Mentre il tormentone sulle restrizioni-sì, restrizioni-no, Natale soli oppure in compagnia, shopping incoraggiato-shopping condannato e via dicendo, seguita ad occupare in modo ossessivo tutti gli spazi mediatici, il problema che aveva commosso oltre che indignato mezza Italia è finito nell’ombra. Sto parlando della triste morte riservata agli “ospiti” delle RSA, le case di riposo nelle quali non tanto l’età, quanto le strane misure legate alla Covid-19 hanno fatto strage.
Sono arrivate alle redazioni di vari giornali, o sono state affidate ai social,
lettere accorate di figli che non hanno mai abbandonato i propri genitori nelle
case di riposo ma che non hanno più avuto la possibilità di contattarli, e di
figli che hanno avuto notizia della loro morte come freddo atto burocratico.
Morti attribuite alla covid-19 e quindi cadaveri insaccati e bruciati come
rifiuti tossici. Punto e stop.
Alcune persone, nonostante il dolore provato, hanno indagato facendo orrende
scoperte sulle ultime settimane di vita dei propri cari, altre, che ancora
hanno i propri congiunti ricoverati, si sono unite alle prime chiedendo
alle autorità istituzionali che si prendano tutte le misure cautelative
possibili, ma che non si lascino morire di disperata solitudine vecchi uomini e
vecchie donne chiusi nell’isolamento imposto e vissuto come abbandono.
Tra le lettere colme di amore e di dolore ce n’è arrivata una che decidiamo
di pubblicare (col consenso di chi l’ha scritta) perché forse può aiutare a non
dimenticare che dietro il muro di silenzio, che si apre solo a comando, ci
sono ancora tante vite alle quali sarebbe possibile, e doveroso, consentire di
concludere il proprio viaggio terreno in serenità e non lasciarle
soltanto nelle mani frettolose di un personale – peraltro ridotto
di numero – indotto molto spesso a trattare come pacchi in attesa di
consegna quegli uomini e quelle donne “che hanno esaurito la loro fase
produttiva”.
Uomini e donne che in questa disumanizzazione della vecchiaia sono lasciati
morire come fiori recisi, buttati in un angolo in attesa che si secchino per
poi essere insaccati e gettati.
Quella che pubblichiamo è la lettera della figlia di un “ospite” di una RSA
che, avendo un appartamento piccolissimo ed essendo impossibilitata ad avere
una badante per la mamma gravemente invalida, credeva di aver scelto un
soggiorno sereno per sua madre, mentre negli ultimi nove mesi questo soggiorno
si è trasformato nella frustrante e dolorosa anticamera di una morte in
solitudine.
Prima di pubblicare la sua lettera l’abbiamo intervistata. Sappiamo che insieme
ad altri che hanno (o hanno perso) i propri cari nelle RSA, ha costituito un
comitato e le abbiamo chiesto cosa vorrebbe. Ecco la sua risposta:
“Vorrei che le istituzioni ci ascoltassero, che la dignità nella fase più
delicata della vita venisse prima di ogni cosa. Per non aver paura di
invecchiare, per non dover morire soli.
Vorrei dare giustizia almeno con le parole a mia madre, e a chi come lei vive
questo momento terribile. Non posso accettare che venga profanata la morte nel
suo senso profondo, che venga delegittimato il dolore e il diritto alla cura
affettiva.
Se avessi avuto una casa un po’ più grande, con una stanza calda per mia madre
e una persona per assisterla avrei potuto seguitare ad essere sua figlia e non
solo la sua infermiera, conservando il legame profondo che ci ha sempre unite
come madre e figlia.
Se non fossi stata povera avrei potuto affrontare diversamente la vecchiaia
e le malattie di mia madre. Ma la povertà non è una colpa. E
soprattutto non può essere una colpa da far pagare a chi è già fragile come
mia madre e le migliaia di persone “ospiti”, come lei, di case di riposo che
stanno diventando le celle della morte.”
Non le chiediamo altro. Ci auguriamo che le istituzioni ascoltino e anche
per questo pubblichiamo la sua lettera sperando che arrivi lontano e che sua
madre, al pari delle altre migliaia di “ospiti” delle RSA, possa tornare a
vivere serenamente l’ultima fase della sua vita.
Ecco la lettera.
“Forse mia madre morirà da sola?
Nove mesi di vita rubata, un furto d’amore che nessun virus potrà mai
giustificare. Una mistificazione della realtà a danno della nostra umanità e
identità di esseri umani. Perché se prima era una “sorpresa” ora è criminale
lasciarvi soli nei “giardini che nessuno sa” come recita una nota canzone,
giardini che sono diventati focolai, prigioni, casi noti in tv. dicono per
colpa di un virus…
Tutto fermo, nessuna attività, i reparti si sono improvvisamente svuotati di
familiari, volontari e con loro di colori, vestiti, profumi diversi. Ferme le
attività, sono in fuga gli educatori e gli infermieri. Nessuna carezza…non
possiamo toccarvi. Nessuna visita, non possiamo entrare. Nessuna preghiera,
anche le messe si sono fermate.
Nessuno vede più dentro le quattro mura della sofferenza.
Nove mesi di promesse, promesse di potersi riabbracciare presto e ancora,
promesse sbugiardate da un tempo che ci nega diritti umani, nega la capacità di
empatia, nega la solidarietà. Vorrei poter dire “noi restiamo insieme” Ma non è
così. Non si può dire ai tempi del covid che l’amore vince su tutto. Sono stati
dimenticati i principi cardine della medicina dove una mente sana aiuta il
corpo ad affrontare le avversità degli agenti esterni, che sempre sono esistiti
e mai cesseranno di farlo. Come fai a voler lottare contro ogni malattia se io
non sono con te? Come faremo nel futuro quando le mutazioni genetiche ci
renderanno esposti e fragili? ogni volta verremo forse separati per
sopravvivere in un mondo ormai culturalmente morto. Perché una società che ci
vede divisi e spaventati è già sconfitta e deceduta.
