Sulla questione migranti si gioca il
futuro della nostra civiltà: dell’identità democratica dell’Italia, ma anche
dell’Europa e di tutti i paesi ricchi dell’Occidente, oggi accomunati da una
guerra crudele contro i migranti e dalla perdita di memoria dei «mai più»
opposti, all’indomani della Liberazione, ai razzismi e ai genocidi, ai campi di
concentramento e ai fili spinati, alle oppressione e alle discriminazioni
razziali.
Questa identità sta crollando a causa
della stridente contraddizione tra i principi costituzionali di libertà e di
uguaglianza che informano le nostre democrazie e le nostre politiche di
esclusione dei migranti, fino all’assurda penalizzazione di chi salva vite
umane in mare. È una contraddizione che, se non risolta, renderà
impronunciabili i diritti fondamentali, i quali sono universali e indivisibili
o non sono, e non potranno essere ancora proclamati se continuerà la loro
lesione, ogni anno, in danno di milioni di esseri umani che muoiono per fame e
mancanza di farmaci salva-vita e delle migliaia di persone che affogano in mare
nel tentativo di raggiungere i nostri paesi.
Lo stesso diritto di emigrare, non
dimentichiamo, è un diritto fondamentale vigente, stabilito dalla nostra
Costituzione, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dal Patto
internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Non solo. È anche il più
antico dei diritti umani, essendo stato formulato fin dal secolo XVI da
Francisco De Vitoria a sostegno della conquista del «nuovo mondo», e poi
rivendicato da John Locke, che lo pose alla base del diritto alla
sopravvivenza, la quale, egli scrisse, è garantita a tutti dalla possibilità di
emigrare «negli incolti deserti dell’America» giacché c’è «terra sufficiente
nel mondo a bastare al doppio dei suoi abitanti». Oggi che non sono più gli
occidentali, ma quanti fuggono dai paesi impoveriti dalle nostre politiche
predatorie a far uso del diritto di emigrare, l’esercizio di questo diritto si
è capovolto in delitto, e lo si reprime con la stessa feroce durezza con cui lo
si brandì alle origini della civiltà moderna a scopo di conquista e colonizzazione.
C’è poi un altro capovolgimento perverso
e ancor più paradossale che contrassegna, in particolare, le politiche italiane
contro gli immigrati: il capovolgimento dello stesso populismo penale in tema
di sicurezza, esplicitamente operato dal secondo decreto Salvini ma di fatto
confermato, sia pure dietro un mistificante giro di parole, dal recente decreto
n. 130 dell’ottobre di quest’anno. Il vecchio populismo penale faceva leva
sulla paura per la criminalità di strada, cioè per fenomeni enfatizzati ma pur
sempre illegali, onde produrre paura e ottenere consenso a misure inutili e
demagogiche ma pur sempre giuridicamente legittime, come gli inasprimenti delle
pene decisi con i vari pacchetti di sicurezza. Il nuovo populismo securitario
fa leva, esattamente al contrario, sull’istigazione all’odio e sulla
diffamazione di condotte non solo lecite ma virtuose e addirittura eroiche,
come il salvataggio di vite umane in mare, al fine di alimentare paure e
razzismi e ottenere consenso a misure esse stesse illegali, come la chiusura
dei porti, le preordinate omissioni di soccorso, i sequestri delle persone
salvate e le lesioni dei diritti umani dei migranti.
Questo nuovo populismo ha così prodotto
e continua a produrre, oltre alle morti in mare, un danno gravissimo alle basi
sociali e ideali della nostra democrazia: l’abbassamento del senso morale e
dello spirito pubblico nella cultura di massa. Quando l’indifferenza per le
sofferenze e per i morti, la disumanità e l’immoralità di formule come «prima
gli italiani» a sostegno dell’omissione di soccorso sono praticate e ostentate
dalle istituzioni, esse non soltanto sono legittimate, ma sono anche
assecondate e alimentate. Diventano contagiose e si normalizzano.
Non capiremmo, senza questa corruzione
del senso morale operata dall’esibizione dell’immoralità ai vertici dello
Stato, il consenso di massa di cui godette il fascismo e di cui godono oggi,
nei loro paesi, Trump e Bolsonaro, Orban ed Erdogan. Queste politiche crudeli
hanno avvelenato e incattivito la società. Hanno seminato la paura e l’odio per
i diversi. Hanno fascistizzato il senso comune.
Hanno screditato, con la diffamazione di
quanti salvano vite umane, la pratica del soccorso di chi è in pericolo di vita
e, con essa, i normali sentimenti di umanità che formano il presupposto della
democrazia.
Per questo per non vergognarci dei
nostri governanti ci aspetteremmo, da questo governo, una svolta radicale, consistente
nella cancellazione pura e semplice della parte del decreto in via di
conversione che ancora lascia aperta la possibilità di impedire e sanzionare
l’accesso nelle nostre acque territoriali delle navi che salvano vite umane in
mare. È in questione non solo il diritto alla vita e la dignità di persone dei
naufraghi, ma anche la nostra dignità e la dignità della nostra Repubblica.
È l’intervento svolto dall’autore nel convegno “Europa: migranti e richiedenti asilo. Per una svolta di civiltà” organizzato a Roma il 14 ottobre da Fondazione Basso, Asgi, Magistratura democratica, Cgil, Cisl e Uil, pubblicato anche da il manifesto, in uno speciale comprensivio di ulteriori interventi, il 20 novembre.
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