Da: Poesie Giovanili
NOTTE TRANQUILLA
La punta delicata delle tue dita, il finissimo
silenzio delle mie labbra che su di esse
trova il brillìo delle acque, la luna
che sorge da uno stagno di larghe foglie
più in alto passa il vento, per gli alberi,
e nel cielo la notte.
Adesso guarda
come è dolce la vita, come si allontanano
le orbite eteree abbandonando
una luce sulla nostra fronte.
Io ti amo
e le ore salgono; ascolta il fruscìo
sconosciuto della notte e infinito
Lentamente, nelle mie braccia, senza turbare
l’eternità che l’aria sta formando
con i suoi cerchi immobili, contempla
il pallido riflesso che ondeggia tra le foglie,
questo istante che siamo sulla terra
sospeso.
Lassù, per gli spazi azzurri
vagano suoni leggeri, e le stelle.
VISIONE E DESIDERI DELLA NOTTE
Con diamanti sulla testa
con una rete di diamanti che brilla come l’acqua,
rapidamente passi per l’etere trasparente
con bagliori e con fiamme
il vento e l’armonia ti hanno cinta di nuvole,
la tua bellezza è eterna e si ripete tra le stelle.
Ma i miei occhi non vedono, soltanto ascolto
vaste ali che muovono lo spazio.
Vivere, morire, tutto è un fumo grigio
quaggiù, e il mio nome giace in fondo a un lago;
debbo piangere davanti a un fiore, sapere che mai,
mai più ti vedrò. Oh baciarti, oh le mie forze
che strappano i rami per piangerci sopra!
Guarda l’autunno già, è da molto che aspetto,
forse le foglie nuove vorranno vedermi ai tuoi piedi,
sui prati del cielo, molto lontano.
Traversa la notte, l’autunno, illuminami
come l’acqua che versa il suo chiarore sulle pietre;
ho tanto sofferto, tanto, tutti sono stati
così crudeli con me. Oh l’aurora, l’aurora
che già prende il volo sul mare!
IL MONDO
Come sei puro e delicato, o mondo!,
con paesaggi notturni e con aurore,
con giornate e con sere riposate,
austero e pieno di un ardore fecondo.
Come sei vasto, apatico e profondo;
con che rigore accogli i nostri sguardi,
e ignori le parole pronunciate
da una bocca che cambia in un secondo!
Nulla diranno che possa commuoverti;
nulla alle stelle può recare danno,
abituate a guardare la stessa morte
che l’uomo attiva e ignaro incoraggia
sperperando i suoi fuochi in vani alterchi
e facendo una vita turbolenta.
ALLA VITA
Come nel suono colto delle migliori
parole che descrivono l’universo,
c’è un piacere così alto e diverso,
oh vita, nei tuoi rapidi colori,
che in un tempo infinito sognatori
noi vorremmo guardare quel disperso
delirio che ripeti come un verso
riempiendoci lo sguardo di splendori.
Che mirabile onore è l’ondeggiante
principato dell’abito che spieghi,
che paesaggio imperiale è il tuo Presente!
Non potrò mai ringraziare abbastanza
che da un pugno di terra umida e cieca
tu mi abbia fatto così vivo e amante.
IL FUOCO DEGLI DÈI
Oh voi, guardate come gli anni cadono
con fragore tutti e formano una nube
e l’uccello sul suo ramo ride dei sogni
dell’uomo, mentre tutto si disfa come scaglie!
Quel fuoco che Prometeo ancora non espia,
dolore posto sulla fronte perché sia eterna,
oh guardatelo crescere sulle rovine,
le ceneri che rimangono del suo incendio sommesso!
Percorriamo le ore senza vederne il volto,
quelle labbra che a volte ci chiamano da così lontano.
Oh se nell’altro sogno potessimo pensare
e quella fiamma infine si innalzasse al riposo
oscillando in mezzo alla Bellezza, per sempre!
SE QUESTO ISTANTE FOSSE L’ETERNITÀ IMMUTABILE
Se questo istante fosse l’eternità immutabile,
sempre, sempre davanti a me il tuo corpo così bello,
come lontane musiche che salgono esaltate
tra luci cangianti e vapori iridati!
Voglio chinare la fronte e baciarti le mani
mentre dietro ai tuoi occhi passa un giardino incredibile,
un luogo voluttuoso dove il pensiero
si immerge nelle acque dolcissime e in un sogno.
E accostarmi alle tue labbra, e conoscere la morte,
uno spazio di angeli, l’oblio.
VOGLIO PARAGONARTI SOLTANTO AL VENTO
Voglio paragonarti soltanto al vento
che vola per l’aria e rallegra le foglie,
e dirò che la mia anima nel vento si stende
mentre i tuoi gesti aprono fiumi diversi di luce.
È lo stesso rumore con cui il sole attraversa
soavemente le nuvole e le sfere azzurre
il tuo nome, ed è il nome ch’io do al silenzio
notturno, mentre girano le stelle del cielo
con passi maestosi.
IL TRIONFO DEL TEMPO
«O Love, my love, had
you loved but me!»
A. C. SWINBURNE
Foglie deserte hanno riempito l’aria;
un certo effluvio noto e penetrante
rende profondo e morbido il rumore
del vento che discende giù dagli orti,
e questo suono spento dei miei passi
sopra i vecchi sentieri trascurati.
Questa è l’ultima volta, l’ultima volta,
gentili labirinti di una villa,
che coprirete il nostro amore estinto
con rami di eucalipto e di cipresso;
in nessun altro luogo piangerò:
la mia pena sarà un vostro segreto.
