Chi ha di più paghi di più - Francesco Gesualdi
Dagli esperti sono definiti HWI, High Wealth Individuals, ma più popolarmente possiamo chiamarli milionari. Sono tutti quelli con un patrimonio superiore a un milione di dollari: all’incirca 52 milioni di individui a livello mondiale. Almeno così dice il Credit Suisse.
Ma 513mila fra essi hanno una ricchezza addirittura superiore ai
30 milioni di dollari e sono definiti ultramilionari, in sigla UHWI. In
Italia i milionari superano il milione e mezzo mentre gli ultramilionari sono
quasi undicimila.
Ventuno di essi compaiono addirittura nella lista dei miliardari stilata da
Forbes e posseggono, cumulativamente, lo stesso patrimonio posseduto
dal 20,3% della popolazione italiana. Quella più povera composta da
oltre 12 milioni di individui.
Le differenze fra ricchi e poveri sono diventate così scandalose in ogni
parte del mondo, da indurre perfino un’istituzione come il Fondo Monetario
Internazionale ad annoverare l’iniqua distribuzione della ricchezza fra
le massime priorità da risolvere.
E non tanto per senso morale, quanto per la stabilità del sistema. Una
ricchezza mal distribuita oltre a provocare tensione sociale che si ripercuote
negativamente sulle relazioni industriali, rallenta i consumi e di conseguenza
l’intero sistema produttivo.
Per ammissione generale uno degli ambiti che negli ultimi decenni ha
contribuito in maniera determinante ad aggravare le disuguaglianze è il sistema
fiscale. Per dirne una, nei paesi OCSE l’aliquota sui redditi
d’impresa è scesa da una media del 32,5% nel 2000 al 23,9% nel 2018.
Così pure si è assistito ovunque a una riduzione delle aliquote sui redditi
più alti delle persone fisiche. In Italia ad esempio gli scaglioni sono passati
da trentadue, nel 1974, ai cinque odierni, con l’ultima aliquota al 43% oltre i
75.000 euro, mentre nel 1974 arrivava al 72% oltre i 258.000 euro.
Allo stesso modo si è assistito ovunque ad un alleggerimento sulle tasse di
successione, nonostante Picketty ritenga che la trasmissione
della ricchezza per via ereditaria sia uno dei meccanismi portanti
dell’allargarsi delle disuguaglianze.
E per finire la demolizione della patrimoniale. Negli anni novanta del
secolo scorso una dozzina di paesi europei disponeva di un sistema di
tassazione complessiva della ricchezza delle famiglie.
Oggi ce l’hanno solo in tre: Spagna, Norvegia, Svizzera.
L’Italia non compare fra i paesi dotati di una patrimoniale complessiva,
eppure la CGIA di Mestre sostiene che le imposte sul patrimonio procurano allo
stato un gettito di circa 45 miliardi di euro, pari al 5% del suo gettito
tributario.
In effetti in Italia esistono varie imposte, quali Imu, Tasi, bollo auto,
imposta di bollo, che colpiscono la ricchezza delle famiglie detenuta sotto
forma di case, autoveicoli, depositi bancari, pacchetti azionari.
Ma si tratta di imposte spezzettate, spesso ad aliquota fissa, su voci
trattate singolarmente. Ciò che manca è l’obbligo di
dichiarazione cumulativa dei patrimoni con una tassazione sull’insieme della
ricchezza netta posseduta, ossia depurata dai debiti.
Unica via che consente di avere un panorama completo dello status economico
di ogni individuo o famiglia e quindi di applicare una contribuzione
progressiva come prevede la nostra Costituzione.
Accortezza che invece hanno Norvegia, Svizzera e Spagna, benché
adottino ciascuno metodi di tassazione diversificati. La Norvegia ad
esempio applica un’aliquota fissa dello 0,85% sul patrimonio complessivo che
oltrepassa i 150.000 euro, con lo 0,7% che va agli enti locali e lo 0,15 allo
stato centrale.
In Svizzera, invece, l’imposta patrimoniale è cantonale, con forme e
aliquote differenziate da cantone a cantone. In Spagna l’imposta sul patrimonio
è progressiva e va dallo 0,2% a partire da 167.000 euro fino al 2,5% oltre 10
milioni e mezzo di euro, con possibilità di modifiche da parte delle Autonomie
regionali.
Ed è stata proprio una recente iniziativa del governo spagnolo a
riaccendere il dibattito sulla patrimoniale in Italia. Prendendo spunto dalla
decisione del governo Sanchez di innalzare di un punto percentuale
l’aliquota oltre i 10 milioni di euro, alcuni parlamentari di Leu e del
PD hanno deciso di forzare la mano per introdurre anche in Italia
un’imposta complessiva sul patrimonio che assorba tutte le altre frammentate
per singole voci.
La via utilizzata è stata la presentazione di un emendamento alla prossima
manovra finanziaria, tramite il quale si propone l’introduzione di quattro
scaglioni d’imposta. Partendo da un’aliquota dello 0,2% su un patrimonio
complessivo di 500mila euro, si sale allo 0,5%
quando si raggiunge il milione di euro, per andare all’1% sopra i 5 milioni e
finire al 2% oltre i 50 milioni.
Una proposta piuttosto modesta rispetto a quella spagnola, ma sufficiente
per gettare nel panico gran parte dello schieramento politico e del mondo
economico.