Nove mesi in cui non ho potuto stringerti la mano, e ti ho visto fragile,
spaventata, rassegnata, triste, forte, arresa, coraggiosa, abbandonata. Nove
mesi in cui mi hai aspettato tutti i giorni, mentre nella tua mente si sono
affollati pensieri cupi. La morte, la solitudine l’abbandono. Una vita che non
ti ha tutelato ne protetto da niente. Sei li, imprigionata in un corpo
invecchiato, che ingiustamente ti ha reso inferma ma presente più che mai.
Quando mi chiami amore mio, ci sei, quando mi dici che ti manco tu ci sei.
Quando mi hai guardato da quel vetro sporco e io a gridarti che ti amo
immensamente e tu a fare un sorriso triste…tu ci sei. Ci sei per me, per il mio
egoismo, forse, perché pretendo che tu resista. Tra mille dolori tu resista per
me, per abbracciarti ancora, Mamma.
Ho gridato, pianto, cercato tra le mille norme la nostra salvezza di madre e
figlia. Ma la legge tutela se stessa e il potere in tutte le sue infinte vie.
Né la vita né la legge ci ha aiutato a restare insieme, tantomeno a restare a
casa perché tu la casa non ce l’hai mamma. Perché la vita non dà mai in ugual
misura. E così mentre ascolto distrattamente le pubblicità sul natale, con le
immagini di vecchine con tanti soldi che abbracciano nipotini in case
stratosferiche dalle lucine accese e i toni caldi e accoglienti, io penso a te.
Te che sei a lottare dentro le quattro mura spoglie di un ospedale, di una rsa…
nessun albero, ne lucine. Muri bianchi, ferro, sbarre, finestre e odore di
pannoloni da cambiare. Stanza fredda come sono fredde le mani che ti toccano
per curarti. Mani che ti toccano, e che per te è dolore, non carezza. No non
somiglia a una carezza, non all’amore.
Tu che sei li ad aspettare che qualcuno ti dia l’acqua, ti riaccenda il
telefono per sentire la voce di quelle figlie che non riesci più a vedere. Che
hai paura di non riconoscere più. E non sai neanche quante lacrime, quanta
lotta quanto urla il mio cuore mentre sanguina perché non posso offrirti un
mondo diverso, non posso offrirti quella casa delle pubblicità e mentre mi dici
che vorresti parlare con me in una stanza…io muoio con te ogni giorno di più.
Non potrò mai perdonarmi per non aver potuto restituirti all’amore di
una casa tutta nostra. Non potrò mai perdonare l’indifferenza di chi non si ferma,
di chi non capisce, di chi non ci ascolta, di chi non lotta per restituire alla
nostra civiltà la dignità, l’empatia. Sentimenti che ci definiscono “esseri
umani”. Non potrò mai perdonare i troppi mesi di vita perduta allontanata da
te. Un destino che ti ha fatto a pezzi, che ci ha fatto a pezzi ma che ci rende
forti quel tanto che basta per continuare. Quel tanto che basta perché io possa
essere oggi la tua voce stanca e raccontare il tuo dolore. Dolore che ritrovo
nelle tue parole, nelle tue richieste quando mi chiedi di “staccarmi da te”
“figlia mia”…
Lo so è naturale la morte, ne sentiamo parlare ogni giorno ma resta un tabù, è
naturale ma qui non c’è niente di naturale mamma vorrei risponderti. E vorrei
dirti no, non puoi farlo ora, non cosi perché devo ancora stringerti le mani,
abbracciarti e amarti e dirtelo da vicino. Non ho potuto fare molto altro per
te, non posso promettere. Non posso offrirti quelle lucine colorate. Posso solo
chiederti di resistere tanto, per recuperare questo tempo assurdo.
La mia precarietà di lavoro e di esistenza diventa un torto per noi,
l’ennesimo che la vita e le istituzioni ci hanno imposto. Come la tua
reclusione in un istituto che doveva proteggerti, ma lo ha fatto solo
dall’amore che proviamo io te. Io e te madre e figlia con il diritto negato di
restare insieme. No, non siamo sole in questo calvario, siamo in tanti a
piangere, sfregiati da questa deriva sociale, che ci distanzia per il solo
fatto di non poterci o volerci curare. In attesa di qualche elisir di lunga
vita, in una continua propaganda commerciale e di terrore, noi schiacciati
siamo qui a lottare per te, per tutte le mamme, papà, mariti, zii, zie, figli,
amici fragili dimenticati. Il nostro patrimonio dell’umanità dimenticato e
nascosto.
Raccontato solo in extremis quando ormai nulla si può fare e resta solo la
retorica indignazione. No, non siamo riusciti a salvarvi nelle ore più dure
prima della fine. Molti se ne sono andati via da soli. Negato anche il saluto
finale, il rito, negato il dolore. A te mamma voglio dirti quanto ti amo, e che
per me no, non è Natale perché sono in trincea in questa guerra. Perché lotto e
lotterò fino alla fine perché tutto questo possa giungere al termine. Per
poterti abbracciare ancora e donarti in questa vita di niente, almeno la mia
presenza e tutto il mio amore.
A.M.I.
Pubblicata anche su Pressenza
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