Dopo divideremo le nostre anime;
oggi però che ancora sono unite,
si può discorrere per questi viali
oscurati dall’ombra delle palme.
Prima di separarci come estranei
pensiamo a questo trionfo degli anni
Prima di essere due anime sperdute
che conservano un fiore scolorito
nell’inconcluso libro della vita,
e nelle lunghe sere sedentarie
aspirano un profumo inesistente
sopra il suo testo triste, oscuramente.
Parliamo di quei giorni custoditi
dalle sculture delle gallerie
e dai primi lillà; si di quei giorni
di chiari firmamenti vellutati
dove immortale e estatico vedevo
il tuo viso che è uguale all’armonia
Che commovente era la tua bellezza,
che adesso il roseo tramonto accende!
O amore, amore, perché hai sigillato
questi occhi con un marchio di tristezza,
perché non possa più contemplarti,
cieco di luce, furente di amarti!
Perché le nostre vie non si allacciarono,
con quei solchi doppi nella sabbia
che il passo degli amanti concatena
con tratti permanenti, incancellabili?
Perché non fummo in questo mondo breve
l’unica cosa che non può cambiare?
Mai più passeggeremo nella notte
per le strade deserte e profumate,
né si uniranno le ombre prolungate
delle nostre due mani sotto gli alberi
che un vespertino fremito agitava.
Come ferisce la malinconia!
Sarebbe stato il mondo ben diverso
se tu mi avessi amato. Ormai non più
ti riconoscerai in un giardino
o nell’acqua ondulata di una fonte;
né ammirerai i giorni disuguali,
né l’orma della pioggia sui cristalli.
E io non alzerò più la faccia al cielo,
non potrò più guardarlo se non mi ami;
inutilmente si uniranno i rami
e muoveranno un ombra vacillante,
perché quell’ombra non esisterà
quando tu bacerai un altro amante.
Vedi, la sera mi offre i suoi colori
per circondare un’ultima visione
del tuo volto fra gli alberi del parco;
così ti evocherò, accanto ai fiori,
e qui, dove ti amai teneramente
nel tuo splendore resterai presente.
Ma questa mano, al sole luminosa
come il verde fogliame trasparente,
non sentirà mai più ciò che ora sente
fra le tue; neppure in una rosa
dai petali sbocciati, né in un fiume
che scorre lentamente nell’estate.
Né le mie labbra che ora si socchiudono
davanti ai ruderi del mio amore
sapranno ritrovare altra versione
di quei nostri crepuscoli inesperti,
delle conversazioni accanto a un piano
nelle notti tranquille di gennaio.
La luna morirà e rinascerà
tante volte davanti alla mia porta,
e una terrazza incontrerà deserta
dove il tuo nome tuttavia sta,
in mezzo all’edera, in un posto scuro,
scritto con la matita sopra un muro.
Si, gli amori non durano in eterno,
sono effimeri vincoli mortali;
ma noi, essenzialmente spirituali,
noi avremmo potuto liberarci
da ciò ch’è perituro, per rinascere
con uguale fervore e uguale essere.
I passi immemorabili dell’uomo
non lasceranno una traccia che il vento
non possa cancellare; ogni suo gesto
è intessuto nell’aria inafferrabile;
non resteranno le sue circostanze,
né ritratti, né voci, né timori.
Talvolta, della furia sonnolenta
dove i regni sprofondano e l’onore,
resta a stento il volto dell’amore
come un fantasma sopra la tempesta,
che nessuna materia può turbare
perché è di sua natura perdurare.
Ma tu, che in una aureola iridata
mi offri la tua bellezza primordiale,
hai scostato lo sguardo dal cristallo
dove ci avrebbero visti, riflessi,
fra tutte le rovine degli uomini
unire sopra un nastro i nostri nomi.
Tu hai rifiutato l’immortalità;
sempre sarai, accanto a quel balcone,
l’ispirazione che fra questi versi
passa all’eternità priva di nome;
e nei cicli del tempo ignoreranno
chi fosti, le persone che verranno.
Io solo, che contemplo la tua grazia
in questa sera rosa che finisce,
e che ora mi inginocchio, all’ improvviso,
come un antico amante in una statua,
come Tristano, che guardava il mare,
io solo ti vedrò senza cambiare.
Il sole è tramontato sulle case
e il sereno discende lentamente;
vieni a evocare una passione assente,
i dialoghi pausati nei giardini,
la forma delle foglie sul tuo viso.
Come se non ci separasse niente.
(Traduzione di Alfredo
Novelli)
Da: Luoghi Comuni
IL POETA SOLITARIO
Ogni mattina all'alba questa luce di viole
Suscitando profumi nei giardinetti immobili
Si riversa dai tetti sulle prime automobili
E accende i vetri rotti sparsi fra le aiole;
Sugli alberi gli uccelli che dormivano tranquilli
Si svegliano e si salutano con delicati strilli...
È il momento migliore del mondo materiale
Che rinasce lavato dalla notte spirituale
Dai rami polverosi scende qualche soffio di vento
E il poeta solitario, fisicamente contento
Passeggia per le strade, come Adamo il primo giorno
Guardando attorno al suo nuovo soggiorno
E inserendolo nel suo ragionamento,
Mentre ascolta le voci più o meno profonde
Con cui il mondo a se stesso risponde.
