Il bisogno di date è nella natura dell’uomo. Così, prima di affrontare (e
affondare) nel mare, chiedo lumi a un caro amico che qualche anno fa ha dato
alle stampe per Panozzo Editore il libro Vivere a Rimini negli anni della Belle Époque. Lui si chiama
Davide Bagnaresi ed è docente a contratto in “Storia dei
consumi e delle imprese turistiche” all’Università di Bologna. Gli chiedo se è
sbagliato identificare la fine della Belle Époque con la data dal 15 aprile
1912. “Meglio la Prima Guerra Mondiale. Dopo l’affondamento del Titanic,
l’economia mondiale continua a crescere” mi risponde. E aggiunge, poco dopo:
“Il Titanic come preludio al simbolo del naufragio della società”. Sibillino,
ermetico, stimolante.
*
Poeticamente e sociologicamente quindi con il Titanic che è colato a picco
si è chiusa l’epoca bella. A Rimini, sino allo scoppio della Prima Guerra
Mondiale, comparvero nuove industrie con innovativi macchinari mentre
importanti imprenditori iniziarono esportare i propri prodotti in buona parte
d’Italia. Arrivò l’elettricità, il telefono e si videro le prime automobili.
Rifiorì la cultura e grandi personaggi dello spettacolo, del circo e
dell’intrattenimento (su tutti Buffalo Bill e Arthur Strohschneider) passarono
sotto l’Arco d’Augusto o sopra il ponte di Tiberio, così come alcune corse
ciclistiche, automobilistiche e raid aerei.
*
Bufalo Bill (con una effe sola) e il Titanic.
Sono partito dal basso seguendo la traccia di un nome, quello di Francesco De
Gregori, per poi risalire alla sorgente, come fanno certi pesci. Le trote, per
essere precisi, che vanno controcorrente per riprodursi.
*
La fine del Titanic è un’opera poco conosciuta di Hans Magnus
Enzensberger: è composta da 33 canzoni (come i canti di ogni
singola Commedia di Alighieri) alternate a 16 poesie. Me l’ha
suggerita, credo 20 anni fa, proprio Davide. Apprezza Francesco De Gregori e ai
tempi mostrava già in segni di quella “malattia” che l’ha portato a diventare
un apprezzato ricercatore storico: di recente ha scoperto dove si trova in
realtà la vera casa natia del Maestro Federico Fellini.
*
Nel 2013 ho intervistato lo straordinario Gianmaria Testa. Assieme a
Giuseppe Battiston stava portando il giro lo spettacolo Italy,
dedicato agli emigrati che partivano per l’America a cercare fortuna. Gli
chiesi anche dell’album. “Francesco De Gregori, in ‘Titanic’, evidenzia
le differenti partenze: prima classe, seconda classe, terza classe. Sono storie
di emigrati, di poveri cristi. Gli stessi che oggi muoiono nei barconi, nei
viaggi della speranza. Il Titanic è stato baciato da un iceberg: l’evento del
1912 fu unico. Oggi invece i morti sui motoscafi sono la quotidianità. Ogni
volta che qualcuno muore, credo che dovrebbe essere proclamato il lutto
nazionale”.
*
Il nome di Hans Magnus Enzensberger non è del tutto sconosciuto in
Italia: Nanni Moretti in Caro diario lo cita come modello di
intellettuale che rifiuta di assoggettarsi al mezzo televisivo. Nel 1978 decide
di scrivere un libro sulla fine della Nave. Già, ma come farlo in maniera
innovativa visto che nel 1912, a pochi giorni dalla tragedia, Thomas Hardy
aveva pubblicato The Convergence of
the Twain? Sezionando il tempo e lo spazio in tre filoni: il
punto di vista dei passeggeri (quindi il passato remoto rivisto nel presente),
quello dello scrittore mentre è a Berlino che butta giù le prime idee del testo
(quindi il presente vissuto nel presente storico) e quello di lui a Cuba negli
anni Sessanta quando, andato a passeggiare sulla spiaggia, all’orizzonte vede
stagliarsi un iceberg, lo stesso che inabissò il transatlantico (quindi un
passato prossimo che tende al passato remoto). Hans lancia lo sguardo oltre il
muretto del porto. “È lì che lo vidi, molto più grande e più bianco del bianco,
fuori, al largo, lo vidi solo io e nessun altro, nella rada buia, la notte era
limpida e il mare nero e liscio come uno specchio, e lì vidi l’iceberg,
assurdamente alto e freddo, come una fredda Fata Morgana, avanzare
lento, inesorabile, bianco, su di me”.
*
Anche De Gregori ha sezionato la tragedia in tre parti. Tre i punti di
vista: quello dei viaggiatori, a loro volta suddivisi in tre classi (“La prima
classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento”). Tutti
con lo stesso obiettivo: andare a cercarsi negli States una vita da vivere più
felice. In Titanic troviamo i sogni diversi. Quelli delle
rampollette ricche sfondate che vanno a divertirsi e a emanciparsi (“per noi
ragazze di prima classe che per non sposarci si va in America”) e quelli dei
giovani che hanno abbondonato la propria terra per sopravvivere (“Per noi
ragazzi di terza classe che per non morire si va in America”).