Ma ormai perfino la Banca Mondiale sostiene la necessità della
patrimoniale, mentre i ricchi stessi chiedono di essere tassati. Il 13 luglio
scorso 83 milionari di varie parti del mondo hanno scritto una lettera a Forbes
in cui implorano i governi di tassarli.
“L’impatto della pandemia durerà per decenni – essi scrivono. Potrebbe
spingere mezzo miliardo di persone in povertà. Centinaia di milioni di persone
perderanno il loro lavoro. Ormai c’è già un miliardo di bambini fuori dalla
scuola, molti di loro senza possibilità di ripresa. (…) I problemi
provocati dalla pandemia non possono essere risolti con la carità, non importa
quanto generosa. I capi di governo devono assumersi la responsabilità
di trovare i fondi che servono e usarli bene. (…) A differenza degli altri, noi
non dobbiamo preoccuparci del nostro lavoro, delle nostre case, del
sostentamento delle nostre famiglie. (…) Perciò per favore tassateci,
tassateci, tassateci. E’ la scelta giusta. E’ la sola scelta possibile.
L’umanità conta più del nostro denaro.”
Non ci resta che ascoltarli e attuare le loro suppliche.
È ora che paghino i ricchi - Marco Bersani
In attesa che la fondamentale discussione sull’apertura o meno dei campi da
sci trovi una conclusione consona alla statura politica e culturale del Paese,
è forse giunto il momento di spiegare a governo e classe politica che il
rilancio dell’economia – di questa economia – assomiglia alla ruota del
criceto, che, per quanti sforzi faccia, si ritrova costantemente al punto di
partenza.
Il fatto è che l’idea di essere tutt* sulla stessa barca fa acqua da tutte
le parti, e stare su un barcone o su uno yacht non sono solo due modi diversi
di viaggiare.
Governare significa scegliere da quale punto osservare il mondo, e la
pandemia obbliga a decidere se questo modello economico-sociale deve
proseguire, costringendo la gran parte della popolazione a scegliere oggi tra
reddito e salute e domani tra debito e diritti, o se è ora che si inverta
decisamente la rotta.
“È ora che paghino i ricchi”: quale parte di questa frase non è chiara a
governo e arco parlamentare? Proviamo a spiegarglielo con due esempi.
Per il primo, ci facciamo aiutare dal rapporto “The State of Tax
Justice 2020” redatto da Tax Justice Network, secondo il quale al
nostro Paese ogni anno viene sottratto -grazie alla libertà di movimento dei
capitali, ai paradisi fiscali e ai paesi a fiscalità agevolata- un valore di
10,5 miliardi di euro, che, per dare l’idea, garantirebbe la copertura
dello stipendio di 380.000 infermieri.
Vogliamo aprire un contenzioso forte dentro l’Europa per imporre che la
tassazione delle multinazionali sia legata a dove svolgono l’attività e non a
dove hanno collocato la sede legale?
Vogliamo dire che, finché non verrà attuata questa disposizione, non ci
sono vincoli finanziari che tengano, e si spende tutto quello che è necessario
per assumere medici e infermieri per la sanità pubblica e insegnanti e
personale per la scuola pubblica?
Per il secondo esempio, ci facciamo aiutare dallo studio 2019 del Boston
Consulting Group sulla ricchezza privata, secondo il quale in Italia le
persone “affluenti” (con un reddito tra i 200mila e il milione di euro) sono
1,5 milioni. Oltre a queste, 400.000 persone detengono oltre il milione di euro
e 36 di loro sono “Paperoni” che possiedono oltre il miliardo di euro.
Vogliamo applicare da subito una tassa patrimoniale progressiva, finendola
con la narrazione dello Stato che non può mettere le mani nelle tasche degli
italiani, essendo solo quelle dei ricchi sinora intonse?
In attesa, vogliamo applicare da subito un raddoppio dell’aliquota sulla
ricchezza finanziaria (circa 5mila miliardi) oggi tassata al 26%, ovvero meno
di un reddito da lavoro di 16.000 euro/anno?
E vogliamo riformare l’Iva, diminuendo quella sui beni di consumo e
aumentando esponenzialmente quella sui beni di lusso?
Abbiamo un sistema fiscale che ha perso dal 1974 la progressività stabilita
dalla Costituzione, aumentando le tasse per le fasce deboli della popolazione e
diminuendole drasticamente per i super ricchi: se avessimo mantenuto i criteri
di allora, oggi le aliquote Irpef andrebbero dal 12% all’86%, invece che avere
l’attuale vergognosa forbice che va dal 23% al 43%.
Un sistema fiscale che, dal 1974 ad oggi, ha comportato 146 miliardi in
meno di gettito, per ovviare al quale lo Stato è ricorso ai mercati finanziari,
accollandosi, in virtù degli interessi composti, quasi 300 miliardi di debito,
pari al 13% di tutto il debito accumulato (http://italia.cadtm.org/wp-content/uploads/2018/10/Fisco-Debito1-1.pdf).
Come si vede, i soldi ci sono, sono tanti e persino troppi. Il problema è
che sono tutti nelle mani sbagliate e vanno ricollocati per uscire
dall’economia del profitto e costruire la società della cura.
É venuto il momento di farlo capire con forza a chi continua a discutere solo di discese libere e di digestivo nella grolla a fine giornata.
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