ALI TURCHINE
A chi giova il piacere dei sensi? All'intelletto,
Che d'altronde sopporta dolori e infermità
Indipendentemente dalla sua capacità
Di godimento proprio; perché non è perfetto
E sfoggia carne e peli come gli altri animali,
Senza mai liberarsi dagli ingombri carnali,
Senza essere del tutto lieto e neppure del tutto abbietto;
Lui che sognò di volare sul mare senza confine
Con dietro le spalle un paio d'ali turchine...
ANIMA E CORPO
Forse l'anima è divina, ma non è indispensabile
Quanto il corpo in cui dimora e che è la sua cagione;
Dalla prima infanzia in poi questo corpo è la prigione
Dell'anima che fermenta come una massa malleabile
Per finalmente impietrirsi nelle forme più strane,
Dall'uccello melodico fino alle peggiori iguane;
Ma sempre scomodissima perché non riesce a uscire
Da un corpo inadeguato e sempre meno forte,
Il che provoca disordini difficili da guarire,
Le complicate nevrosi che accelerano la morte.
QUEL CHE NON SARÀ
Nella sua culla maleodorante il bambino allunga la mano
Per prendere qualche oggetto di solito troppo lontano
Che la sua mente nebbiosa considera interessante;
Ed è tutte le persone possibili in quell'istante.
Poi, col tempo, andrà escludendo molte personalità,
Rifiutando o trascurando migliaia di possibilità:
Non sarà prete né artista, né meccanico d'officina,
Non sarà un esploratore né emigrerà in Palestina,
Nemmeno sarà la copia di una persona esistita,
Come ogni essere del mondo dovrà vivere la sua vita.
DARWINISMI E SOFISMI
L'uomo che ha trasformato il lupo in cagnolino,
Che fabbrica lune false e aerei a reazione,
Sarà davvero risultato di una lenta evoluzione?
La distanza che c'è fra lui e il penultimo gradino
È assai più grande di quella fra quest'ultimo e i precedenti,
Oltre al fatto che la sua scala svolta in altra direzione.
Ad ogni modo, all'origine di questi ragionamenti
Sussistono due sofismi che ne invalidano la conclusione:
L'uno, l'errore scientifico d'ordinare gli oggetti
Per poi tirare le somme dall'ordine a cui son soggetti,
E l'altro, l'errore storico d'introdurre immutato
Il punto di vista contemporaneo nel più remoto passato
Trascurando l'influenza di qualche circostanza
Che forse in altre epoche ebbe speciale importanza.
SENSI
Nonostante i trionfi della scienza applicata
Gli strumenti migliori per osservare l'universo
Sono ancora la penetrante lampada del verso,
La musica, la voce di una gola privilegiata,
Oppure nella penombra delle candele sparse
Il pulpito cosmatesco di diorite incrostata;
Qualsiasi luce indicante dove un pensiero arse,
Semplici torce o splendidi lampadari,
Monasteri carpatici tra i boschi secolari,
Rune d'Islanda con princìpi bruschi,
Falli d'ambra nella foresta, sarcofaghi etruschi.
Alla luce di questi lumi l'uomo si muove più sicuro,
Vede i tramonti, vede le rive del mare,
E pronuncia parole il cui senso oscuro
Gli si comincia alfine a rivelare.
LUMI
Per l'uomo arrivato a una certa età
L'uso di questi lumi diventa necessità.
Da giovani non ci avevano detto di prepararci a questo,
Che d'altronde non era previsto da nessuna teoria:
Non una sfilata trionfale, nemmeno un convito modesto,
Bensì un funerale di quarta categoria
Davanti a qualche fondale dipinto da dilettanti
Fra i praticabili tremolanti.
Dobbiamo pertanto cercare una scenografia migliore
E nel buio del caos lasciarci illuminare
Dall'anello di bronzo col suo profilo di signore,
Dalla tomba con scene di picnic o di amore,
O l'auriga che fustiga i cavalli del mare
Fra vegliardi che suonano il flauto nostalgicamente;
Qualunque cosa sottratta dal lume della mente
Al tempo rotatorio, allo spazio fluente.
DETERMINAZIONE
L'idea che ci facciamo dello spazio non differisce
Dall'idea che se ne fa la maggioranza della gente,
Ma è puramente mentale e con la mente sparisce
Per esempio sotto l'azione delle eccitazioni violente.
L'uomo sa muoversi da solo, orientarsi topograficamente
E trovarsi coi suoi simili in luoghi determinati,
Adoperando la ragione e i sensi combinati;
Così traccia labirinti sulla faccia della terra
E sovrappone i suoi passi a quelli dei suoi antenati
Che come lui cercavano femmine, cibo, e talvolta guerra.
IL TEMPO
La nostra idea del tempo è ineffabile
E quella che ci vien proposta è quasi sempre puerile,
Sia il tempo statico che quello misurabile,
Quello che scorre all'inverso o il semplice tempo civile;
Nessuna di queste ipotesi riesce abbastanza universale,
Se si pensa, per esempio, ad un morto o a un animale;
Poiché la soluzione del problema la si trova in fondo a noi stessi,
Non è facile scendere a questi recessi
In cui il tempo della materia e il tempo della coscienza
Non conservano la stessa corrispondenza;
Infatti non conservano alcuna relazione
Accessibile alla comprensione.
ENVOI
Trenta secoli dopo il viaggio di Odisseo
I turisti percorrono le grotte del Circeo
Senza trovarvi traccia della fattucchiera isterica
Né un relitto assegnabile all'età preomerica.
