’Inverno.
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