L’iceberg rese tutti uguali. E fu una ragazza benestante a vederlo
prima di tutti. Ma non nel mare: nel viso del marconista e dei suoi “occhi di
ghiaccio / così difficili da evitare”. La parola sublimata e congelata appare
altre due volte: “Il ghiaccio dentro al bicchiere” e “il ghiaccio che abbiamo
nel cuore”. Lo stesso, quello che poi si è materializzato nel mare. De
Gregori affida a un semplice mozzo di bordo la descrizione più bella
dell’iceberg. Lo fa nel brano I muscoli del Capitano, ed è una
pennellata simbolista. Il marinaio dà del tu al Edward John Smith: “Ma
capitano non te lo volevo dire/ ma c’è in mezzo al mare una donna bianca / così
enorme, alla luce delle stelle / che di guardarla uno non si stanca”. L’iceberg
come una sirena: il suo canto però non è sonoro ma visivo. Il Capitano invece
dà del lei al ragazzo: “Giovanotto, io non vedo niente / c’è solo un po’ di
nebbia / che annuncia il sole / andiamo avanti tranquillamente”.
*
Dalle testimonianze dei superstiti, in prima classe l’impatto non fu
avvertito se non per un tintinnio dei lampadari di cristallo e per alcuni
oggetti che caddero dai comodini. I passeggeri di seconda classe parlarono di
“una vibrazione ovattata, strana e breve”. Fu “un botto sordo” per chi
viaggiava in terza classe. “Un rumore assordante di ferraglia” dissero i
fuochisti, i primi che si resero conto dello sventramento dello scafo.
*
De Gregori fa partire il viaggio da Southampton con L’abbigliamento
di un fuochista – nitidi sono i riferimenti ad America di
Franz Kafka: il fuochista è esattamente il primo personaggio che viene
raccontato –, il testo più amaro e doloroso: un figlio che parte, una madre che
piange perché sa che non lo rivedrà mai più. “Figlio che avevi tutto e
che non ti mancava niente / e andrai a confondere la tua faccia con la faccia
dell’altra gente / e che ti sposerai probabilmente in un bordello americano / e
avrai dei figli da una donna strana / e che non parlano l’italiano”. Accusa
e si aggrappa alle fattezze indefinite di una donnaccia americana per mentire a
se stessa. E poco importa se è bianca: iceberg non è una parola italiana ma
anglofona.
*
Nella stesura del suo libro Enzensberger, come ha ammesso, si è fatto
trasportare e suggestionare dalla Divina Commedia di Dante. A
bordo sono le undici e quaranta. “La pelle d’acciaio / si spalanca
sott’acqua / squarciata / per duecento metri / da un impensabile coltello /
l’acqua schizza nella chiglia. / Oltre il lucente scafo, scivola trenta metri a
strapiombo / sul livello del mare, nero / e silenzioso l’iceberg,/ e resta
indietro nell’oscurità”. Uno scricchiolio. Uno scalpiccio. Uno squarcio. Ecco
cos’è. Un’unghia di ferro, che contro la porta gratta e si arresta. Qualcosa si
squarcia. Un interminabile telone, un’immacolata striscia di schermo, che prima
lenta, poi rapida, sempre più rapida e sibilante si squarcia in due. Poi tutto
torna tranquillo. Così fu il principio. Il principio della fine è sempre
discreto.
*
I versi sulla perdita del Titanic di Thomas Hardy diventano verticale
nell’imminenza della collisione e su quello che accadde dopo. “Preparava
uno sposo sinistro / per lei – così allegramente grande – / una Forma
di Ghiaccio, ancora lontana e separata. / E mentre l’elegante nave cresceva /
in statura, grazia e colore, / nel silenzio oscuro cresceva lontano anche
l’iceberg”. Il Titanic e l’iceberg sono un giuramento degli
abissi. Due predestinati che convergono. E che si sono cercati, contando gli
attimi e la schiuma delle onde che li separava dal bacio assoluto. Il poeta
Iosif Brodskij, con acume illimitato, fa immaginare al lettore che l’Orgoglio
della Vita, la nave, e Forma di Ghiaccio, l’iceberg, siano una coppia di sposi
promessi che ha scelto il fondale per diventare una parola unica: amore.
*
Nel 1912 Thomas Mann esce con Morte a Venezia. Anche in quelle
pagine c’è il mare e la perdita degli affetti. Chiudere gli
occhi nella Serenissima, sperando che quello che c’è dopo sia più lieve.
*
La terza classe non conosceva alcuna lingua diversa da quella madre. E non
sempre bene: c’erano i dialetti. Una sola cosa però non gliela doveva spiegare
nessuno, a quel popolo di senza cognome che cercava un nome, anche nuovi, anche
americanizzato. E cioè che toccava alla prima classe provare a salvarsi perché
avevano pagato di più e le loro vite erano più preziose. Perché quando una
banca si inabissa, non c’è mai abbastanza spazio per tutti nelle scialuppe. E
nemmeno le scarpe, il latte, un vestito asciutto.
*
Non ho visto il film Titanic. Forse è per questo che ho letto
Hardy ed Enzensberger. Leggere è un muscolo da allenare. Anche per
mettersi in salvo, o per imparare a nuotare. Non tanto in mare. Nella vita.
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