E non serve spiegare che l'isola non è tale
Bensì un monte isolato sulla costa laziale,
E che, tutto sommato, cercare l'orma della fata
È un modo come un altro di passare la giornata,
Perché il tempo, come un ghiacciaio, trascina senza pietà
I luoghi, e li trasferisce in altre località.
AH CHI DI NOI UN GIORNO NON È STATO
Ah chi di noi un giorno non è stato
come una statua di alabastro
illuminata interiormente,
nuotando senza accorgersi
sulla schiuma iridata delle ore!
Come un orecchio al sole trasparente
il nostro corpo acceso era venato
di rosa e risplendeva.
VIVERE È PERCORRERE IL MONDO
Vivere è percorrere il mondo
attraversando ponti di fumo;
quando si è giunti dall’altra parte
che importa se i ponti precipitano.
Per arrivare in qualche luogo
bisogna trovare un passaggio,
e non fa niente se scesi dalla vettura
si scopre che questa era un miraggio.
QUANT’ERA BELLA E SVARIATA LA VITA!
Quant’era bella e svariata la vita!
Come si succedevano velocemente
le gioie e le delusioni,
come si alternavano le stagioni,
quando il tempo ci bagnava nella sua corrente!
E talvolta bastava il volo di un uccello
a disegnare in cielo la vastità del tramonto.
Ora invece che cosa siamo?
Solo un profumo di fiori appassiti,
una fotografia strappata;
non abbiamo lasciato una traccia sugli specchi;
nei fiumi in cui bevemmo le acque sono mutate
e gli alberi che amavamo sono ormai tutti abbattuti.
A MIO FIGLIO
Abbi fiducia nella vita
e non nelle ideologie;
non ascoltare i missionari
di quest’illusione o quell’altra.
Ricorda che c’è una sola cosa
affermativa, l’invenzione;
il sistema invece è caratteristico
della mancanza d’immaginazione.
Ricorda che tutto accade
a caso e che niente dura,
il che non ti vieta di fare
un disegno sul vetro appannato,
né di cantare qualche nota
semplice quando sei contento;
può darsi che sia un bel disegno,
che la canzone sia bella:
ma questo non ha certo importanza,
basta che piacciano a te.
Un giorno morrai; non fa niente,
poiché saranno gli altri ad accorgersene.
Da: I tre stati
AVVISO AI MEDIOCRI
Dobbiamo imitare i saggi della tribù,
gli anziani che impartiscono il segreto secolare;
e i saggi della folla non hanno alcun segreto
né da impartire né da occultare. Eppure:
ciascuno cerchi il suo modello,
quelli che non ne hanno sono schiavi,
come quelli che scelgono per modello uno schiavo.
L’uomo libero insegna libertà,
il veritiero insegna verità,
il nobile insegna nobiltà.
La terra è piena di figli di nessuno;
eppure là, sulle vette dei secoli
si ergono come statue i grandi antenati
che a tanti morti diedero volto e voce.
Non troverete nel baratro un padre
ma in ciò che ancora non è stato travolto,
cospicua eredità rimasta senza eredi.
AVVISO AI SAGGI
Se qualcosa dovrà salvarsi
bisogna dirlo presto e chiaro:
non siamo qui per nessun fine accertabile,
il più grande poema è la Commedia,
né il sole né la luna sono finora mancati.
Presto, finché la lingua esiste:
su colonne di porfido il cielo trema,
porfido verde con vene di malachite
incrostato di fave di madreperla
e un filo d’oro che traccia d’alto in basso
corsivamente l’identica Parola.
Il mondo è pieno di figli di nessuno.
Tremano le colonne, dai cespugli emergono
bestie con tre o più teste, bestie nuove;
le stelle cadono come gocce di pioggia,
sciiti e mongoli muovono eserciti
e alla luce dei lampi fuggono facce
bianche atterrite e unte di petrolio.
Nascondete questo rotolo nelle grotte.
AMANTI
L’amore che fa dolce chi aspro era
non si concede ai gregari.
L’amore che ordina le varie percezioni
non resiste alle musiche volgari.
L’amore che fa azzurri l’acqua e l’aria
non può tutto transustanziare.
L’amore che dà senso al mondo esterno
ama il silenzio, la solitudine, il mare
Tu fuso di fuoco interno,
casta rosa radioattiva,
che il transitorio in eterno
muti nella fiamma viva,
effluvio della materia
per te spirito rifatta,
e della nostra miseria
singola ricchezza astratta,
tu brace di ghiaccio emani
la tua immortalità
solo a chi ha pure le mani
dalla comune viltà.
SAPIENTI
La saggezza non è un dono degli anni
bensì una qualità aristotelica
che si ha o non si ha fin dalla nascita,
un equilibrio fra il fattibile e l’impossibile,
una conoscenza previa alla conoscenza.
Non piove dal cielo ma con noi fiorisce;
non indifferenza ma trattenuta passione,
gioiosa e melanconica accettazione
dell’umana effimera fantastichezza.
Poche cose sa il saggio, ma le ricorda:
che l’uomo è al servizio della donna,
e questa al servizio della maternità,
e gli uni e le altre muoiono, perpetuati.
Inoltre, esiste la parola,
con cui gli oggetti vengono nominati
e i concetti creati,
ciò che ci fa diversi dalle bestie,
un poco, ma non troppo.
Ma non è questa la sapienza da salvare
se ogni uomo in sé la può trovare.
