Oggi cade un anniversario triste quanto significativo: i 25 anni dalla morte di Ken Saro Wiwa. Il poeta, scrittore, drammaturgo ma anche attivista nigeriano che fu giustiziato dalla sanguinaria dittatura di Sani Abacha a Port Harcourt il 10 novembre del 1995.
Wiwa era
“colpevole” di essere l’autore di pamphlet incendiari che denunciavano le
devastazioni inferte alla sua terra, il Delta del Niger, in nome del petrolio,
ma soprattutto di essere il portavoce delle rivendicazioni della propria etnia
Ogoni, maggioritaria nella regione, vessata dal governo e dal gigante
petrolifero Shell. Nel 1990 aveva fondato il Mosop (Movement for the survival
of the Ogoni people), che il 3 gennaio 1993 riuscì a portare per strada ben
300mila persone, che dichiararono la Shell persona non grata e
scacciarono in maniera pacifica il personale della compagnia impegnato nelle
attività estrattive.
Un vero
affronto per le élite politiche nigeriane, che fin dal boom del petrolio di
inizio anni Settanta avevano considerato i ricchissimi giacimenti del Delta del
Niger come una sorta di proprietà privata, da sfruttare a proprio piacimento.
La Shell e le altre compagnie petrolifere, compresa l’italiana Eni, furono
subito incoraggiate a “occupare” il Delta del Niger. Il tutto senza che spesso
le potenti corporation pagassero le dovute compensazioni ai
legittimi proprietari degli appezzamenti di terra, oppure provassero a mitigare
i micidiali impatti derivanti dalle loro attività, in primis
le continue
perdite di greggio che ancora oggi danneggiano le colture di sussistenza e
l’ecosistema della zona. Contadini e pescatori che per generazioni erano
riusciti a vivere in maniera dignitosa grazie alle abbondanti risorse del loro
territorio, una sorta di paradiso in terra, si ritrovavano a fare i conti con
un livello di inquinamento spropositato, come dimostra un accurato studio
dell’agenzia ambientale delle Nazioni Unite, pubblicato nel 2011.
Arrestato nel 1994, con l’accusa di aver incitato all’omicidio di quattro
presunti oppositori del Mosop, Ken Saro-Wiwa venne impiccato insieme ad altri
otto attivisti al termine di un processo farsa che suscitò forti proteste da
parte dell’opinione pubblica internazionale e delle organizzazioni per i
diritti umani. L’impianto accusatorio era basato unicamente sulla testimonianza
di alcune persone, che dopo l’esecuzione ritrattarono, confessando di essere
state costrette a dire il falso.
La morte di
Ken Saro Wiwa, o meglio il suo barbaro assassinio, scosse profondamente la
società civile globale, capace di lanciare la più grande campagna della storia
contro una multinazionale, la Shell. Una campagna di successo, se è vero che la
società anglo-olandese fu costretta ad abbandonare l’Ogoniland, sebbene non in
maniera definitiva.
Per noi di
Re:Common la memoria di Ken Saro è viva nelle migliaia di lotte in corso sul
Pianeta contro la maledizione dei combustibili fossili e contro lo sfruttamento
indiscriminato delle risorse naturali, a danno di interi territori e comunità.
La memoria
risuona ogni giorno nella richiesta di giustizia di centinaia di casi legali mossi contro le oil majors, dall’Ecuador, alla Nigeria, alle Filippine. Si
rafforza quando attivisti e società civile pretendono che i loro governi, che
spesso controllano in qualità di principali azionisti le grandi aziende
petrolifere – come nel caso italiano dell’Eni – smettano di essere succubi e
pongano fine al business distruttivo delle loro controllate. Oggi Ken Saro Wiwa
ci avrebbe detto che la sfida climatica è in primo luogo una battaglia di
giustizia e che ognuno in maniera non violenta deve scegliere da che parte
stare.
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