Da: Poesie inedite
AL FUOCO
Fuoco, compagno, caro amico dell’ombra,
ardi e ti spegni e grazie a me riprendi,
te disperato che bruceresti il mondo
e qui da solo bruci te stesso, in te
raccolto come Elsa Morante all’alba
quando accende la pira di ogni giorno
e si dà in pasto sulla brace lenta.
Figlio del lampo ora sei figlio dell’uomo,
bisogna alimentarti, gatto rosso.
Diventa tigre, esci, cresci, divora
tutto se hai tanta voglia, facci ceneri,
che ognuno dal suo fuoco solitario
sia morso e fatto bello, fatto fiamma,
si congiunga all’incendio originale.
FUORI DEL LIMBO NON C'È ELISO
La società ti insegna: questo è bello,
è buono, è vero, e non devi far quello.
A ciascun uomo offre già pronte l’etica,
la metafisica, la logica e l’estetica.
Di quando in quando, però, spunta un veggente
che spiega agli altri che non è vero niente.
Poi scompare, e la società si adopera
a travisare il senso della sua opera.
È strano infatti che essendo lei noi stessi
le stia così a cuore il farci fessi.
Quale comunità del mondo animale
insegna ai suoi l’arte di farsi male?
Ma gli animali non possiedono, è vero,
la facoltà di esprimere il pensiero.
L’uomo invece è un essere straordinario,
gode solo se gode il vocabolario.
Prendiamo, per esempio, la parola felice:
se non ci fosse, chi sarebbe infelice?
Lo stesso accade con la parola onore,
con la storia, con Dio e con l’amore.
Provate a rinunciare ai concetti astratti
e a vivere badando soltanto ai fatti.
Vi scacceranno subito dalla società
e tornerete al limbo della prima età.
Da: La parola morte
PENSA, UOMO CIVILE, CHE SEI L’ULTIMO UOMO...
“Pensa, uomo civile, che sei l’ultimo
uomo rimasto sulla terra e pensa:
tutti i diamanti sono tornati sassi,
sei il re dell’America e della Russia,
con le sterline puoi pulirti il culo
ma perché dovresti ormai pulirtelo,
per uno scrupolo verso i vermi?
E come il fallo cerca la vulva assente,
la tua lingua va in cerca di un orecchio,
metti la maschera d’oro di Agamennone
e ti guardi allo specchio, ma non ti parla,
cerchi la Sfinge, ma non ti fa domande,
leggi i giornali vecchi per ritrovare
la voce immonda della razza scomparsa,
avara, ipocrita, assassina e ladra,
ma almeno ti parlava, non come adesso,
ti mentiva, ti odiava, ti dileggiava,
ma ti parlava e a volte ti ascoltava,
rimpiangi il giudice, lo sbirro, il boia,
che erano te specchiato con la maschera,
ma quelle labbra d’oro ti parlavano,
non come le ricchezze della terra
che senza le parole sono polvere,
ceneri, cenci, sassi, carte e metalli.
Puoi fare quel che vuoi, chi è solo è morto”.
Ma quell’uomo civile che era l’ultimo
uomo rimasto sulla terra si mise
sulla faccia la maschera di Agamennone
e si sdraiò nel sepolcro a Micene
sperando che Qualcuno lo vedesse.
IL CREATORE CREA DEI SEGNALI
Il creatore crea dei segnali
sul nulla che non muta per firmare
con la sua firma quella nullità,
e questi segni che segnano il nulla
cantano il canto della propria morte
e il nulla vibra di mortalità.
Piante, animali e sassi di quel canto
colgono solo la nota istantanea
ma l’uomo che ha memoria coglie il canto.
È un segnale che interpreta i segnali,
e davanti all’enigma di una nota
che coglie le altre note separate,
giunge alla sola soluzione possibile,
insita nel sistema segnaletico:
il creatore che segna il nulla è lui.
Così per lui un coro di galassie,
di soli, di pianeti e di comete,
di terre e mari e nuvole e nazioni
e di atomi infiniti circolanti
nel turbine del nulla nominato
canta il canto pomposo del creato.
Lui non si accorge ch’è una sola nota,
la nota muta che emette l’entropia
quando ha raggiunto lo zero assoluto.
GEMEVANO, PIANGEVANO, TRASCINAVANO
Gemevano, piangevano, trascinavano
lunghe cordate di masserizie usate
per deserti di pali di cemento,
dovevano salire sopra un colle
e calare nel nulla dall’altra parte,
la passeggiata si chiamava vita
e molti si fermavano a raccogliere
biglietti usati di diecimila lire
per sventolarli tra i pali di cemento
pur gemendo, piangendo, trascinando
lunghe cordate di masserizie usate,
su per il colle curvo, e chi franava
dall’altra parte volontariamente
o involontariamente, sorprendeva,
perché a tutti piaceva trascinare
lunghe cordate di masserizie usate
su per il colle gemendo e piangendo
e sventolando i biglietti raccolti
che prima di franare regalavano,
contenti della bella passeggiata,
peccato che finisse così presto,
dover lasciare i pali di cemento
e la cordata di masserizie usate
ma altri sorgevano dal nulla impazienti
di salire sul colle trascinando
altre cordate di masserizie usate
che si impigliavano nei pali di cemento
e di raccogliere i biglietti buttati
da quelli che erano già sprofondati,
e che nulla diceva che non fossero
gli stessi che sorgevano da questa parte.
UNO STRATO DI CRETA BIANCASTRA
Uno strato di creta biancastra,
una fascia di sabbia argillosa,
uno strato di polvere vulcanica,
un deposito di detriti marini,
una vena calcarea traforata
da infiltrazioni di alto tasso salino,
un sinclinale cretaceo rosso
su un letto di morene del precambriano,
un considerevole manto di lava
che preme sull’argilla resa schisto,
uno strato di puri silicati
sopra una vena di gneiss metamorfico,
una colata di granito magmatico,
un’irruzione di tardo devoniano,
altro granito ricco in feldispati,
ère intere che gravano sulle ultime
tracce di vita su questo pianeta.
VUOTO, DIO, NULLA, SONO NOMI DI COSE
Vuoto, dio, nulla, sono nomi di cose,
messaggi chiari privi di rumore,
ma se il rumore aumenta e la parola
si sgretola, si disfa, si rabbuia,
appare il nome dell’innominabile,
di ciò che è fuori del linguaggio,
non vuoto come estrema rarefazione
bensì futy gksatyrj rith islej gkbos
non dio come caos ordinato
ma iostpe net ooruti jamozp ner
non nulla come assenza di qualcosa
ma oefryth ki loppru tirp plutje lé
non morte come assenza di qualcuno
ma uero thopa jutfop sertyved.
Da: Italienisches Liederbuch
COME ARRICCHISCI, COME MI ARRICCHISCI!
Come arricchisci, come mi arricchisci!
C'erano alcuni tra i più ricchi d'Italia
e io ho detto «sono al suo servizio»,
e hanno pensato «è più ricco di noi».
Olimpia ebbe il più grande degli dèi,
Efeso Artemide criselefantina,
io ho un telefono, e chiamo questo numero,
e mi rispondi, e dici «sono io».
COMUNQUE SIA, QUESTO MONDO È PER TE.
Comunque sia, questo mondo è per te.
Mi sono domandato molte volte
a che serviva, e non serviva a niente,
ma adesso grazie a te ritorna utile.
Fa il conto della merce abbandonata
da Dio e prendila, l’hanno fatta per te
millenni di uomini che non ti conoscevano
ma che cercavano di prefigurare
in templi e tombe di roccia e biblioteche
uno stupore come quello che effondi
quando sorridi e fai fermare il tempo
e tutti ammutoliscono rapiti
e ti alzi e dici, «io me ne vado a letto».
Dormi, al risveglio sarà lì il tuo retaggio:
una città che fu famosa assai,
un fiume sporco cantato dai poeti,
il cinema dove hanno ucciso Giulio Cesare;
e intorno valli, montagne, mari, oceani,
e capitali, e continenti e selve,
e piramidi, e versi, e adoratori
della tua forma esterna o quella interna
e in alto il cielo e il sole e le stelle e la luna
e sulla terra le bestie ubbidienti
a te che infine vieni a giustificare
la loro straordinaria varietà.
È tutto tuo e non finisce mai.
QUANDO TU, MIA POESIA, LEGGI POESIA
Quando tu, mia poesia, leggi poesia,
si oscura il cielo di una luce verde,
la gente sfugge la riva del mare
per un senso remoto di tempesta
o di contrasto tra gli elementi,
vampe si inalberano sui fili dei tram,
e un gran silenzio cala sulla città:
è la poesia che contempla se stessa.
Leggi parole di un tempo scomparso,
di un presente che crolla senza sosta
velocemente nell’informe passato,
leggi di re e corone, giardini e guerre,
tu che sei la corona di ogni impero
e il giardino del mondo conosciuto
e la guerra dei sensi della natura,
leggi, « chi crederà i miei versi in avvenire
se dico adesso tutto il tuo valore? »
e accade in quel momento che quei versi
come una freccia scagliata nei secoli
raggiungono chi un giorno li ha ispirati.
E allora il buio verde si fa totale,
la gente si rintana, sopraffatta,
e in un silenzio come di terremoto
si alza la luna sui Castelli Romani
e lentamente volge tutto all’azzurro,
mentre tu, mia poesia, leggi poesia.
MI ARRENDO, SONO TUO, PUOI VALUTARMI
Mi arrendo, sono tuo, puoi valutarmi
e vendermi al mercato in un canestro,
se vuoi, tutto sommato dalla cesta
io tornerò da te come un cagnetto
a farmi vendere di nuovo, verniciato
a strisce o a scacchi, una cosa è sicura,
questo cane non cambia più padrone.
Ma io che godevo a possedere
come è che godo a essere posseduto?
Giù sulla schiena, cane, pancia all'aria
scondinzola nel tuo paradiso!
La tua divinità ha detto il tuo nome
e la sua voce ti ha raggiunto il midollo!
Abbaia, corri, balla: che vittoria
totale questa resa incondizionata!
VIENI CON ME NON DICO, DICO PORTAMI.
Vieni con me non dico, dico portami.
Davanti a un Santo o a una Madonna chi
direbbe, « vieni, andiamo in Tunisia »?
Ma se l’immagine se ne andasse in giro
chi non vorrebbe accompagnarla, chi?
A trenta metri vedo molto bene,
vorrei seguirti sempre a trenta metri,
e a volte, presso un fiume o una fontana,
avvicinarmi a tanto irraggiamento,
se dormi, se riposi, se sorridi,
per poi la sera chiudermi nel buio
e accertare che splendo anche da solo
e che al di sopra del registratore
col nastro inciso con la tua voce
si addensano apparenze luminose
che in altri tempi si chiamavano angeli,
forme sospese, spiriti apprendisti
che da te vogliono in quei rari paraggi
imparare purezza e tenerezza,
ritegno, verità e altre arti angeliche
mai viste insieme, né in quei luoghi né altrove,
o come si asservisce una nazione
abbassando le palpebre semplicemente.
FATTI VEDERE NELLA TUA NUDITÀ
Fatti vedere nella tua nudità,
il mondo ha questo bisogno di bellezza
per diradare i pensieri cattivi
che sono sempre dei pensieri vestiti,
rendi visibile la sublimità
senza badare se desta scalpore:
non cadrà il firmamento quando cadranno
le tue mutande e la tua camicetta,
soltanto nei paesi freddi gli dèi
portavano questi indumenti. Poi,
in questo Olimpo da te scelto a dimora
con tutt’e nove i colli dell’Urbe ai piedi
verrà eretto un palazzo pieno di specchi
e in ogni specchio una tua immagine riflessa,
e lì terranno le cerimonie di Stato,
i congressi, gli esami di maturità,
alla presenza della verità nuda.
NON STARE A LUNGO LONTANO DA ME
Non stare a lungo lontano da me
se non vuoi che il ricordo invada tutto
e non lasci più posto alla presenza,
ormai ti vedo spesso sotto gli alberi,
le strade ti ripetono, la vasca,
le stanze, i dischi, e il mare è uguale a te,
ti ho qui sugli occhi come un apparecchio
oftalmologico di precisione
e anche se salgo sul tetto ti vedo,
non stare a lungo lontano da me,
non vorrai scioglierti nello spazio infinito
della mia vista che si estende negli anni,
quando studiavi con me nel '39
o ti annoiavi nella Torre di Londra
piena di ferri neri nel '51
e ieri nella valle della Caffarella
che non ti è apparsa nemmeno bella,
non vorrai scioglierti nel tempo infinito:
non stare a lungo lontano da me.
DUE CASE AVEVANO PER CONFINE UN RUSCELLO
Due case avevano per confine un ruscello,
di qua viveva una pazza, di là un bambino,
e si parlavano da una riva all'altra.
Quello è un racconto, leggilo, di amore puro
se qualcosa di puro c'è nell'amore.
Parlavano di piante e di furetti.
E ORA TI VEDO INVECE TRA LE PALME
E ora ti vedo invece tra le palme
che dormi in un oasi del deserto
e tua madre che veglia sul tuo sonno
sotto un cielo di nuvole che fugonno,
e prega il vento che scuote i palmizi
di non svegliarti, che hai il sonno leggero,
chissà perchè fanno tanto rumore
questa notte quei rami nella notte,
la gioventù del mondo sta dormendo,
tua madre prega gli angeli per l'aria
di far tacere quelle palme selvagge,
domani il mondo ti aspetta al suo risveglio,
tua madre sa, e io, che sei il giorno.
LA SESTA LETTERA COMPARVE NEL CIELO
La sesta lettera comparve nel cielo,
era un annuncio, immagino, della Firestone
che torreggiava solo sul Campo Boario
con scritto: in questo segno vincerai,
ma in verde, perché il verde è il mio colore.
E adesso lo rivedo, anche di giorno,
benedico il Testaccio e i suoi dintorni
e soprattutto l’angolo di strada
dove davanti a un semaforo rosso
mi fu concesso di sperare il verde:
la sesta lettera comparve nel cielo
e in quel momento si fusero i secoli,
fuggì il tempo con tutti i suoi cadaveri,
guardai quel segno di trionfo e
mi innamorai di te: questa è la storia
della mia, diciamo, conversione.
ADESSO SONO COMPLETAMENTE SOLO
Adesso sono completamente solo,
adesso che mi riempi l’universo,
questo allegro universo in espansione
con galassie, cefeidi, supernove,
e tu dietro ogni grado dello spazio,
che a una parola tua si rattrappisce
e si concentra nella tua sola persona
di nuovo come un astro in pulsazione;
non ho più amici, non ho più interessi,
sto qui a studiare la tua cosmografia,
le tue emissioni radio, le tue sigizie,
più esattamente la tua bocca e i tuoi occhi,
più esattamente quel che c’è in fondo agli occhi,
e ancora più esattamente, te.
COMUNQUE SIA, QUESTO MONDO È PER TE
Comunque sia, questo mondo è per te.
Mi sono domandato molte volte
a che serviva, e non serviva a niente,
ma adesso grazie a te ritorna utile.
Fa il conto della merce abbandonata
da Dio e prendila, l’hanno fatta per te
millenni di uomini che non ti conoscevano
ma che cercavano di prefigurare
in templi e tombe di roccia e biblioteche
uno stupore come quello che effondi
quando sorridi e fai fermare il tempo
e tutti ammutoliscono rapiti
e ti alzi e dici, «io me ne vado a letto».
Dormi, al risveglio sarà lì il tuo retaggio:
una città che fu famosa assai,
un fiume sporco cantato dai poeti,
il cinema dove hanno ucciso Giulio Cesare;
e intorno valli, montagne, mari, oceani,
e capitali, e continenti e selve,
e piramidi, e versi, e adoratori
della tua forma esterna o quella interna
e in alto il cielo e il sole e le stelle e la luna
e sulla terra le bestie ubbidienti
a te che infine vieni a giustificare
la loro straordinaria varietà.
È tutto tuo e non finisce mai.
VIENI CON ME NON DICO, DICO PORTAMI
Vieni con me non dico, dico portami.
Davanti a un Santo o a una Madonna chi
direbbe, « vieni, andiamo in Tunisia »?
Ma se l’immagine se ne andasse in giro
chi non vorrebbe accompagnarla, chi?
A trenta metri vedo molto bene,
vorrei seguirti sempre a trenta metri,
e a volte, presso un fiume o una fontana,
avvicinarmi a tanto irraggiamento,
se dormi, se riposi, se sorridi,
per poi la sera chiudermi nel buio
e accertare che splendo anche da solo
e che al di sopra del registratore
col nastro inciso con la tua voce
si addensano apparenze luminose
che in altri tempi si chiamavano angeli,
forme sospese, spiriti apprendisti
che da te vogliono in quei rari paraggi
imparare purezza e tenerezza,
ritegno, verità e altre arti angeliche
mai viste insieme, né in quei luoghi né altrove,
o come si asservisce una nazione
abbassando le palpebre semplicemente.
EH NO, VOI PALADINI, CHE STATE A FARE
Eh no, voi paladini, che state a fare
e personaggi veloci della storia
che vi perdete la cima della scala
e non rendete onore a chi la onora?
Soltanto gli Hohenstaufen dovranno farlo?
Venite a Roma, cavalieri d’Artù,
prodi di Orlando, mussulmani rabbiosi,
voi tutti che viaggiate sempre a cavallo,
re, masnadieri, paggi, granmaestri,
se intasate la strada non fa niente,
mongoli di Samarcanda, vandali sozzi,
crociati del Baltico, mòravi, sciiti,
e voi conquistatori delle Indie,
predoni di Bahrein e di Macao,
a mezzanotte voglio vedervi tutti
fare le corse intorno al Colosseo,
fare un torneo, o quel che preferite,
per far vedere come era rozzo il mondo
finché non è calata questa luce
che più mi abbaglia quanto più mi rischiara,
questa improbabile mutazione umana,
questa fonte energetica inesauribile,
questa gnosi, o sophia, o trascendenza,
questa persona fragile e sicura
che abita purtroppo così lontano.
JUAN RODOLFO WILCOCK nasce a Buenos
Aires il 17 aprile del 1919, da padre inglese, Charles Leonard Wilcock, e da
Aida Romegialli, argentina, di origine italiana e svizzera. Compie gli studi
regolari e frequenta la facoltà di Ingegneria Civile nell’Università di Buenos
Aires. Nel marzo del 1940, la sua prima raccolta di poesie, Libro de poemas y
canciones, ottiene il Premio Martín Fierro dalla Società Argentina degli
Scrittori, e poi, nel marzo del 1941, ottiene anche il Premio Municipal. Tra il
1941 e il 1942 ha inizio l’amicizia con Silvina Ocampo, Adolfo Bioy Casares e
Jorge Luis Borges. Dal 1942 al 1944 dirige la rivista letteraria Verde Memoria,
e poi, dal 1945 al 1947, la rivista Disco. All'inizio del 1943 si laurea in
Ingegneria Civile, e quindi entra come ingegnere nelle Ferrovie dello Stato.
Partecipa alla ricostruzione della ferrovia Transandina e alla costruzione
della linea ferroviaria San Rafael-Malargue. Si dimette verso la metà del 1944.
Nel 1945 pubblica, a proprie spese, due libri di poesie: Ensayos de poesía
lírica e Persecución de la musas menores. Nel 1946 pubblica Paseo sentimental,
che ottiene la Fascia d'Onore 1946 dalla Società Argentina degli Scrittori.
Verso la fine del 1946 pubblica Los hermosos días. Nel 1951 intraprende un
lungo viaggio in Europa in compagnia di Silvina Ocampo e di Bioy Casares, e
arriva per la prima volta in Italia. Nel 1953 esce il suo sesto libro di poesie
Sexto. Tra il 1953 e il 1954 risiede a Londra, dove lavora come traduttore
dell'Ufficio Centrale di Informazioni, e come critico letterario, musicale e
artistico del Servizio Latino Americano della B.B.C. Ritorna a Buenos Aires.
Nel 1955 si trasferisce a Roma, dove insegna letteratura francese e inglese e
collabora all'edizione argentina dell'Osservatore Romano, il giornale del
Vaticano. È stato critico letterario della Prensa di Buenos Aires, e ha
collaborato su quasi tutte le riviste letterarie importanti ispano-americane.
Ha tradotto in spagnolo più di trenta libri dall'inglese, dal francese,
dall'italiano e dal tedesco. Nel giugno del 1957, Wilcock ritorna in Italia e
si stabilisce a Roma. Pubblica articoli vari, saggi, racconti, poesie, sulla
rivista Tempo Presente, e poi sul settimanale Il Mondo, di Mario Pannunzio. In
questo primo periodo diventa amico, oltre che di Nicola Chiaromonte, di Elsa
Morante, di Alberto Moravia, di Ennio Flaiano, di Elémire Zolla, di Roberto
Calasso, di Ginevra Bompiani e di Luciano Foà. In seguito scriverà anche per il
giornale La Nazione di Firenze, per il settimanale L'Espresso, e per i
quotidiani romani La Voce Repubblicana, Il Messaggero, Il Tempo, e per altre
riviste letterarie. Nel 1975, Wilcock chiede la cittadinanza italiana. Con
decreto del Capo dello Stato, gli viene concessa post mortem il 4 aprile 1979.
Wilcock muore il 16 marzo del 1978 nella sua casa di campagna, nel Comune di
Lubriano, in provincia di Viterbo, nell’Alto Lazio. È sepolto a Roma, nel
cimitero acattolico vicino alla Piramide.
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